Bambini
Giulio Vittorangeli - 09-01-2002
Davanti al caos internazionale del nuovo anno (ultimo arrivato il dramma del popolo argentino, ex paese ricchissimo impoverito dalla lunga disuguaglianza della globalizzazione) e dopo gli orrori del 2001, non possiamo non ripartire che dai bambini; cioe' il futuro, la dimora della vita gioiosa. Eppure, come non riconoscere che i molti regali che abbiamo fatto (per Natale, o per riempire la vecchia calza della Befana) sono supeflui; o peggio ancora, li sentiamo privi di un autentico significato di dono. Basta citare la bambola Barbie, l'odiosissima apostola del consumismo infantile. I bambini sono anime semplici, sanno vedere la magia del quotidiano e amano contribuire a crearla; ma questa semplicità li rende facilmente vittime del consumismo illusorio della nostra moderna societa' del benessere informatizzato. Cosi', puntualmente, ogni anno abbiamo un "personaggio infantile" (per il Natale 2001 Harry Potter) che diventa contemporaneamente un film, uno o piu' libri, un'infinita' di giochi dai semplici manuali, a quelli sofisticati elettronici. Giocattolo consumista che sentiamo cosi' lontano dalle fate e dalle streghe che hanno scosso di stupore e di terrore la nostra infanzia; ad iniziare dalla Befana che e' passata mille volte sui tetti a dipanare i nostri sogni interminabili.
Oggi, molti dei giocattoli in commercio, sono tanto sofisticati da diventare oggetto di contemplazione e di utilizzo passivi; ammalati di immobilismo, di silenziosita', di automatismo, di fruizione passiva e solitaria.
Assistiamo al prevalere di giocattoli spettacolo, cioe' giocattoli che sono tanto strutturati da non lasciare spazio alla creativita' e all'intervento attivo dei bambini, piuttosto che gioccatoli-giocabili con cui il bambino puo' relazionarsi e misurare il mondo. Cosi' molti bambini finiscono con l'avere le loro camerette piene di giocattoli da contemplare.
Allo stesso tempo percepiamo che, oggi come ieri, i giocattoli sono compagni inseparabili nella vita dei bambini, e vengono caricati di investimenti affettivi spesso di grande importanza. Anche per noi adulti: il giocattolo come incantevole memoria del passato... il sogno di un giocattolo e' il nostro sogno impossibile: far sorridere, saper sorridere, essere unici e irripetibili per noi stessi perche' unici e imprescindibili per gli altri.
Sappiamo che, oggi come ieri, la vita di un giocattolo e' il suo uso. E' l'essere toccato, sbattuto, messo in una scatola, gettato sul letto, amato, abbracciato e preferito. Oppure, rompersi, finire dimenticato, sostituito e buttato via; come certi sogni, irriverenti e sorridenti, che prima o poi si infrangono al suolo. Ecco perche' continuiamo a cercare e regalare quei giocattoli che possano dare disposizione sul come continuare a produrre nel tempo la meraviglia per la quale la loro esistenza si giustifica. Giocattoli per la testa, anche per il cuore, nel senso delle emozioni pure. Ma i bambini non sono ne' buoni ne' cattivi. Sono solo quello che hanno la possibilita' di diventare. E per noi, generazione adulta, inevitabilmente il pensiero corre a tutta l'infanzia negata del cosiddetto Terzo Mondo. Alla tragica realta' quotidiana dei bambini di strada dell'America Latina; o a quella di chi popola i "barrios", i quartieri poveri e marginali dell'America Centrale; o peggio ancora alle baraccopoli dell'Africa con le loro discariche dove quel che resta degli esseri umani contende i rifiuti agli animali. E poi, l'assassino dei bambini iracheni, che a causa di un embargo ormai decennale, muoiono a diverse migliaia ogni mese; per finire con lo sfruttamento di una massa crescente di operai bambini, a causa di precisi meccanismi economici e finanziari le cui redini sono in mano all'Occidente. Ricorderete lo scandalo scoppiato alla vigilia del Campionato mondiale di calcio del 1998 in Francia, quando divenne pubblico lo sfruttamento intensivo di minori nella fabbrica di palloni con marchio Coca Cola a Sialkot (Pakistan). Le foto di alcune bambine di 11 anni che incollavano e cucivano i palloni hanno fatto il giro del mondo, riprodotte in decine di quotidiani e riviste di rilevanza internazionale. Ed ancora, Nkosi Johnson, il piccolo sudafricano morto a 12 anni il primo giugno 2001, diventato l'emblema della disperazione africana contro l'Aids, quando inaugurando nel luglio 2000 la conferenza mondiale sull'Aids a Durban, aveva chiesto cure per le donne incinte seriopositive. Nell'Africa a sud del Sahara una donna incinta su tre e' sieropositiva.
Non bastasse questo, ci sono le drammatiche cifre dell'ultimo rapporto Onu sull'infanzia: 11 milioni di bambini ogni anno muoiono per malnutrizione o malattie che in altri paesi sarebbero facilmente curabili. Sono sfruttati nel lavoro 250 milioni (a tempo pieno 120 milioni, part-time 130 milioni).
Di questi 153 milioni sono in Asia, 80 milioni in Africa, 17 milioni in America Latina. 113 milioni di bambini non sono mai andati a scuola e 330 mila sono i bambini che vengono mandati a combattere nelle guerre. Cosi' ci torna in mente quella "Lettera ai bambini" scritta, anni fa, dal grande Gianni Rodari:

"E' difficile fare
le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate
a fare le cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi
che si credono liberi".


Pubblicato su Fuoriregistro con autorizzazione dell'autore, l'articolo e' uscito nel n°332 de LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO, foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza.
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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