breve di cronaca
Come dire tutto e niente
Scuolaoggi - 19-11-2003

DUTTO INTERVIENE SUL TEMPO PIENO: CHIACCHIERE COLTE SENZA RISPOSTE

Nel dibattito sempre più acceso sul tempo pieno alle elementari e il tempo prolungato alle medie si è appena inserito anche Mario Dutto, responsabile dell'Ufficio scolastico lombardo. Di seguito pubblichiamo una nota a commento del nostro Dedalus, ma intanto ci preme osservare che ancora una volta si tratta di un intervento che, come succede ogni volta che prende la parola un fautore della riforma Moratti, mena il can per l'aia: ai quesiti che ormai tutti avanzano, dai dirigenti scolastici alle prese con l'imminente fase di iscrizioni al prossimo anno, ai genitori che vogliono sapere che cosa li aspetta, non c'è risposta. Dutto era stato invitato a una recente riunione di dirigenti scolastici "autoconvocati" al Moreschi di Milano: ha preferito mandarci Pietro Modini, che a sua volta ha potuto solo menare il can per l'aia. I quesiti a cui non si vuol rispondere sono ormai semplici: quanti posti potrà distribuire Dutto con la riforma? Chi farà la mensa? Come conciliare le varie fasi della riforma? Perchè è da queste risposte che può emergere il vero progetto discuola a cui si sta lavorando. Il resto sono chiacchiere. Chiacchiere colte, ma destinate alla fine ad alimentare lo stato di confusione in cui si trovano le scuole.

Ecco comunque il testo di Dedalus:

Il Corriere della Sera Milano dedica mezza pagina del 17 novembre alla questione del Tempo Pieno (meglio tardi che mai). Non poteva naturalmente mancare uno scritto del “Direttore scolastico” regionale, Mario Giacomo Dutto.
Dutto inizia il suo articolo descrivendo la situazione difforme, sul territorio regionale, delle classi a tempo pieno.
Si va da punte massime del 85% di Milano città a punte minime del 4% di Como. Dati che sarebbero in parte contraddetti se si osserva la diversa diffusione del tempo prolungato della scuola media (Milano scende al 41% e Como risale al 44%…).

Cosa ne deriva Dutto?
Che si tratta di una “crescita inadeguata rispetto alla domanda crescente”, che di fatto “una fascia della popolazione è esclusa dal tempo pieno”, con “uno sbilanciamento di risorse finanziarie dedicate a quote della popolazione rispetto ad altre”. Per concludere che il Tempo Pieno sarebbe “un servizio per lo più apprezzato dalle famiglie che ne usufruiscono, ma non accessibile ai più”.

Una fotografia dell’esistente che prescinde completamente dalle ragioni storiche, socio-economiche e socio-ambientali di questo fenomeno. Come mai infatti, bisognerebbe chiedersi, il Tempo Pieno si è sviluppato principalmente a Milano e nelle grandi città (Torino, Bologna) e non in altre realtà? Ci sarà pure una ragione, oltre al dato pedagogico-didattico di “innovazione” che alle origini ha costituito la spinta propulsiva di queste esperienze… Non occorrono grandi analisi sociologiche per rilevare che il fenomeno tempo pieno si sviluppa soprattutto nelle “metropoli”, nelle situazioni urbane cioè dove il sistema delle relazioni sociali (lavorative, familiari, parentali) è particolarmente complesso e destrutturato. Dove i tempi di vita e di lavoro delle famiglie sono più convulsi. Dove esiste una vasta area di disagio socio-culturale. Dove si sono raggiunte negli ultimi anni percentuali elevate di alunni stranieri (sarebbe interessante un’analisi del rapporto alunni stranieri e classi a tempo pieno e/o a modulo, in termini percentuali, a Milano…).

Dello status quo – dice Dutto – non beneficia nessuno”. Non si capisce però se per uscire da questa situazione diseguale e scombinata si auspica e si prospetta un’estensione e un aumento delle classi a Tempo Pieno a livello regionale per soddisfare le domande inevase o se – come temiamo – si propende invece per un “riequilibrio” (togliere risorse a Milano per darle ad altri Comuni della regione). Negli ultimi anni, a quanto pare, così è stato fatto per quanto riguarda ad esempio le risorse professionali per gli alunni stranieri (i docenti assegnati ai progetti). A fronte di una restrizione complessiva delle risorse disponibili, si è assistito ad un’ulteriore contrazione dei posti a Milano per garantire una distribuzione “diffusa” e allargata anche alle altre provincie. Con il risultato, in questo caso, di arrivare ad una “guerra fra poveri” nella richiesta di attribuzione delle (scarse) risorse, comunque insufficienti per tutti e a maggior ragione laddove maggiore è la complessità.

Più interessante è la parte dell’articolo di Dutto che riguarda il “contenuto” del Tempo Pieno (“tempi ricchi di apprendimento o tempi aridi della scuola lunga e ore noiose di lezioni pomeridiane?”), ma questa è una discussione che avrebbe più senso fare una volta garantita la stabilità e la permanenza del servizio non quando esso è materialmente a rischio (primum vivere deinde philosophare, dicevano gli antichi…).

Lascia invece alquanto perplessi il passaggio in cui Dutto sostiene che “genitori e scuole devono trovare i tempi pregiati per la musica, lo sport, per la convivenza, per le tecnologie, ecc.”

Quando? dove? se non (anche e soprattutto) all’interno di una scuola a tempo disteso e ricca di risorse professionali e strumentali?

Dopo il doposcuola degli anni 1960, del tempo pieno a partire dagli anni 1970, delle classi a modulo dopo il 1990, è tempo per una nuova azione pubblica; senza cancellare il passato, guardando in avanti” conclude Dutto. In avanti dove? incondizionatamente verso i lidi prospettati dalla riforma Moratti e dai modelli Bertagna? Ci sembra insomma una conclusione un po’ ecumenica. Superare il tempo pieno per andare dove? Verso un tempo scuola comunque più ridotto e con una nuova e diversa articolazione didattica?

Viene alla mente il dialogo tra il gatto ed Alice (nel paese delle meraviglie). “Per favore puoi dirmi che strada devo prendere da qui?”. “Dipende molto da dove vuoi andare” rispose il gatto. “Non mi interessa molto dove andare” disse Alice. “Allora non ti interessa che strada prendere” disse il gatto.

Dedalus


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