breve di cronaca
Lettera senza risposta al Ministro Moratti
Retescuole - 04-11-2003

Caro Ministro,
sono un'insegnante elementare di Palermo. Da dieci anni lavoro in scuole difficili, di quelle riconosciute come "scuole situate in aree a rischio".
Prima del '94 ho fatto esperienze di volontariato sempre in situazioni di disagio, quindi ho maturato una certa esperienza in virtù della quale ho delle cose da dire e ritengo che non sia giusto tacerle così come non sarebbe giusto non ascoltarle.

La lettera, che ho ricevuto insieme al testo della legge 28 marzo 2003, n.53, contiene dei ringraziamenti per il mio prezioso lavoro. Non posso certo supporre che questa sia una lettera di propaganda pensata ad arte per sollevare 'il morale delle truppe'; devo allora immaginare che Lei si sia seduta a pensare per un attimo a quel che succede tra le accoglienti e colorate mura di una qualsiasi scuola italiana e, forse, ha dedicato un pensiero in particolare ad una scuola elementare, magari quella che ha frequentato Lei stessa.
Forse ha addirittura dedicato un pensiero a qualche scuola più sfortunata, di periferia: e per periferia intendo non un limite geografico , ma un recinto sociale entro cui si consumano esistenze sull' orlo del degrado e della povertà. Pensando a queste scuole avrà immaginato i bambini che le vivono e che le abitano per un quarto della loro giornata e avrà pensato magari agli insegnanti che ogni giorno vanno a svolgere lì il loro compito, sempre più vicino ad una vocazione piuttosto che ad un impiego. E nel pensare a questi insegnanti avrà scritto la lettera che ho ricevuto.

A questo punto sento il dovere di risponderLe. Ho parlato di periferie e scuole situate in aree a rischio. C'è da chiedersi: a rischio di che? E' corretto rispondere a rischio di malavita, di illegalità, di violenza, di degrado sociale e culturale? Direi di sì. Però in questi quartieri abitano persone, abitano bambini e questi bambini vanno a scuola.

Questi sono bambini che spesso sono abituati alla violenza fisica e verbale, a non essere ascoltati, che hanno difficoltà ad esprimere serenamente i loro bisogni e, quando lo fanno, utilizzano modalità aggressive. Molti, spesso, vivono situazioni familiari difficili: a volte hanno un genitore in carcere, quasi sempre il livello culturale familiare è basso e in alcuni casi c'è analfabetismo. Per questi bambini la città comincia e finisce nel quartiere e tutto il resto è altro. In classe, nelle dinamiche di gruppo, tutto questo emerge. Viene fuori la violenza nel gesto, nella parola. Viene fuori con la rabbia del bambino che strappa la matita di mano al compagno, viene fuori nella reazione esasperata di questo che sferra calci e pugni in risposta.
Viene fuori nell'atteggiamento di chi se ne sta in un angolo, trincerato dietro un ferreo mutismo, assente - apparentemente - ad ogni stimolo: non autistico, ma chiuso al mondo esterno. Offeso e spaventato.

Ma emergono anche le ricchezze delle risorse, emerge la sveglia intelligenza di chi è abituato ai giochi di strada, di chi ancora sa costruirsi da solo i giocattoli, di chi ha imparato dalla vita a difendere le sue ragioni. Emerge la ricchezza della diversità, della peculiarità di ciascuno col suo essere palermitano o bengalese o ghanese o tamil. E tra quelli che vengono da lontano c'è chi ancora non parla una sola parola d'italiano e avrà bisogno di particolari attenzioni, di uno specifico percorso didattico e soprattutto dei suoi tempi.

Sono dieci anni che faccio questa esperienza e ho imparato ad entusiasmarmi ogni giorno e a non mollare mai, malgrado la stanchezza, la frustrazione per risultati che tardano ad arrivare, per una realtà che non cambia, per storie più tristi di altre.

Ho salutato con gioia - qualche anno fa - l'iniziativa del corso di formazione per gli insegnanti delle scuole in aree a rischio. Poi il mio entusiasmo è crollato. Si trattava dell'ennesimo corso di formazione fatto di parole, un corso facilmente sostituibile con un accurato e costante studio tra le mura della propria casa. Ho deciso di rinunziare a frequentarlo perché mi vergognavo di percepire un compenso di tre milioni di vecchie lire solo per sentire parlare delle nuove frontiere della pedagogia o della necessità che i vecchi metodi vadano sostituiti. Mi vergognavo di fronte ai miei alunni, a cui non sarei stata in grado di offrire un servizio diverso da quello fino ad allora prestato e alimentato dalle mie letture e dal mio aggiornamento quotidiano. Quello che mi aspettavo dal corso erano strumenti per leggere il disagio dei bambini, incontri con equipe che mi aiutassero a contenere l'aggressività e le frustrazioni, comprese le mie; confronti con esperti che mi guidassero a correggere il tiro dei miei interventi, individuando i punti deboli e gli errori. Mi aspettavo qualcosa di simile a quello che fanno in alcune scuole americane, dove gli insegnanti - per esempio -, prima di applicare nelle classi il metodo Gordon, lo sperimentano sulla loro pelle, scoprendo tutte le difficoltà personali nell'esercitare l'ascolto attivo o nel formulare messaggi che non accusano, non puntano il dito, non offendono. A volte basta un 'io sento' piuttosto che un 'tu hai fatto' a fare la differenza in un dialogo.

Oppure mi sarei aspettata (operando in un quartiere con casi di pedofilia giudizialmente acclarati) un corso di formazione dove neuropsichiatri infantili e altre figure altamente specializzate mi aiutassero a capire perché quel bambino per mesi serra la bocca e si chiude in se stesso e perché un altro distrugge gli oggetti con violenza e un altro ancora disegna figure senza bocca e sempre usando il nero. E questo solo per fare un esempio, perché ancora tante cose mi si potrebbe aiutare a leggere e capire, per evitare di aggiungere svantaggio con un comportamento non adeguato, per non aggiungere silenzio in situazioni che andrebbero invece denunciate.
Ancora mi sarei aspettata uno spiegamento di forze economiche per strappare questi bambini al loro destino. Una scuola che si attrezza per aprire le frontiere culturali al quartiere intero, la didattica stravolta nelle radici e con adeguati mezzi, non con le belle parole.

<< Ecco, insegnanti, avete i finanziamenti per fare campi scuola in fattoria, per abbonarvi ai teatri, per visitare i musei, per incrementare le attività sportive, per prendere il pullman tutte le volte che vi occorre, per le gite in città. Ecco, insegnanti, i finanziamenti per abbattere i muri invisibili di questi quartieri, per portare i bambini a vivere la città, a fare esperienze formative in tanti posti. Ecco, insegnanti, i finanziamenti per riscaldare le vostre aule, per arredare i laboratori con tanti giochi e strumenti; ecco i finanziamenti per impegnare altri docenti e formare gruppi piccoli entro cui certe dinamiche vanno seguite e contenute meglio, dove si può accompagnare con più cura il percorso didattico di un alunno che ha tanti problemi di attenzione e di socializzazione. E, soprattutto, sappiate che dovete fare in modo che ai bambini non manchi mai tutto questo, io Stato garantirò loro la migliore delle scuole>>. Questo è quello che mi aspettavo.

Ma non è successo niente di tutto questo. Per quanto mi riguarda è successo che, a differenza di altri, non ho intascato degli incentivi ed esattamente come tutti gli altri mi sono attivata per dare il meglio di me, inventandomi giorno per giorno, in aule fredde, senza materiali per utilizzare i laboratori, in condizioni difficili anche a causa di classi numerose e turbolenti.

Questo fino a ieri. E oggi, qual è il dibattito e quali sono le proposte per la scuola?

L'unica cosa che c'è di nuovo è che mi sento completamente sfiduciata.

I bambini che vivono in situazioni di svantaggio sono davvero i grandi dimenticati.

Nella prima classe che seguo quest'anno ci sono 27 alunni iscritti e di questi 25 frequentanti. Tra loro - anche questa volta- tante storie particolari. C'è un bambino che non parla neanche per comunicare un bisogno, che fa il possibile per rendersi trasparente; quattro sono invece molto irrequieti e cercano di attirare l'attenzione a volte a discapito di compagnetti più docili; due hanno cinque anni e mezzo e hanno tutti i requisiti per trascorrere felicemente un altro anno a giocare, perché sono svegli e intelligenti, ma anche davvero piccoli e soffrono molto questa prima classe; ci sono due bimbi che non conoscono una sillaba di italiano e di nessun'altra lingua europea, sono piccoli e chissà -se potessero- che emozioni ci descriverebbero, cosa hanno lasciato, come si sentono. Ognuno di loro porta sulle spalle la sua piccola e intensa storia; per alcuni la storia è anche drammatica; più della metà, tornando a casa, non troverà il genitore che lo aiuterà a fare i compiti o lo farà giocare raccontandogli delle favole o lo porterà in giro con la bicicletta o gli insegnerà a navigare in internet. No, la maggior parte di loro starà in mezzo alla strada con tutte le cose belle e brutte che questo può comportare.

Non c'è continuità tra la scuola e il mondo della famiglia e della strada. E cosa gli può garantire la scuola? Cosa gli può dare di formativo? E' possibile concentrarsi su 25 bambini contemporaneamente garantendo a tutti il massimo dell'attenzione? Eppure non ho il diritto di protestare visto che in una classe ce ne possono stare fino a trenta di bambini.

Leggo nelle pagine che presentano la nuova Scuola Primaria: << Essa assicura obbligatoriamente a tutti i fanciulli le condizioni culturali, relazionali, didattiche e organizzative idonee a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale" che limitando di fatto la libertà e la giustizia dei cittadini, "impediscono il pieno sviluppo della persona umana" indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle condizioni personali e sociali (art..3 della Costituzione). Senza quest'opera di decondizionamento che la Scuola Primaria è chiamata a svolgere sarebbero largamente pregiudicati i traguardi della giustizia e della integrazione sociale (.). La Scuola Primaria è l' ambiente educativo di apprendimento, nel quale ogni fanciullo trova le occasioni per maturare progressivamente le proprie capacità di autonomia, di azione diretta, di relazioni umane, di progettazione e di verifica, di esplorazione, di riflessione logico-critica e di studio individuale (.)>>.
Ministra Moratti, pensa veramente che si possa assicurare tutto ciò se non ci sono le condizioni minime? Non ritiene indispensabile -affinché tutte queste splendide parole diventino realtà- che si formino classi con piccoli gruppi di bambini, che ci sia personale specializzato di supporto agli insegnanti per affrontare situazioni problematiche, che ci siano soldi per attivare quelle condizioni culturali, relazionali, didattiche e organizzative che rimuovano gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e la giustizia dei cittadini? Non ritiene indispensabile garantire i traguardi della giustizia e dell'integrazione con finanziamenti mirati che prescindano dalle spese che ogni scuola affronta nell'autonomia?

Perché - malgrado le parole che si leggono - ho la sensazione che le mura invisibili del quartiere si ispessiscono? Un calcolo molto semplice mi porta ad una conclusione: se prima non c'erano soldi per investire e sperimentare seriamente una nuova didattica con questi alunni, adesso ce ne saranno ancor meno visto che le scuole private avranno dei finanziamenti. E le mura invisibili saranno sempre più massicce visto che il vicino istituto privato (dove ogni anno noi della scuola pubblica facciamo sostenere gli esami di idoneità) si riempirà ancora di più dei figli di chi si trova ad un livello sociale più alto col risultato che si avranno due scuole, omogenee al loro interno, su due livelli sociali differenti a pochi metri di distanza. Quanto di più antipedagogico possa immaginare. Non avranno gite pagate questi nostri alunni, non avranno esperienze in campi scuola, abbonamenti al cinema e al teatro, autobus e pullman gratuiti, classi formate da piccoli gruppi dove ciascuno può essere seguito con attenzione.
Cosa mi resta da pensare? La costatazione più amara: che questi bambini, certamente non destinati a diventare la classe dirigente di domani, sono considerati dallo Stato non come il figlio debole su cui concentrare maggiori cure, bensì lo storpio spartano da gettare dalla rupe.

Adriana Saieva
  discussione chiusa  condividi pdf

 Mirella Albano    - 09-11-2003
Condivido fino all'ultima virgola. La finalità del nostro/i governo /i è creare generazioni di analfabeti che non siano in grado di pensare . La qual cosa consente loro di decidere indisturbati come arricchirsi ulteriormente sulla pelle degli altri. Non è un caso che le economie si facciano solo sull'istruzione e sulla salute. I risultati degli investimenti sulla formazione si hanno a distanza di generazioni . Ai politici interessano la poltrona ed i soldi in tasca oggi, non la gloria di domani. Gli studenti non votano ed i malati sono solo un costo. Pertanto... nessuna meraviglia.

 Ghita Campolo    - 09-11-2003
Non posso fare a meno di comunicare la mia piena condivisione ai pensieri che hai espresso con tanta chiarezza e con altrettanta amarezza.
E non potrebbe essere diversamente! Tutti coloro che continuano a lavorare nella scuola e in realtà come quella che hai descritto così bene, ma anche in altre apparentemente più dorate (come quella in cui insegno) e nella quali sono diffuse situazioni di profondo disagio e di grave malessere, non possono che provare lo stesso sentimento di mortificazione davanti alla volontà di non tener conto delle condizioni
in cui lavoriamo ogni giorno.
Finora, solo l'entusiasmo con cui svolgiamo il nostro compito ci ha dato la spinta per continuare con energia e determinazione tali da stupire noi stessi; ma, adesso, anche l'entusiasmo rischia di vacillare dovendo continuamente scontrarsi non solo con
gli ostacoli imposti dal contesto, ma soprattutto con quelli proposti da chi dovrebbe davvero preoccuparsi di garantire in prima persona che, quanto viene annunciato nelle varie riforme della scuola, sia realmente un diritto per tutti.
Mi piace riportare ancora quanto, anche tu, hai selezionato relativamente alla presentazione della Scuola Primaria, sperando che il Ministro rifletta attentamentesul testo che porta la sua firma!!!

<< Essa assicura obbligatoriamente a tutti i fanciulli le condizioni culturali, relazionali, didattiche e organizzative idonee a "rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale" che limitando di fatto la libertà e la giustizia dei cittadini,"impediscono il pieno sviluppo della persona umana" indipendentemente dal sesso,
dalla razza, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle condizioni personali e sociali (art..3 della Costituzione).
Senza quest'opera di decondizionamento che la Scuola Primaria è chiamata a svolgere sarebbero largamente pregiudicati i traguardi della giustizia e della integrazione sociale (.). La Scuola Primaria è l'ambiente educativo di apprendimento, nel quale ogni fanciullo trova le occasioni per maturare progressivamente le proprie capacità di autonomia, di azione diretta, di relazioni umane, di progettazione e di verifica, di esplorazione, di riflessione logico-critica e di studio individuale (.)>>.


 maria luisa anello palermo    - 10-11-2003
Anch'io come la collega lavoro in una scuola situata in area a rischio e mi sono quasi specchiata in tutto quello che è stato descritto. Aggiungerei soltanto che, visto che lavoro in una scuola media, ogni giorno rischio fisicamente la mia persona , la mia psiche e la mia "automobile" ! I miei ragazi oltre ad avere tutte le problematiche di abbandono, aggressività, mancanza di punti di riferimento, assenza di figure genitoriali significative, sperimentano la vita di strada, acquisiscono comportamenti da "bullo" , interagiscono con forme evidenti di violenza verbale e fisica...