Religiosità ed identità sonnacchiosa di un Paese
Aldo Ettore Quagliozzi - 01-11-2003
A proposito ancora delle puntuali ed immancabili polemiche suscitate dalla decisione di un giudice sulla esposizione del crocefisso in un’aula scolastica.

E ci risiamo, con una puntualità ed una veemenza degna di migliore occasione e fortuna. Avviene ogni qualvolta si tenta di dare una parvenza di “ dignità laica “ alle pubbliche istituzioni di questo Paese. E’ un insorgere chiassoso, disordinato ed anche violento nelle espressioni di alcune non tanto candide anime il cui zelo viene solleticato e sollecitato solo in queste vicende nelle quali, in un tempo oramai lontano, sarebbe stata cosa giusta fare mulinare una durlindana, oggi invece si fanno volare predicozzi vuoti ed inutili.
E prontamente è un richiamare lo spirito cristiano di questo Paese, offeso e messo in discussione in questa occasione solamente da una decisione di un giudice, forse quanto mai rispettoso dello spirito laico ed aconfessionale della nostra legge fondamentale.
Ma è pur vero che la cristianità di un Paese non la si difende in simili circostanze, ma la si costruisce nel quotidiano con comportamenti coerenti con la propria vocazione religiosa. Ed allora, che pensare di questo popolo italiano e cristiano che nei suoi comportamenti sociali tradisce lo spirito di fondo cui intenderebbe uniformare il suo quotidiano operare? Cosa ha di cristiano l’ammirazione, non tanto sotterranea, da parte di questo popolo per i furbi, i maneggioni, i malversatori che hanno impoverito ed indebitato sino all’inverosimile le pubbliche casse? Ed ancor più, cosa ha di cristiano la facile indulgenza alla trasgressione degli impegni coniugali assunti con il “ sacro “ vincolo del matrimonio? Ed il diffuso disimpegno pedagogico nelle famiglie nei confronti dei fanciulli e degli adolescenti, che i fatti crudeli di cronaca certificano con sempre maggiore frequenza? E che ha di cristiano in un popolo la diffusissima propensione a disattendere anche le norme più semplici del vivere civile, con l’imbarbarimento della vita negli agglomerati umani e con lo scempio del territorio a fini esclusivamente speculativi e di facile arricchimento? Ed è cristiano un popolo che stravaccato comodamente partecipa al delirio mediatico dilagante, senza averne ribrezzo laddove la donna ne è fatto oggetto di bassa utilizzazione a fini di bottega e la cui mercificazione non disturba più di tanto al punto che le brutture, che più brutte non si può, riescono ad essere anche le trasmissioni di maggiore richiamo per questo popolo di buontemponi e videodipendenti? E se solo si abbandona la triste elencazione dei comportamenti non proprio cristiani di questo popolo, un tempo popolo di santi e di navigatori, e ci si rifà alle consuete rilevazioni statistiche sulla sua sensibilità alla dottrina,che riguarda in fondo la sfera etica e personale dei tanti, allora ne emerge il ritratto di un popolo che cristiano non lo è anche sotto questo aspetto, il ritratto di un popolo che si è abbondantemente “ laicizzato “ nei suoi comportamenti disattendendo tutte quelle pratiche che la dottrina sollecita ed impone.
Ed allora, queste anime querule che in queste ore si azzuffano con violenti fendenti , quale popolo vogliono rappresentare? Sanno forse di rappresentare solo l’imago virtuale di un popolo sedicente cristiano? O non rappresenta anche questa una buona occasione per una rappresentazione tragicomica di questo Paese, che così impegnandosi in una singolare tenzone distoglierà il suo sguardo dai mille e mille problemi che ne affaticano il vivere quotidiano?
I soliti furboni coglieranno anche questa occasione per sistemare al meglio le proprie artiglierie, in vista degli scontri su ben altri terreni ed argomenti, che se è vero avere essi a cuore lo spirito cristiano dei loro rappresentati farebbero bene a riflettere ed a ragionare su di una diversa visione dello spirito religioso di un Paese, così come ce lo presenta lo scrittore Kahil Gibran in questa “ spiga d’oro “ da me raccolta da un suo scritto.

“ E un vecchio sacerdote disse: parlaci della religione. Ed egli rispose:

( … ) Religione non è forse ogni atto e ogni riflessione, e ciò che non è né atto, né riflessione, ma una continua meraviglia e sorpresa che scaturisce nell’anima, persino quando le mani spaccano la pietra o tendono il telaio?

Chi può mai separare la sua fede dalle azioni, o il suo credo dalle sue occupazioni?

Chi può mai distribuire le ore davanti a sé e dire : “Questa per Dio e questa per me; questa per la mia anima, e quest’altra per il mio corpo?”

Tutte le vostre ore sono ali che palpitano attraverso lo spazio da tutt’uno a tutt’uno.

( … ) E’ la vostra vita quotidiana il vostro tempio e la vostra religione.

Ogni qualvolta vi entrate portate con voi il vostro tutto. Portate l’aratro e la fucina e il mazzuolo e il liuto, le cose che avete fatto per necessità, o per diletto.

Poiché nei vostri sogni a occhi aperti non potrete andare al di là dei vostri conseguimenti, o al di sotto dei vostri fallimenti.

E con voi portate tutti gli uomini. Poiché nell’adorazione non potrete volare più in alto delle loro speranze, né avvilirvi oltre la loro disperazione.

E se volete conoscere Dio non siate dunque solutori di enigmi. Piuttosto guardatevi intorno e lo vedrete giocare coi vostri bambini.

E guardate nello spazio; lo vedrete camminare dentro la nuvola, protendere le braccia nel lampo e scendere con la pioggia.

Lo vedrete sorridere nei fiori, poi alzarsi per agitare le mani fra gli alberi”.



Coscienza civile?

Alte volteggiano ancora le lamentazioni dei “ moderni templari “, accorsi prontamente a difesa di una sonnacchiosa e senza nerbo identità minacciata al grido ancestrale “ mamma, arrivano li turchi!”
Ma di quale identità codesti templari siano accorsi a difesa è ben difficile capire, dopo decenni e decenni di manipolazione mediatica che ha stravolto gli usi ed i costumi ed il sentire collettivo, imponendo peraltro fasulli consumi e nuove e dissacranti certezze.
Ed alla “ nuova identità “ il Paese è accorso ad abbeverarsi, fonte copiosa e rinfrescante di modernità o modernismo che dir si voglia, che è riuscita a creare il miracolo di una identità “ nuova” nella quale le moltitudini si sono riconosciute senza difficoltà alcuna, tradendo gli insegnamenti dei vecchi, dei padri e delle madri, del maestro e della maestra, della parrocchia, del partito.
Nessuna delle preesistenti istituzioni è riuscita nella impresa di salvare e di fare coesistere quanto esistente nel tessuto sociale e nella memoria collettiva del Paese, proprio perché in fondo di collettivo vi era ben poco, se non il riconoscersi negli stereotipi più negativi per i quali gli altri, europei e non, ci hanno sempre guardato e ci guardano con divertito e preoccupato stupore.
E questi “ moderni templari “, estremi difensori di una sonnacchiosa e senza nerbo identità estesa d’ufficio a tutti i cittadini di questo Paese, senza distinzione alcuna, siano essi indifferenti, agnostici, avversi ad ogni forma di ritualità, avversi ad ogni idea che non sia legata al contingente, questi “ moderni templari “ che si è scoperto sorprendentemente appartenere ad ogni credo politico, stanno lì a rappresentare in fondo solo se stessi e neanche quella minoranza, che tale è divenuta nel Paese, che nel concreto della vita quotidiana vive la sua religiosità nelle opere, nel servizio e nella solidarietà verso i bisognosi, senza ostentare stinte bandiere e labari.
Alle lamentazioni dei “ moderni templari “ accorrono invece le moltitudini educate da decenni al “ talk show nazionale “, durante il quale si urla a più non posso senza concedersi la meravigliosa pratica della riflessione e del confronto collettivo, come azionate da un gigantesco ed invisibile telecomando che sintonizza sulla lunghezza d’onda della nuova identità masse sempre più ottuse e teledipendenti.
La vera e nuova identità di questo Paese ha ben poco di cristiano, e come una novella fede ha ancora da rivelarsi ai suoi adepti nella sua interezza e nella sua sostanza; essa ha messo da parte ed a tacere la sonnacchiosa identità preesistente, ma nel contempo cela la sua vera natura di nuova identità senza anima, senza un respiro che possa aiutare a guardare gli orizzonti più vasti del destino di questo Paese.
Riporto a questo proposito la chiusura di un illuminante lavoro di Edmondo Berselli che alla osservazione del Paese ed alla sua evoluzione ha dedicato tante sue intelligenti energie.

“ ( … ) E’ un fluido, l’Italia televisiva, in cui sono omogeneizzati ormai tutti gli atteggiamenti e i comportamenti di una società che si è illusa di cambiare passando, per dirlo in una formula, dalla volgarità al trash, e che quindi celebra se stessa, nei ludi dell’etere, sperimentando ogni giorno la propria postmodernità e nascondendo dietro le quinte di una fiction e di un talk show i propri arcaismi.
In quello sconfinato presente che è l’orizzonte televisivo, anche gli italiani provano finalmente a essere eterni, sempre dalla parte dell’ultimo ritrovato intellettuale di massa, fedeli e conformi al tabù individuale e collettivo dell’assenza di tabù.
Appena spenta, la televisione ricomincia identica domani. E anche l’Italia, la post-Italia, domani riapre.” ( da “ Postitaliani “ pag. 288 )


Ora che il Tribunale di quella città ha sospeso l’esecutività della ordinanza di rimozione di quel crocefisso in quell’aula scolastica, anche se lo stesso crocefisso da tempo è stato rimosso dalle coscienze di tante moltitudini di questo distratto Paese, i “ moderni templari “ potranno rinfoderare le loro durlindane e prepararsi a menare le mani alla occasione prossima ventura, che immancabilmente allieterà il talk show quotidiano nazionale.

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 Redazione    - 01-11-2003
Essere laici in un mondo multiculturale


Alcuni anni fa, e in parte su questo giornale, parlando dell´ondata migratoria che sta trasformando il nostro continente (migrazione di massa, non semplice immigrazione episodica) scrivevo che nel giro di trent´anni l´Europa sarebbe divenuta un continente colorato, con tutte le mutazioni, adattamenti, conciliazioni e scontri che ne sarebbero seguiti, e avvertivo che la transizione non sarebbe stata indolore.
La polemica che s´è aperta sul crocifisso nelle scuole è un episodio di questa transizione conflittuale, come lo è del resto la polemica francese sul chador. La dolorosità della transizione è che nel suo corso non sorgeranno solo problemi politici, legali e persino religiosi: è che entreranno in gioco pulsioni passionali, sulle quali né si legifera né si discute.
Il caso del crocifisso nelle scuole è uno di questi, tanto è vero che accomuna nelle reazioni (di segno opposto) persone che la pensano diversamente, credenti e non credenti. Sulle questioni passionali non si ragiona: sarebbe come cercare di spiegare a un amante, sull´orlo del suicidio perché è stato abbandonato o abbandonata, che la vita è bella, che al mondo ci sono tante altre persone amabili, che il partner infedele in fondo non aveva tutte le virtù che l´amante gli attribuiva. Fiato sprecato, quello o quella soffrono, e non c´è niente da dire.

Sono irrilevanti le questioni giuridiche. Qualsiasi regio decreto imponesse il crocifisso nelle scuole, imponeva anche il ritratto del Re. E quindi se ci attenessimo ai regi decreti dovremmo rimettere nelle aule scolastiche il ritratto di Vittorio Emanuele III (Umberto non è stato formalmente incoronato). Qualsiasi nuovo decreto della repubblica che eliminasse il crocifisso per ragioni di laicità dello stato si scontrerebbe contro gran parte del sentimento comune.
La repubblica francese proibisce l´esibizione di simboli religiosi nelle scuole dello Stato, né crocifissi né chador, se il chador è un simbolo religioso. È una posizione razionalmente accettabile, giuridicamente ineccepibile. Ma la Francia moderna è nata da una rivoluzione laica, Andorra no, ed è curiosamente co-governata dal presidente francese e dal vescovo di Urgel.

In Italia Togliatti ha fatto votare i suoi per l´articolo sette della costituzione. La scuola francese è rigorosamernte laica, e tuttavia alcune delle grandi correnti del cattolicesimo moderno sono fiorite proprio nella Francia repubblicana, a destra come a sinistra, da Charles Peguy e Léon Bloy a Maritain e Mounier, per arrivare sino ai preti operai, e se Fatima è in Portogallo, Lourdes è in Francia. Quindi si vede che, anche eliminando i simboli religiosi dalle scuole, questo non incide sulla vitalità dei sentimenti religiosi. Nelle università nostre non c´è il crocifisso nelle aule, ma schiere di studenti aderiscono a Comunione e Liberazione. Di converso, almeno due generazioni di italiani hanno passato l´infanzia in aule in cui c´era il crocifisso in mezzo al ritratto del re e a quello del duce, e sui trenta alunni di ciascuna classe parte sono diventati atei, altri hanno fatto la Resistenza, altri ancora, credo la maggioranza, hanno votato per la Repubblica. Sono tutti aneddoti, se volete, ma di portata storica, e ci dicono che l´esibizione di simboli sacri nelle scuole non determina l´evoluzione spirituale degli alunni. Quindi qualcuno potrebbe dire che la questione è irrilevante anche da un punto di vista religioso.

Evidentemente la questione non è irrilevante in linea di principio, perché il crocifisso in aula ricorda che siamo un paese di tradizione cristiana e cattolica, e quindi è comprensibile la reazione degli ambienti ecclesiastici. Eppure anche le considerazioni di principio si scontrano con osservazioni di ordine che direi sociologico. Avviene infatti che, emblema classico della civiltà europea, il crocifisso si è sciaguratamente laicizzato, e non da ora. Crocifissi oltraggiosamente tempestati di pietre preziose si sono adagiati sulla scollatura di peccatrici e cortigiane, e tutti ricordano il cardinal Lambertini che, vedendo una croce sul seno fiorente di una bella dama, faceva salaci osservazioni sulla dolcezza di quel calvario. Portano catenelle con croci ragazze che vanno in giro con l´ombelico scoperto e la gonna all´inguine. Lo scempio che la nostra società ha fatto del crocifisso è veramente oltraggioso, ma nessuno se ne è mai scandalizzato più di tanto. Le nostre città fungheggiano di croci, e non solo sui campanili, e le accettiamo come parte del paesaggio urbano. Né credo che sia per questioni di laicità che sulle strade statali si stanno sostituendo i crocicchi, o incroci che siano, con i rondò.

Infine ricordo che, così come la mezzaluna (simbolo musulmano) appare nelle bandiere dell´Algeria, della Libia, delle Maldive, della Malaysia, della Mauritania, del Pakistan, di Singapore, della Turchia e della Tunisia (eppure si parla dell´entrata in Europa di una Turchia formalmente laica che porta un simbolo religioso sulla bandiera), croci e strutture cruciformi si trovano sulle bandiere di paesi laicissimi come la Svezia, la Norvegia, la Svizzera, la Nuova Zelanda, Malta, l´Islanda, la Grecia, la Norvegia, la Finlandia, la Danimarca, l´Australia, la Gran Bretagna e via dicendo. Molte città italiane, magari con amministrazioni di sinistra, hanno una croce nel loro stemma, e nessuno ha mai protestato. Sarebbero tutte buone ragioni per rendere accettabile il crocifisso nelle scuole, ma come si vede non toccano affatto il sentimento religioso. Atroce dirlo per un credente, ma la croce è diventata un simbolo secolare e universale.
Naturalmente si potrebbe suggerire di mettere nelle scuole una croce nuda e cruda, come accade di trovare anche nello studio di un arcivescovo, per evitare il richiamo troppo evidente a una religione specifica, ma capisco che oggi come oggi la cosa sarebbe intesa come un cedimento.

Il problema sta altrove, e torno alla considerazione degli effetti passionali. Esistono a questo mondo degli usi e costumi, più radicati delle fedi o delle rivolte contro ogni fede, e gli usi e costumi vanno rispettati. Per questo anche se francamente non so se vi siano testi coranici che lo impongono se visito una moschea mi tolgo le scarpe, altrimenti non ci vado. Per questo una visitatrice atea è tenuta, se visita una chiesa cristiana, a non esibire abiti provocanti, altrimenti si limiti a visitare i musei. Io sono l´essere meno superstizioso del mondo e adoro passare sotto le scale, ma conosco amici laicissimi e persino anticlericali che sono superstiziosi, e vanno in tilt se si rovescia il sale a tavola. È per me una faccenda che riguarda il loro psicologo (o il loro esorcista personale), ma se devo invitare gente a cena e mi accorgo che siamo in tredici, faccio in modo di portare il numero a quattordici o ne metto undici a tavola e due su un tavolinetto laterale. La mia preoccupazione mi fa sorridere, ma rispetto la sensibilità, gli usi e costumi degli altri.

Le reazioni addolorate e sdegnate che si sono ascoltate in questi giorni, anche da parte di persone agnostiche, ci dicono che la croce è un fatto di antropologia culturale, il suo profilo è radicato nella sensibilità comune. E di questo dovrebbe essersi accorto Adel Smith: se un musulmano vuole vivere in Italia, oltre ogni principio religioso, e purché la sua religiosità sia rispettata, deve accettare gli usi e costumi del paese ospite. Non capisco perché nei paesi musulmani non si debba consumare alcool, ma se visito un paese musulmano bevo alcool solo nei luoghi deputati (come gli hotel per europei) e non vado a provocare i locali tracannando whisky da una fiaschetta davanti a una moschea. E se un monsignore viene invitato a tenere una conferenza in un ambiente musulmano, accetta di parlare in una sala decorata con versetti del Corano.

L´integrazione di un´Europa sempre più affollata di extracomunitari deve avvenire sulla base di una reciproca tolleranza. E colgo l´occasione per fare un´obiezione alla mia amica Elisabetta Rasy, che recentemente sul Sette del Corriere della Sera osservava che "tolleranza" le pare un´espressione razzista. Ricordo che Locke aveva scritto un´epistola sulla tolleranza e un trattatello sulla tolleranza aveva scritto Voltaire. Può darsi che oggi "tollerare" sia usato anche in senso spregiativo (io ti tollero anche se ti ritengo inferiore a me, e proprio perché io sono superiore), ma il concetto di tolleranza ha una sua storia e dignità filosofica e rinvia alla mutua comprensione tra diversi.

L´educazione dei ragazzi nelle scuole del futuro non deve basarsi sull´occultamento delle diversità, ma su tecniche pedagogiche che inducano a capire e ad accettare le diversità. E da tempo si ripete che sarebbe bello che nelle scuole, accanto all´ora di religione (non in alternativa per coloro che cattolici non sono) fosse istituita almeno un´ora settimanale di storia delle religioni, così che anche un ragazzo cattolico possa capire che cosa dice il Corano o cosa pensano i buddisti o gli ebrei (e musulmani o buddisti, ma persino i cattolici, capiscano come nasce e cosa dice la Bibbia).

Invito a Adel Smith, dunque, e agli intolleranti fondamentalisti: capite e accettate usi e costumi del paese ospite. E invito agli ospitanti: fate sì che i vostri usi e costumi non diventino imposizione delle vostre fedi. Dopo di che si aprano tutti i dibattiti possibili sul chador e si ricordi e da tempo consento con chi si è recentemente espresso in questo senso che abbiamo il diritto e il dovere di fissare i limiti oltre i quali qualcosa diventa per noi intollerabile. Per fare un esempio estremo (ed evidentemente incontrovertibile, ma è bene partire dal senso comune) possiamo capire e spiegare il cannibalismo rituale in società lontane, ma se un membro di quelle società viene da noi deve astenersi dal consumare carne umana, perché da noi non solo è reato che sarebbe ancora poco ma un´offesa agli usi e costumi, e quindi alla sorgente stessa dei nostri atteggiamenti passionali.
Inutile fare esercizi di giurisprudenza o di diritto ecclesiastico su ciò che appartiene all´antropologia culturale. Bisogna rispettare anche le zone d´ombra, per moltissimi confortanti e accoglienti, che sfuggono ai riflettori della ragione.

Umbero Eco

 Alba Sasso    - 01-11-2003
Aspre polemiche sono state sollevate in merito alla recente sentenza del tribunale di Aquila sulla rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche del Comune di Ofena. Assisto sgomenta ai toni da vera e propria guerra di religione che sono stati adoperati da più parti e mi sembra d’essere di fronte a un delirio collettivo.

Non saprei come esprimermi altrimenti, dal momento che assistiamo a un muro contro muro di natura meramente ideologica, in cui si confrontano e si scontrano con veemenza inaudita gli integralismi e i fondamentalismi contrapposti, e in questo clima di scontro acceso sono, purtroppo, le voci della ragione quelle che rischiano di essere ridotte al silenzio. Voci che dovrebbero ricondurci con serenità e con obiettività ad analizzare il merito della questione: e nel merito vanno ribaditi con chiarezza, ma con animo pacato, alcuni punti fermi da cui non possiamo prescindere nell’affrontare un dibattito come questo, se non vogliamo scivolare nella deriva dell’ideologia.

Innanzi tutto, le norme legislative che prevedevano l’esposizione nelle scuole del crocifisso derivano dallo Statuto Albertino, il quale, forse non è inutile ricordarlo, non esiste più, essendo stato sostituito dalla Costituzione Repubblicana. La modifica del Concordato approvata nel 1984 abolisce, poi, qualsiasi riferimento alla religione cattolica come religione di Stato. Se ci fossero ancora dubbi nel merito, è utile ricordare la sentenza della Corte Costituzionale n. 203/1989 che sancisce il principio supremo della laicità dello Stato, e la sentenza della Cassazione (IV sezione penale n. 439/2000)-di cui tutti parlano e che nessuno pare abbia letto- che confuta con ampia e argomentata esposizione un precedente parere del Consiglio di Stato, secondo il quale il nuovo Concordato non avrebbe mutato la precedente legislazione fascista.

E sulla base di questa giurisprudenza appare giuridicamente legittima l’ordinanza del magistrato di Ofena.

Ma, impropriamente, il dibattito si è spostato sull’identità culturale e le radici etiche, morali, religiose dell’Italia. E su questo ci sarebbe molto da discutere. L’unità d’Italia è stata costruita da personalità assolutamente laiche, Cavour, Mazzini e Garibaldi e lo stato unitario si è formato sulla base della negazione del potere temporale della Chiesa. Così come lo Stato di oggi è, come dichiara la costituzione repubblicana, uno Stato laico e aconfessionale. Di che stiamo discutendo, allora? Credo che dovremmo invece ragionare sui principi fondamentali e ineludibili su cui poggia la convivenza civile di un paese moderno, laico e pluralista come l’Italia e su come essi debbano informare la vita quotidiana della scuola , luogo di formazione della coscienza civile e democratica , luogo di costruzione di un’etica pubblica condivisa, rispettosa delle scelte e delle culture di ognuna e ognuno.

E forse occorrerebbe rispettare un po’ di più la scuola e l’autonomia scolastica.

Perché la scuola, sul terreno dell’integrazione tra “diversi”, del rispetto per ogni bambina o bambino, sul terreno della laicità concreta e pragmatica, è sicuramente più avanti di questo dibattito.


 DON FRANCESCO MARTINO, ex insegnante di religione, precario.    - 03-11-2003
RIPORTARE L'ARGOMENTO CROCIFISSO ALL'INTERNO DI UN DIBATTITO DEMOCRATICO.

Ho letto con grande attenzione tutto il dibattito suscitato dal crocifisso su "Fuoriregistro". Ho apprezzato le riflessioni di Sasso, di Roman e sopratutto di Eco qui riportate. Però, anche da sacerdote cattolico, pienamente cosciente che in Italia il fatto cristiano è argomento di una minoranza di cittadini forse quantificabile al 10-20%, mi sembra che sia opportuno, nella logica di uno Stato e di una Scuola pluralista e multietnica, ricondurre il dibattito all'interno della democrazia, che è il nostro costitutivo culturale fondamentale, a cui, con difficoltà, in Europa siamo giunti dopo decenni di lotte sanguinose anche di religione e di scontro tra avversi totalitarismi. Non si può opporre totalitarismo a totalitarismo, o integralismo a integralismo, come anche laicismo a confessionalismo. Per questa ragione non vedo con favore la legislazione laica francese, che abolisce ogni simbolo religioso, e non sono daccordo sul divieto che vuole impedire a due bambine di portare il chador a scuola. Non vedo con favore una società che - come giustamente sottolinea Eco - abolisce tutti i simboli. Ma, nell'ottica pluralista, vedo con favore una società e una scuola che accetta tutti i simboli. Non credo che la presenza o non presenza del crocifisso dalle scuole pubbliche sia oggetto di decisioni solo di un consiglio di istituto, come sostiene la Sasso : ma penso che debba essere frutto di un serio, sereno e motivato dibattito che deve coinvolgere democraticamente tutti coloro che sono nella scuola, senza pregiudiziali o preclusioni reciproche, sulla presenza dei simboli religiosi: dalle Assemblee di Classe alle Assemblee dei Genitori, dalle Assemblee di Istituto ai Collegi dei Docenti, per arrivare al Consiglio di Istituto tutti devono esprimersi sul valore o non valore della croce e degli altri simboli: e chiedersi il senso che essi hanno oggi qui, per noi, per la nostra storia, la nostra cultura, il nostro vissuto, la nostra fede. Perchè se un simbolo è per noi vuoto, non ha nessun valore. Personalmente, io cristiano, se vedo esposta in una scuola una sura del Corano in cui c'è il nome di "Allah" la rispetto e la onoro, perchè quella mi rappresenta il nome del Dio unico di tutte le religioni che i mussulmani per me conoscono in parte, come un germe di verità. Dicasi lo stesso dei simboli ebraici. Sarei contentissimo se nelle nostre scuole potessi incontrare ragazze con il chador, ragazzi vestiti come ebrei ortodossi, ecc. : perchè credo che il confronto tra le identità è motivo di crescita, il non confronto è impoverimento. Voler difendere un simbolo a tutti i costi contro gli altri è indice di debolezza, non di forza : significa aver paura del confronto, del dialogo, dell'incontro; significa essere coscienti che quel simbolo non ha più valore interiore, e si ha paura di perderne anche l'esteriorità.
Un giorno, entrando in una classe, presi il crocifisso appeso al muro, lo staccai dalla parete, lo baciai e lo misi nel cassetto: ai miei studenti sgomenti, che reagirono come alla sentenza di Ofena, feci capire che quel segno o aveva per loro un valore effettivo, e quindi aveva piena cittadinanza di essere lì esposto, oppure, se non significava assolutamente nulla per loro, era inutile tenerlo esposto, perchè non si può offendere la più alta espressione di amore per l'uomo che Dio ha avuto con l'indifferenza.

 Sadecito Ars    - 11-11-2003
Notevole (e noiosa) la ennesima paraculata di Umberto Eco! Sembra un politico professionale, quasi quasi allevato in una sezione del togliattiano ipocrita PCI!