Diciotto minuti. Tanti, su un totale di poco più che trenta, ne ha dedicati TG1 stasera alla notizia dell’arresto di alcuni presunti terroristi.
Diciotto minuti per dar tempo al Presidente del Consiglio e ad alcuni servi sciocchi di ripetere più e più volte che i presunti – o pretesi? – brigatisti catturati sono membri del partito comunista armato e combattente.
Diciotto minuti, al tg di prima sera e in apertura, per relegare nelle note di cronaca i milioni di lavoratori mobilitati contro un governo che vede sgretolarsi sempre più rapidamente la propria base sociale.
Diciotto minuti far dire al ministro Pisanu che, guarda caso, oggi si è varata la legge Maroni ribattezzata Biagi, oggi che i terroristi sono in trappola e un paese di sconsiderati sciopera invece di ringraziare il governo che lavora.
Diciotto minuti per condizionare, mistificare, soggiogare, annichilire.
Diciotto minuti per ingigantire.
Diciamolo, occorre dirlo: nessun commando brigatista è tornato mai così utile ad un governo quanto quello che stanotte è stato preso su appuntamento alla vigilia dello sciopero generale. Su appuntamento, in modo che ci fosse il tempo per mandare in onda un corpo insanguinato in un lenzuolo bianco e il rinnovato dolore dei parenti delle vittime prontamente intervistate.
Diciotto minuti di nulla vestito da notizia sono stati usati stasera per confondere le idee al paese, prima di mandare in onda i brevi servizi sulla mobilitazione del paese contro il governo. Pochi, col silenzio calato ad arte sulla partecipazione dei sindacati di destra, con l’ombra lunga del “terrorismo comunista” che non sta né in cielo né in terra e con D’Amato che ha potuto dire: sciopero sbagliato.
Guardando, mi è venuta in mente una celebre arringa di Giovanni Bovio al primo grande processo politico messo su ad arte contro operai in lotta per difendere la propria dignità nella Napoli di fine Ottocento.
Filosofo e oratore inarrestabile - un tribuno che trascinava, incantava e convinceva - quel giorno Bovio fu avvocato stupendo ed ebbe il dono della premonizione. Si rivolse alla corte, ma parlò alle classi dirigenti e le ammonì, dando voce alla protesta dei lavoratori:
Non vi neghiamo i tributi e la difesa e neppure il lavoro vi neghiamo, ma solo che rimuoviate gli ostacoli che fanno il lavoro impossibile o sterile per noi. […] Vogliamo la pace: non rispondeteci coi fucili nelle mani dei nostri figli e con aspre sentenze. […] I chierici ci fecero dubitare di Dio; i signori feudali ci fecero dubitare di noi stessi, se uomini fossimo o animali; la borghesia ci fa dubitare della patria da che ci ha fatti stranieri sulle terre nostre; non ci fate dubitare voi o giudici, non ci fate, per queste braccia scarne, per carità di voi stessi e per quel pudore che è l’ultimo custode delle società umane, non ci fate dubitare della giustizia. Che ci resterebbe? Temiamo di domandarlo a noi stessi: di noi temiamo, non della sentenza. “Io fui nato ad esser cavaliere e tu mi hai fatto malfattore, ed ora ti fai giudice!”. Così gridò il figlio a Nicolò terzo estense provocatore e parricida. E noi chiediamo a quelli che ci chiamano fratelli: noi fummo nati al lavoro e deh, non fate noi delinquenti e voi giudici!
E dopo queste voci, magistrati, arriva la vostra parola.
Gli imputati furono condannati, i giudici crearono i delinquenti e il sangue corse. Umberto I, che aveva decorato generali fucilatori d’inermi, cadde ucciso anni dopo. Non fu cosa giusta né ingiusta. Fu semplicemente inevitabile. Il terrorismo è parte della storia: ha effetti e cause.
Bovio lo aveva detto: il mio linguaggio non è da tribunali e i giudici sono di parte. Parlava davanti alla storia il filosofo e la storia ha accolto le sue ragioni: i lavoratori che aveva difeso ottennero ciò che chiedevano.
Se fossero più saggi, il Presidente del Consiglio, i servi sciocchi ed i venditori di fumo capirebbero. Ora comunque sono avvertiti: nemmeno un milione di volte diciotto minuti basteranno a riportare indietro l’orologio della storia. Tornino a studiarla, se serve - ne sanno davvero poco - e facciano presto: ogni tempo viene e nessuno potrà lamentarsi domani per quello che liberamente sta scegliendo oggi.
24 ottobre 2003