La stupidità degli uomini e l'intelligenza dell'umanità
Gianni Pardo - 19-10-2003

Considerando gli uomini - la loro pochezza, i loro pregiudizi - è lecito stupirsi dei grandi risultati cui è giunta l’umanità. E tuttavia l’umanità è composta proprio da quegli uomini che ne sembrano tanto indegni. Questo contrasto va spiegato.

Le formiche hanno un'organizzazione sociale perfetta di cui il singolo non si rende conto ma che non per questo è meno ammirevole. Essa non è il risultato di un'evoluzione finalistica, e non è mai esistita una formica-Solone che abbia stabilito la costituzione della comunità: tuttavia, in tanto le formiche sono sopravvissute come noi le conosciamo, in quanto, per via d’evoluzione, si è creata quell'organizzazione. Il formicaio - così come l'alveare o il termitaio - ha un'intelligenza di gran lunga superiore a quella del singolo insetto.

Difficilmente, per l'intelligenza dell’umanità, può essere data la stessa spiegazione evoluzionistica. L’uomo civile è acutamente cosciente di sé ed è in larga misura l'autore del proprio mondo. La società umana, con le sue leggi e le sue convenzioni, non è esclusivamente frutto d’istinto: proprio per questo è molto varia e, purtroppo, non sempre migliore di quella delle formiche. Questo è stupefacente. Soprattutto visto che l’uomo è intellettualmente in grado di capire il senso della propria organizzazione sociale. La formica non conosce la politologia e il diritto, ma non conosce neppure il disinteresse per la comunità, la violenza e il reato di strage. L’uomo invece è occasionalmente egoista, ribelle e criminale. E tuttavia, ciò malgrado, l’umanità nel suo complesso ha conquistato vette intellettuali impensabili non solo per le formiche, ma anche per l’uomo medio.

Il successo della nostra specie si spiega distinguendo l’uomo dall’umanità, così come si distingue il concetto di formica da quello di formicaio. L'essere umano, singolarmente preso, è per sua natura più emotivo che razionale ed ha una incomprensibile tendenza all'antropomorfismo. Ambedue queste caratteristiche sono profondamente negative per la scienza. La realtà fisica, chimica, meteorologica ecc. non conosce le emozioni e ignora totalmente il modo in cui l’uomo la percepisce. Per esempio, quando muore un giovane o un bambino, tutti abbiamo un sentimento di grave ingiustizia. Ma il sentimento dell'ingiustizia presuppone che la Morte (personaggio mitologico) dovrebbe avere la volontà di colpire scientemente chi lo merita o, almeno, chi ha già avuto il tempo di profittare della vita. Questo è assurdo. Per la realtà, e per la scienza, un essere umano muore quando esiste una causa sufficiente per farlo morire. E basta.

Se perdono una battaglia, diceva Lévy-Strauss, i selvaggi non pensano che i nemici erano più numerosi, o meglio armati, o più coraggiosi di loro: pensano solo che lo stregone dei nemici ha fatto un incantesimo migliore del loro. Ecco una spiegazione magica del reale che tuttavia non è solo dei primitivi. Se durante un naufragio l'equipaggio si salva miracolosamente, si ringrazia Dio. Se tutti muoiono, di Dio non si parla. Non è ovvio che questo atteggiamento non è dissimile da quello dei selvaggi? Con un'aggravante: mentre i selvaggi, coerentemente, dànno al proprio stregone la colpa della sconfitta, i credenti assurdamente ringraziano Dio per le cose buone e non parlano neppure, di lui, per le cose cattive. Anzi tutti ridono di quei paesi che, delusi dal mancato intervento del santo protettore in occasione di una catastrofe, lo cambiano.

L'atteggiamento scientifico è contrario alla natura umana perché non tiene conto degli interessi dell'uomo e del suo antropomorfismo. Chi è tanto compiutamente "scientifico" da non aver detto una volta in vita sua "sono sfortunato"? Quanti non hanno detto "se vado a prendere l'autobus arrivo giusto in tempo per vederlo andar via"? Come ammettere che Mozart sia stato ucciso da una banale malattia? Non è più "umano" pensare che l'abbia avvelenato Salieri? Questo dà una spiegazione "umanamente razionale" della sua morte ed anche, vantaggio non indifferente, qualcuno su cui scaricare la propria collera. Si potrebbe continuare all'infinito.

Tenendo conto della mentalità umana corrente, la scienza, con il suo atteggiamento asettico, con la sua totale assenza di magia, col suo totale disinteresse per ciò che può far piacere o dispiacere, non sarebbe dovuta nascere. Essa non è conforme alla nostra sensibilità e alla nostra mentalità. Se è nata, contro gli sforzi dei benpensanti e dei pii, è per due ragioni: la testardaggine della realtà e l'utilità di certe nozioni scientifiche.

Se qualcuno vuole fare un grande quadrato con venticinque quadratini, potrà disporli in infiniti modi ma solo una disposizione gli darà un quadrato: e sarà quando metterà i quadratini in cinque file di cinque. Per quanto si possa desiderare un certo risultato, per quanto si reputi un certo metodo incontestabilmente adeguato ad ottenerlo, il risultato non sarà raggiunto che quando si userà il metodo oggettivamente valido nella realtà. È come avere cento chiavi diverse per aprire una porta: la porta sarà aperta solo quando si userà, fra quelle cento, la chiave giusta. La realtà non ha antropomorfismi. Non si entusiasma se la chiave viene trovata al primo colpo e non si commuove se la persona muore per non averla trovata: essa è di una testardaggine infinita, immutabile, inesorabile. È questa, fra l'altro, l'origine della sofferenza nevrotica. Se il nevrotico potesse vivere in una realtà che lo asseconda non si accorgerebbe neppure d’essere nevrotico. La sua sofferenza nasce dal fatto che la vita lo contraddice senza pietà e ad ogni occasione.

Ma questa testardaggine della realtà ha anche un lato positivo. Mentre i tentativi sbagliati, per quanto diversi, dànno sempre un cattivo risultato, il tentativo giusto, che è uno solo, dà sempre un buon risultato. La realtà è un maestro paziente, capace di rispondere infinite volte no all’alunno che sbaglia e infinite volte sì a quello che dà la risposta giusta. E questo conduce al secondo punto.

Chi occasionalmente, oppure provando e riprovando, vede che un certo procedimento ottiene certi risultati può, per il suo interesse e non certo per amore della conoscenza, cercare di ricordare qual è stato il procedimento di successo. Non si crea certo la scienza come metodo, ché anzi molte volte neppure si sa perché si ottiene quel certo risultato, ma si è creato un sistema per avere un vantaggio. Le piante medicinali sono state usate per millenni, ma solo quando si è giunti alla raffinata biochimica moderna si è saputo il perché dei loro effetti.

Questi due elementi messi insieme - testardaggine del reale e utilità dell’invenzione - spiegano come mai l'umanità sia giunta ad un così grande patrimonio di verità. In campo scientifico, e soprattutto come mentalità, singolarmente l’uomo non è tanto più intelligente di una formica: ma alla lunga ha la capacità di ricordare le lezioni della realtà e questa lo ha guidato, nel corso delle decine di millenni, col bastone della propria severità e con la carota dei risultati positivi ottenuti.

Un esempio eccellente in questo senso è la chimica. Con l’alchimia non si è ottenuto nulla, la realtà ha risposto testardamente di no. Tuttavia, come sottoprodotto della ricerca, si sono notate certe costanti e certi fenomeni e così, dalla pietra filosofale, che l'uomo non ha trovato, si è giunti alla chimica, che l'uomo non cercava ma che la realtà continuava imperterrita ad offrirgli. C’è voluto tempo, ma alla fine l’uomo ha cominciato a prestare orecchio all’insegnamento che gli fornivano i suoi esperimenti.

Dopo Galileo, lo scienziato moderno è finalmente divenuto cosciente del metodo che utilizza e della mentalità che deve guidare le sue ricerche. È nata la scienza come categoria dello spirito. Nessuno scienziato serio prenderebbe in considerazione il racconto di una telecinesi. Il racconto di qualcosa può anche essere il racconto di una favola. La risposta dello scienziato è hic Rhodus, hic salta. Mostratemi l’esperimento o, ancora meglio, descrivetemi le condizioni affinché lo possa realizzare io stesso, e vi crederò. E se nessuno risponde all’invito, il racconto viene preso per quella fantasia che è, e dimenticato.

Nel mare di un’umanità ancora un po’ primitiva, dalla mentalità antropomorfica e intrisa di magia, c’è un’isola di uomini razionali chiamati scienziati. O almeno, così dovrebbe essere. In realtà, nella maggior parte dei casi, gli scienziati sono tali solo nel loro campo. Gli astronomi non credono agli UFO, i medici sorridono dell'omeopatia, gli studiosi di statistica si tengono lontani dal Lotto: ma sono numerosi gli astronomi che credono all'omeopatia, i medici che giocano al Lotto e gli studiosi di statistica che credono agli UFO. E quando si teme di morire si vedono medici malati di cancro che ricorrono ai guaritori.

L'umanità è molto, ma molto più intelligente dei suoi componenti, scienziati inclusi. Per questo, quando si smette di leggere e si ha un reale contatto col prossimo, il senso di sconforto intellettuale è perfettamente giustificato.


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 ilaria ricciotti    - 19-10-2003
Il contatto con il prossimo, per me è il sale dell'umanità. Senza di esso non si può "alimentare e misurare" se stessi e quindi percepire e capire l'umanità intelligente.

 francesco bam.    - 18-05-2004
Ottimo intervento, chiaro, esaustivo, "paziente".