Una notte, mishmarà
Anna Pizzuti - 16-10-2003

Mishmarà è un termine ebraico che è tradotto con controllare, osservare, vigilare.

È scritto nella Torah in Genesi 32,25.

Scriviamolo nella vita di ciascuno di noi.

La sera del 15 ottobre, nel paese arrivò una donna vestita di nero. Essa andò a parlare con la moglie di un carabiniere, dicendogli che aveva visto un tedesco con un foglio in mano in cui c'erano scritti tutti i nomi dei capi famiglia ebrei, ma la moglie del carabiniere non volle crederci e ritornò alla propria tavola.

Così Giacomo De Benedetti racconta l'episodio nel suo 16 ottobre 1943

E' una donna vestita di nero, scarmigliata, sciatta, fradicia di pioggia », che dà il primo terribile annuncio: il comando tedesco ha in mano « una lista di duecento capifamiglia ebrei da portar via con tutte le famiglie. Credetemi! scappate, vi dico! - Vi giuro che è la verità! Sulla testa dei miei figli! - Ve ne pentirete! Se fossi una signora mi credereste».

Non fu creduta.

Il giorno dopo era un sabato, giorno di riposo per gli ebrei osservanti. E nel ghetto i più lo erano. Inoltre era il terzo giorno della festa delle Capanne. Un sabato speciale, quasi una festa doppia...

"La grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del 16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico. Contemporaneamente altri duecento militari si distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Quando il gigantesco rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani. Due giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz. " (F. Cohen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma)

"Cosa rimane in noi di quella vicenda? I muri di Roma, dei luoghi dell'affronto, del Portico d'Ottavia, delle ventisei zone in cui l'area metropolitana era stata suddivisa dai carnefici per meglio colpire le vittime, ancora portano indelebili e al contempo invisibili le tracce di quel che avvenne.
Indelebili poiché storia della città stessa, del suo passato recente. Trastevere, Tiburtina e tanti altri nomi indicano non solo la fisicità dei luoghi, allora come oggi, ma la concretezza e la materialità di quanti vi abitarono, in quei tempi come adesso. Sono siti della memoria poiché non sono consegnati al tempo senza tempo di un qualche museo, alla fossilizzazione e alla cristallizzazione propria ai reperti, bensì alla consapevolezza che ci accompagna ogni qualvolta camminiamo in quelle strade. Il tempo non solo non cancella quelle storie ma addirittura ce le avvicina ancora di più. Basterebbe volere sentire, percepire e vedere. Ma spesso non è così.
Infatti le tracce del passato sono invisibili perché ci si dimentica che sono patrimonio di ognuno di noi.
" (Claudio Vercelli)

Una mostra fotografica dal titolo Vicino a noi. I luoghi della deportazione degli ebrei di Roma, nata nel Centro Culturale Due Pini e continuata dalla Commissione per il dialogo con l'ebraismo della Diocesi di Roma e dal Centro Culturale L'Areopago , presenta immagini odierne dei luoghi che hanno visto la deportazione degli ebrei di Roma, scattate dai fotografi Francesco Rosa e Luca Servo .

Le immagini ci aiutano anche a ricostruire dove vennero trascorsi i due giorni che precedettero la partenza senza ritorno.
















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 ilaria ricciotti    - 16-10-2003
Mishmarà una parola importante, troppo importante per dimenticarla. Donne vestite di nero girano ancora in Israele ed in Palestina. Mishmarà dovrebbe essere la loro e la nostra parola d'ordine per non vedere più quegli orrori, per non sentire più urla e vedere rigoli di sangue dall'una e dall'altra parte, così come in altre parti del mondo. Mishmarà dovrebbe conquistare e regnare nei cuori di tutti noi.