Sinergie di ieri e di oggi
Ilaria Ricciotti - 06-10-2003
Ringrazio Emanuela che con il suo scritto mi ha permesso di riflettere e ripensare ad uno spaccato della mia vita passata, che non certo rimpiango, ed alla mia vita di oggi. Vita che fino ad ora non è stata scalfita ed ingiallita dal tempo. Vita che possiede ancora quella forza per pretendere un mondo più giusto.

A 22 anni sono stata travolta da un fiume prorompente di voci umane. Richiedevano lavoro ed il rispetto dei diritti sanciti dalla nostra Carta Costituzionale.
Erano uomini forti e dignitosi di un paesino del Goceano, dove a 22 anni mi sono trovata catapultata come emigrante per insegnare a ragazzini di scuola media.
Essi, unitamente ai loro bambini ed alle loro donne, facevano sentire la loro protesta sociale e sindacale, in un luogo dove le uniche possibilità lavorative erano: emigrare in Germania, in Svizzera o chiedere nuovi posti occupazionali come guardie nel Demanio Forestale. Avrebbero potuto avere un'altra opzione a portata di mano, forse più remunerativa, ma non certo degna di uomini onesti e liberi: diventare membri attivi dell'anonima sequestri.
Quegli uomini avevano ben incisi nei loro cuori gli insegnamenti ancestrali dei loro padri, per seguire la strada dell'uomo "balente... furbescamente balente".
Ed allora non rimaneva altro che farsi sentire e chiedere ciò che spettava loro di diritto: il lavoro.
Anch'io mi sono unita a quell' esiguo movimento sindacale, compatto sì, ma poco rappresentativo in campo nazionale.
L'ho fatto con convinzione, perchè reputavo civilmente doveroso richiedere lavoro per coloro che non possedevano questo bene che ti garantisce di essere un uomo. Inoltre con quale coraggio avrei potuto insegnare ai loro figli la Costituzione?
Ho aderito allo sciopero e mi sono lasciata ancora travolgere dalla loro saggia determinazione, dalla loro ponderatezza, dalla loro lealtà, dalla loro sinergia: "tutti per uno, uno per tutti", sembrava essere il loro slogan.
Il fiume in piena aveva ormai rotto gli argini: non c'erano più indugi. Le vie di quel piccolo paesino avrebbero visto sfilare quasi tutti i suoi abitanti, tranne qualcuno che sarebbe rimasto dietro le finestre a godersi lo spettacolo o, peggio ancora, a cercare un cavillo per infierire contro i manifestanti.
Infatti, per colpa di costoro, abbiamo "sfilato" in pochi nell'aula di un tetro ed impressionante tribunale, dove un giudice avrebbe dovuto analizzare gli "illeciti" di 6 persone: 2 continentali e 4 del luogo.
Quel giudice, che non era certo "fazioso o di parte", come oggi vengono considerati da alcuni irresponsabili ed in malafede, ha capito ed ha emesso una sentenza che, se pur differenziata, nel complesso posso dire che, dati i tempi, era accettabile.
Sono trascorsi 33 anni da allora ed ancora oggi quel fiume in piena mi travolge, con la stessa intensità e forza di allora.
Insieme ad altri lotto, affinchè i diritti acquisiti non vengano cancellati da una spugna dorata, impregnata di apatia o di elemosina nei confronti di coloro che stentano a vivere con dignità o addirittura a sopravvivere.
Pur essendo trascorsi diversi anni, lo scenario è sostanzialmente sempre lo stesso.
L'unica differenza è che 33 anni fa (anni settanta, tanto per capirci) noi che lottavamo forse eravamo più spontanei, genuini, ingenui e non lo facevamo di certo per fare carriera. Io e molti altri infatti siamo rimasti semplici cittadini comuni, ma con la stessa dignità di sempre. E questo forse perchè siamo cresciuti in una società che non aveva toccato ancora l'apice del suo "faccendierismo" più sfrenato, dei suoi falsi bisogni e della sua logica mirata dell'"usa e getta". Allora dovevamo richiedere allo Stato che si facesse garante dei nostri bisogni primari. Stato che, pur contestabilissimo, era mosso da un'ideologia politica che non tendeva soltanto a soddisfare, sfacciatamente, gli interessi dei potenti, ma che cercava in qualche modo di accontentare anche gli altri, quelli che oggi vengono etichettati con specifici epiteti, considerati pericolosi perchè diversi e per questo da ripudiare.
Riflettendo con me stessa per un attimo, trovo che tutto ciò sia deprimente, frustrante e quasi kafkiano.
Tuttavia pensando e vedendo le piazze italiane e del mondo riempirsi di milioni di persone, la tristezza viene spazzata via e mi dico, "senza se e senza ma", che bisogna rimboccarsi le maniche e ricominciare a lottare. Questa volta però non soltanto in nome dei nostri bisogni non soddisfatti, ma per i nostri bambini e per i nostri giovani che non debbono perdere la speranza e non debbono vedere calpestati i loro diritti e soprattutto minacciato il loro futuro.
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