Tra appartenenza e cittadinanza
Giuseppe Aragno - 09-09-2003
Avevo messo nel conto le strumentalizzazioni: Capponcelli Robertino, uno che non so chi sia, manda in giro per Modena a nome della Gilda, una mail in cui mi fa dire cose che non penso. Mi dispiace per lui, ma io non sono “amaramente pentito”. Ognuno a suo modo e si sa: abbiamo stili diversi. Torna a merito nostro – della Cgil, intendo, di un sindacato che ha radici nobili – anche il dissenso fortissimo che non teme di uscire allo scoperto per tentare di aprire un dibattito alla luce del sole. Un dissenso che mette in discussione - l’ho scritto a chiare lettere - questa Cgil scuola” e, quindi, non la Cgil in quanto organizzazione che ha storia e connotazioni che mi appartengono. Una storia, consentitemi di ricordarlo, che per alcuni aspetti ho contribuito a ricostruire.
Come studioso e come militante – posso dirlo credo – come storico militante, mi assumo in pieno la responsabilità di ciò che scrivo.
In casa d’altri non guardo: agli altri, quindi, nessuna risposta.
Voglio dirlo a te, Vittorio, quel che mi sento di dire oggi, perché tu hai risposto come può e sa un compagno (me la consentite questa vecchia parola in disuso?) e come ho sperato rispondessero altri. Se li avessi, vorrei usare i toni alti, quelli che occorrono quando la questione è morale ed il profilo della discussione è alto. Vorrei usarli se li avessi, ma sono terribilmente stanco e misuro i toni come le forze. Tu però le accetterai le mie spiegazioni con l’onestà intellettuale che hai sempre dimostrato e capirai quanto male possa fare scriverle le parole che ti hanno fatto male. Capirai e perdonerai.
Dove finisce, Vittorio, il confine dei doveri che abbiamo verso le organizzazioni in cui militiamo? Qual è il discrimine tra vivere e militare? E perché le ragioni dell’appartenenza dovrebbero prevalere su quelle della “cittadinanza”? Tu sei troppo intelligente e preparato per non voler riconoscere che una questione morale affatica oggi la vita della Cgil Scuola: quale che esso sia, un gruppo dirigente che ha sostenuto una linea perdente e compromissoria – i cui effetti devastanti si misurano giorno per giorno nei posti di lavoro – dovrebbe avere la sensibilità di farsi da parte. E’ questione di credibilità.
Fai torto a te stesso e alla tua intelligenza, consentimelo, quando dici di non avvedertene. Gridiamo allo scandalo, attacchiamo giustamente Berlusconi per il “conflitto d’interesse – ed è questa la seconda questione che pongo – e non risolviamo i nostri conflitti d’interesse. I dirigenti scolastici, Vittorio, oggi sono a tutti gli effetti controparte. Se sul piano morale è intollerabile un vicario con funzione di RSU, perché sarebbero tollerabili Presidi che fanno i dirigenti sindacali? Non è questione di persone. E’ problema di ruoli.
Nella storia del movimento dei lavoratori, tipografi e calzolai, guantai e cerini, tutti i lavoratori insomma uscirono dal limbo del mutualismo e si organizzarono in leghe solo quando separarono le loro organizzazioni economiche da quelle delle rispettive controparti. Fu una svolta irreversibile. Non c’è sindacato o sindacalismo fuori da questo terreno. Ne va della trasparenza delle scelte e della coerenza tra teoria e prassi. Ne va della nostra storia e del nostro futuro. Del presente non dico: l’abbiamo sotto gli occhi. E bada. Non faccio questioni personali e potrei farne.
Non voglio sottovalutare in alcun modo ciò che tu dici sulle pubbliche affermazioni di quest’ultimo anno, affermazioni e poco altro, in verità. Non voglio e potrei, io che “con la faccenda della scuola pubblica” soffrivo “delle nostalgie di ex sessantottino” – cito testualmente dalle numerose definizioni usate da chi oggi dovrebbe guidarci alla battaglia in difesa della scuola statale – e avversavo la parità scolastica perché sono un incorreggibile “vetero comunista”. E lascio stare il linguaggio dei socialisti craxiani che, per quanto ne so, sono ancora al loro posto nell’organizzazione, se non sono passati al… polo delle libertà!
Le posizioni dell’ultimo anno. E potrebbero essere altre? E sarebbero le stesse se dall’altra parte il ministro fosse uno dei nostri? Posso esprimere dubbi? Sulla riforma universitaria, che è peggiore di quella della scuola, il silenzio è mortale. Se la nostra linea è cambiata, perché non denunciamo al paese cos’è davvero l’università disegnata da… da chi Vittorio? Dalla destra?
Le ambiguità ci hanno condotto sin dove siamo.
Ecco. Mi aspetto contestazioni di natura disciplinare. Le merito. Mi attendo l’espulsione. Venga. Però, Vittorio, a ciascuno il suo.
A te, che sei nostro iscritto solo da un anno, un augurio: che ti riesca là dove hanno fallito quelli come me. E Dio non voglia che tu tra qualche anno debba prendere pubblicamente posizione come faccio io. Perché tu lo faresti.
Lascio da parte, ma sarebbe da fare, un discorso più ampio sulla realtà internazionale. Che fine hanno fatto i lavoratori dell’Iraq “liberato”? Ho notizia di disperati appelli indirizzati ai sindacati occidentali. Ma anche lì, si sa, poco da fare. Lo sappiamo bene. Oggi i lavoratori che fanno i partigiani sono terroristi. Chi vuoi che li aiuti. La Cgil Scuola?

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 ilaria ricciotti    - 09-09-2003
Anche se i lavoratori partigiani non vengono aiutati dalla CGIL scuola, dovremmo sì denunciare questi fatti, ma a casa nostra, ed eventualmente, se non ascoltati anche fuori. Dovremmo tuttavia, almeno noi iscritti, noi base di un sindacato che ha portato avanti grosse battaglie contro quella controparte di un tempo, riappropriarci dei nostri ruoli e non delegare tutto ad un sindacato che, se permetti caro Giuseppe, compagno come me, spesso si ritrova solo a dover assolvere numerose incombenze, anche soltanto informative.
Per concludere, ho apprezzato molto questo tuo intervento, ma penso che non sia il momento questo di continuare a criticare proprio chi più di questo non può fare, perchè siamo governati da questo governo e non da quelli precedenti, dove era tutto più chiaro, e forse eravamo mossi da ideali che oggi anche tra i compagni sono diventati molto aleatori ed evanescenti. Pur non generalizzando,penso, perchè ne ho le prove, che molti di noi iscritti al sindacato si stanno adeguando ad una società dove fa comodo stare dalla parte della controparte; dove è più conveniente star zitti, farsi i fatti propri ed essere cinici, a meno che non ci si guadagni qualcosa in ciò che si fa.

 Pierina Dominici    - 11-09-2003
Da qualche giorno assisto ad una specie di “assalto a Giuseppe” .
Quanta fatica e sofferenza per affrontare la verità. Anch’io sono compagna e militante (ho pagato il mio prezzo anche per questo, ma sono convinta che non esistono scelte senza prezzo) e non capisco chi afferma “che i panni sporchi si lavano in famiglia” o non si debbano lavare affatto.
Io leggo “la contestazione” di Giuseppe come la strada di riflessione che permette all’organizzazione sindacale di ponderare, maturare e seguire scelte che siano rappresentative degli iscritti e del tipo di società che intende promuovere. Mi sembra che siamo in parecchi a non condividere gli “scivoloni” della sinistra e del sindacato, allora perché tacere e non levare alta la voce del dissenso?!