breve di cronaca
La Cina s'avvicina
Il Manifesto - 02-09-2003

ALESSANRO ROBECCHI



E'fatta. E' guerra alla Cina. Dalle valli bergamasche, dai quattro angoli della padania (che tanto confina con chi vuole lei e ha pure una filiale a Lampedusa), è scattata la grande offensiva. Il quattro per cento scarso dell'elettorato italiano dichiara una guerra commerciale a quasi due miliardi di cinesi. Un atteggiamento coraggioso e romantico, dettato probabilmente dall'overdose di polenta. Le esternazioni del capo, nella calura di mezzo agosto, sono state riprese dal signor Tremonti e finite anche sulla stampa economica mondiale. Come dire che se ne parla; si vedrà poi se qualcuno avrà il coraggio di dirlo alla Cina al vertice Wto di Cancun, ma c'è da dubitarne. Intanto, il popolo padano passa all'attacco e non c'è giorno che la Padania non ci informi sulle aberrazioni del mercato cinese, che cresce del sette per cento all'anno, ma fa gli spaghetti finti, i pomodori finti e trama ogni giorno per contraffare caciotte e taleggi delle nostre valli. Allarme rosso: il cibo, internet, l'industria pesante, il commercio, l'elettronica, presto tutto sarà cinese. Che beffa, ragazzi, dopo tanti anni buttati a difendersi da neri e terroni, ecco che ti frega «il cinesino» (come dice Bossi). Fremente d'indignazione anticinese, il popolo padano passa alle mani.
Mani forti e ruvide che erigono gazebo e avviano la raccolta di firme contro la Cina, a favore dei dazi doganali. L'accusa è: concorrenza sleale. I padani scendono dal pero e notano sbalorditi che un operaio cinese costa 60 cents all'ora, mentre da noi abbiamo l'articolo 18 e la legge 626, che è come avere le scarpe di piombo. E via con la campagna: lettere, pareri, interventi, tutti a chiedere di difendere le imprese padane. Strano, perché intanto le imprese padane aprono in Cina proprio per quella faccenda dei 60 cents all'ora, e forniscono macchinari al famoso «cinesino», ma questi sono dettagli. Il fatto è che le riflessioni ardite su liberismo, giustizia, sfruttamento dei lavoratori, capitalismo e diritti - tutte cose sentite fin qui dire dai comunisti, quei pelandroni - creano un mix esplosivo nella testa del padano, un po' come un camaleonte su una tela scozzese, non sa più che fare, di che colore diventare, impazzisce. Fioccano le adesioni incondizionate. La guerra alla Cina è fatta soprattutto da interventi, ardite teorie, riflessioni fatte in famiglia. Con un approccio sereno ma deciso e una sentenza unanime: se i cinesi costano poco facciamogliela pagare. Chi aderisce per difendere le imprese, chi per difendere le famiglie, chi il livello di vita e chi prodotti padani.


Ma c'è sempre qualcuno che esagera, gli scappa il piede sull'acceleratore e parla pure di «diritti dei lavoratori» e «predatori multinazionali». Si sostiene però in un titolo che Bush (a proposito di predatori multinazionali) copia Bossi e vuole i dazi. Gran confusione sotto i cieli delle repubbliche celtiche. E' così che funziona: uno parte lancia in resta per difendere il taleggio dai cinesi, ma poi si ritrova il feroce liberismo anche sotto casa. Come scrive alla Padania il lettore De Marco, da Feltre: va bene i cinesi, ma la concorrenza sleale la fanno anche i grandi magazzini a noi piccoli esercenti. Porca miseria, se cominci a guardare il liberismo in Cina finisce che poi lo vedi dappertutto.E' innegabile: questa padana presa di coscienza sulle differenze di diritti nel mondo ha un brutto odore di paura. Nell'immaginario leghista, nella propaganda xenofoba, nei Gentilini e nei Bossi c'è - centrale - questa figura minacciosa dello straniero. Già, lo straniero è quello che viene qui e «ci porta via il lavoro». Se si scopre che i cinesi ci portano via il lavoro pure rimanendo in Cina, come la mettiamo? E' il disastro.

Dunque oltre all'adesione sull'attenti al pensiero del capo e alla raccolta di firme, c'è anche qualche dubbio filosofico, piccoli cortocircuiti che danno il mal di mare. Scrive alla Padania il lettore Sergio Cocito, da Torino: «Come possiamo aiutarli a casa loro, se non ci lasciano lavorare?». Magistrale sintesi, quasi poetica, mirabolante, dello stato mentale del leghista medio, al tempo dei cinesi.
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 sandro    - 20-11-2003
I cinesi per costituzione non rispettano ne i brevetti ne i marchi depositati
su queste basi non si può continuare ad avere uno scambio culturale e commerciale
non si può solo prendere.
i cinesi solitamente lavorano per cinesi e non partecipano alla vita sociale della comunità che li ospita
spesso dopo molti anni che vivono e lavorano quì
non hannoancora imparato più di 100 parole italiane.