breve di cronaca
Un ricordo
Fuoriregistro - 07-07-2003


E' passato un anno dalla morte di Pietro Valpreda.
Lo ricordiamo senza rumore, lasciando che le sue parole interroghino il nostro presente.
"Credere nella verità non comporta credere nella giustizia. In questi ultimi tempi abbiamo visto che, forse, credere nella verità è porsi in antitesi con la giustizia".





Facendo il minimo rumore possibile,

faccio colazione, sono le cinque e un quarto e tutti dormono al rifugio Franchetti. Esco ed è già chiaro, oggi resterà sereno il tempo che occorre alla nube del Gran Sasso per avvolgere tutto.

Mentre scendo il sentiero mi faccio la domanda che spesso frulla in testa agli scalatori, prima della salita di una via di un certo impegno:” Ma che cavolo faccio … non mi conviene restare al rifugio e farmi una bella e tranquilla passeggiata?” Quante volte mi farò questa domanda e mi risponderò che vale la pena provare? Quando accadrà che mi dirò che è ora di darmi una calmata? Quale è la molla che mi spinge e carica ancora, ormai da molti anni, a cercare nell’arrampicarmi su rocce, sempre più difficili, non so cosa e non so perché? Domande senza risposta, l’alpinismo è forse una domanda senza risposta …? Comunque vado, un piccolo sforzo e supero questa abituale indecisione, oggi forse più forte perché sono solo e da soli ci vuole un po di più di tutto.


Il mio obiettivo è un pilastro della Est del Corno Piccolo, dove già esiste un itinerario di Tiziano Cantalamessa e che, anche per questo, è dedicato alla sua memoria. Cercherò di aprire una via che sale sulla destra, dove una serie di strapiombi poco invitanti, sono una “linea di salita”. Non è importante che sia bella o brutta, difficile o facile … è una linea della parete e, dato che l’ho intuita, letta e progettata, oggi cercherò di realizzarla.


Arrivo alla base del pilastro e mi accorgo che la fessura sotto il primo tetto è larga ed io ho portato solo friend medi, per risparmiare sul peso … in qualche modo farò!

Ormai tutto è automatico, mi preparo e attacco il primo tiro. Roccia buona e difficoltà contenute, attrezzo la sosta, mi calo, recupero il materiale e lo zaino e risalgo con le jumar.

L’impressine della dimensione fessura era corretta, è larga ed io ho un solo friend che le si adatti. L’arrampicata è artificiale, se fosse attrezzata è certamente fattibile in libera, ma ora non è il momento di pensare alla libera. Traverso sotto il tetto utilizzando il solo friend adatto, alternato ad un paio di chiodi in buchetti. Con un passo non banale sono in un buon punto per la sosta. Mi calo, anzi traverso in discesa, per pulire il tiro. Mi rendo conto che non sarà facile tornare alla sosta. Con una serie di piccoli pendoli risalgo, sono già stanco al secondo tiro. Cerco di recuperare la corda e questa si incastra in una scaglia rovescia accanto alla sosta sotto. Devo tornare sui miei passi e lo posso fare solo riattrezzando, almeno in parte, il tiro. Con il friend mi aiuto a traversare, libero la corda e cerco di tornare sotto la verticale della sosta superiore. Ora non ho il tiro attrezzato, provo a procedere con il friend ma, dopo pochi metri, inesorabilmente, parto per un bel pendolo. Prima di risalire sistemo la corda, non vorrei che si impigliasse ancora. Naturalmente, quando vado a recuperarla, si è di nuovo incastrata … La mia determinazione comincia a vacillare. Per l’ennesima volta scendo e risalgo … ormai conosco bene questo tratto di parete..

Attacco il terzo tiro, uno strapiombo giallo e liscio. In qualche modo riesco ad alzarmi in artificiale, ad occhio mi sembra che ora posso procedere in arrampicata libera.

Mi sento chiamare, è Luca, Roberto e Piero. Vecchi amici e compagni di cordata:” Ci vediamo in cima”. Loro saliranno una via recente, sulla stessa parete.

Ritorno ai miei problemi e pianto un chiodo, dall’apparenza poco rassicurante, in un buco. Tanto non mi servirà, non ho intenzione di volare. Salgo ancora e mi rendo conto che gli appigli, che sembravano buoni, si rivelano poco saldi, anzi non sono appigli ma blocchi che aspettano un cretino che li tiri giù. Visto che sono cretino ne tiro via uno bello grosso e, già che ci sono, me lo sbatto in faccia. Volo all’indietro a braccia aperte … Quante cose si pensano in quell’interminabile frazione di tempo, sento come una rassegnazione all’inevitabile, cado e mi preparo a farmi male … cado e cado. Poi, quasi inaspettatamente la corda smette di scorrere e si blocca, sono appeso come un salame e subito penso:”Il gri-gri tiene i voli”. Poi mi meraviglio che il chiodo abbia tenuto. Sospeso nel vuoto cerco di risalire, ma mi fermo subito, devo riprendere il controllo, mi accorgo che le mie mani tremano. Tasto la faccia, il sangue esce dalla ferita provocata dal blocco, ma sembra che si fermi tamponandolo con la maglietta. Come un ragazzino mi sorprendo a pensare alla “scena” che farò al rientro al rifugio.

Risalgo con un prusik ed il gri-gri, fino al chiodo. Si è spostato, l’anello si è poggiato alla parte inferiore del buco, ma ha tenuto. Solo per un attimo penso di scendere, ma solo per un attimo. Cambio strategia e anziché salire, traverso ancora in po sul bordo dello strapiombo. Mi trovo alla base di una breve fessura, formata da un grosso blocco, lo tasto e questo suona. Sono abituato alla roccia cattiva ma oggi, da solo e dopo la caduta, mi sento meno sicuro, comunque non è il caso di tornare in dietro, è meno rischioso salire. Pianto un chiodo che allarga la fessura, metto una staffa e non so cosa fare, un secondo chiodo allenterebbe quello sotto. Dopo una breve riflessione amletica, tipica dell’arrampicata artificiale, opto per un chiodo ad U, messo un po storto che sia, più che piantato, incastrato. Così la fessura non si dovrebbe allargare. Sembra che vada, con grande cautela carico la staffa e salgo.

Attrezzo la sosta e sono sospeso nella nebbia, la nuvola del Gran Sasso è arrivata da un pezzo, ma io ero troppo preso con le mie tribolazioni. Scendo, pulisco il tiro e risalgo con lo zaino.

Mi aspetta un bel diedro compatto, troppo compatto, quasi liscio e verticale, niente di simile al tiro sotto. Dopo un tratto di difficile arrampicata libera, sono costretto ad usare ancora l’artificiale. Metto un friend e provo se tiene. Ancora non ho imparato a spostare il viso quando provo un ancoraggio. Me lo stampo sulla mascella e completo l’opera iniziata con il tiro precedente. Blocco il sangue con la solita maglietta, che ormai ha le maniche rosse (il mio colore preferito) e riprovo con una misura di friend diversa.

Finalmente esco dal tratto duro della via, ora dovrebbe essere meno difficile.---

Faccio due tiri di settanta metri su difficoltà classiche, in solitaria si arrampica con una singola (anche di settanta metri) e non si hanno problemi di scorrimento, la corda è fissa.

Sono stanchissimo, ho le mani piene di piccole ferite, tutte le martellate andate a vuoto e le conseguenti botte delle nocche sulla roccia. Per evitare di salire, scendere e di nuovo salire ogni tiro, decido di uscire slegato per la via “FIRST”, che da qui è più facile, ma dovrò caricarmi tutto sulle spalle.

Con attenzione e calma, salgo un’interminabile serie di placchette, lo zaino con il materiale mi fa penare, ma sono in cresta prima delle cinque del pomeriggio. Da solo e facendo il minimo rumore possibile, anche questa è fatta.


Immerso nella nebbia, mi avvio sulla cresta Nord del Corno Piccolo. All’uscita della via che stanno salendo Luca, Roberto e Piero, gli faccio una voce, mi risponde Luca. Non li vedo, avranno ancora tre tiri. Continuo da solo verso il rifugio.

Più stanco del solito rimugino sulle motivazioni che mi portano a ciò, ma ormai tutto è passato e già progetto la prossima salita … forse ancora da solo.

Il giorno dopo, a casa, apprendo che è morto Pietro Valpreda. Ricordo bene quegli anni bui e l’orrendo complotto ai nostri danni, che ha costellato la storia d’Italia di stragi impunite. Pietro è stato perseguitato per le sue idee e ha scontato colpe non sue e, né lui né noi, abbiamo avuto giustizia. Chi doveva difenderci da ciò è stato complice e mandante e, ancora oggi, perpetua il suo piano.

Dedico questa via a Pietro Valpreda.

Roberto Iannilli

15 Luglio 2002







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 ilaria ricciotti    - 07-07-2003
Anche Valpreda, pur non essendo un uomo di spettacolo, ma di vita, rimarrà nei cuori di quanti come lui hanno lottato e continuano a lottare contro le ingiustizie e affinchè trionfi sempre la verità.
Il mio rammarico è che gli uomini come lui purtroppo vengono messi nel dimenticatoio delle menti di coloro che, pur avendo a loro fatto del male, non permettono che il proprio cuore parli, si scusi. Comunque non importa, perchè sarà la storia a far uscire gli scheletri che questa gente ha chiusi a chiave nei loro armadi pulsanti.