Per gli 80 anni di don Milani
«Era un uomo combattivo, morto a soli 44 anni, con un processo di appello ancora da affrontare, una scuola da mandare avanti, e una malattia gravissima sulla quale riusciva a scherzare. Al suo avvocato Adolfo Gatti scrisse: Contro ogni regola scientifica ho cambiato malattia e sono passato dal linfogranuloma alla leucemia mieloide. Sono altrettanto inguaribili, ma l'una e l'altra dotate dell'unica qualità che mi sta a cuore cioè non richiedono operazioni». Gianfranco Riccioni lo ricorda così don Milani pur non avendolo conosciuto. Riccioni è uno dei fondatori della nuova rivista
«I care», che trae il nome dal volumetto della libreria internazionale Paesi Nuovi di Roma nel quale era stato pubblicata la Lettera ai Cappellani. La rivista
«I Care», che significa me ne importa, mi sta a cuore in contrapposizione al motto fascista «me ne frego», è edita da Renato Saggiorato per le Edizioni Tierre di Firenze, il cui primo numero è uscito in questi giorni in occasione degli ottanta anni della nascita del priore di Barbiana (27 maggio 1923) e in vista dei trentasei anni dalla sua morte, avvenuta nella casa materna di via Masaccio il 27 giugno 1967.
«Don Lorenzo era morto da poco, quando il mio professore di storia della chiesa, Michele Ranchetti, mi indirizzò dalla mamma del priore per la mia tesi di laurea su Don Milani e la stampa. Il priore — racconta Gianfranco Riccioni — era cresciuto in una famiglia agiata mitteleuropea. Il padre, Albano, biologo, era nipote di Domenico Comparetti, senatore del Regno, filosofo, uomo di mondo che conosceva 19 lingue. Morì giovanissimo. La madre, Alice Weiss, era una ebrea discendente del fondatore della scuola psicoanalitica italiana a Trieste dove lei aveva affinato l'inglese con Joyce. Don Lorenzo aveva due fratelli, Adriano, medico, deceduto, che ha dedicato la vita ai bambini handicappati e Elena, unica surpestite. Lorenzo Milani frequentò l'Accademia di Brera a Milano. Cominciò a dipingere e poi tornò a Firenze, seguendo i corsi del pittore Joachin Staube. Gli ripeteva che bisognava essere essenziali nella pittura e nella vita. Il giovane Lorenzo si spogliò di tutto e trovò la sua essenzialità entrando nel Seminario Maggiore. Ordinato prete nel 1947 — continua Gianfranco Riccioni che ha sul priore ha già scritto due libri, mentre il terzo è ormai completo — don Milani aveva una dote straordinaria: contagiava chi lo ascoltava e lo leggeva. A quei tempi a Firenze stava germogliando una nuova primavera: C'era don Lorenzo, ma anche Giorgio La Pira, Ernesto Balducci, Nicola Pistelli. Nel 1958 il priore pubblicò «Esperienze pastorali». Con un decreto del Sant'Uffizio il volume, proprio per evitare il «contagio», venne ritirato dalle librerie e il priore inviato da monsignor Florit a Barbiana, nel Mugello, «230 anime nel 1935, 124 al suo arrivo, sparse in 25 case di cui sette vuote». Don Milani continuò a scrivere ai giornali, lettere mai pubblciate come quella al direttore del «Giornale del Mattino» nella quale dice che il tetto e il pane non sono tutto per l'uomo che ha bisogno di «istruzione». E lui ai suoi «figlioli», che stavano sul Monte Giovi, l'istruzione gliela dava sezionando parola dopo parola: «gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi, un deformarsi». Ma lo scritto più importante di Don Milani, almeno per me — continua Gianfranco Riccioni — è la Lettera ai giudici, raccolta nel volune di 82 pagine «L'obbedienza non è più una virtù». I suoi guai giudiziari erano nati il 23 febbraio 1965 con una lettera pubblica solo su Rinascita in risposta a una nota, apparsa su «La Nazione», dei cappellani militari che l'11 febbario si erano riuniti per dire che consideravano «un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza». Don Milani rispose col pacifismo, la cultura della non violenza, col rifiuto di vestire la divisa militare e di obbedire sempre e comunque. «Reclamo il diritto di dire — scrisse fra l'altro don Milani — che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incuente: lo sciopero e il voto». La Lettera ai cappellani gli provocò tutte «le seccature possibili», compresa l'incriminazione per apologia di reato. Alla fine del primo processo don Milani e il direttore di Rinascita Luca Pavolini vennero assolti. Poco prima del processo d' appello il priore scrisse la Lettera ai giudici, il suo testamento, il documento che ancora oggi è attualissimo e insegna come costruire in ognuno di noi una propria coscienza critica: E parla anche della scuola di Barbiana dove si legge il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Ghandi, le lettere del pilota di Hiroshima.
Il processo di appello si celebrò il 27 ottobre 1967, quattro mesi dopo la morte di don Lorenzo. Pavolini venne condannato a cinque mesi di reclusione, ma amnistiato poi dalla Cassazione».
maurizio di giacomo - 20-09-2003
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Rispetto allo scemario delineato da quest'articolo vi
sono nuove opportunita' di approfondire la figura di
don Milani. Le edizioni Tierre (Thecnological Research) di Firenze hanno pubblicato il primo numero di ''I Care'', trimestrale di cultura milaniana e
il libro Don Lorenso Milani ''Lettere scritte al mio prodssimo'' a cura di Gian Franco Riccioni.
A San Bonifacio (Verona), telefono reperibile tramite
www.paginebianche.it, Mariano Mariotto ha dato veste giuridica e organizzativa al Movimento maestri milaniani onlus.
Borla Editore in Roma, via delle Fornaci 50, dal gennaio 2002 ha mandato in circolazione la seconda edizione di ''Don Milani tra solitudine e Vangelo '' con 54 documenti milaniani, dei
quali 47 inediti. Il giornalista Mario Lancisi con le Edizioni Missionarie Italiani di Bologna ha pubblicato
un colloquio su don Milani con padre Alex Zanotelli
sotto il titolo ''Don Milani si e' fatto povero con i poveri''.
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