E’ bastato un decreto, osannato su tutti i media, per trasformare una tecnologia rivoluzionaria in un prezioso giochino da consegnare ai soliti noti della telefonia e del wireless. Ma che bello
Ho atteso qualche settimana, sperando di leggere sui quotidiani, negli articoli dei settimanali o anche semplicemente in rete su siti web informativi, che il decreto Gasparri sulla regolamentazione della tecnologia wi-fi in Italia è un cattivo decreto. Ho atteso invano. Un po' su tutti i media si è parlato dell'atteso "editto ministeriale", che pone i paletti dell'utilizzo pubblico della più innovativa fra le tecnologie di collegamento alla rete Internet. Un po' ovunque, giornalisti più o meno informati hanno suonato la tromba della grande innovazione che raggiunge anche il nostro paese e lo proietta fra quelli tecnologicamente più avanzati. Stupidaggini.
Secondo il Ministro il regolamento in questione emesso il 28 maggio scorso porterà grandi benefici per tutti. Ecco cosa ne pensa Gasparri:
"La regolamentazione approvata oggi contribuirà ad accrescere la competitività del nostro Paese nel mercato dell’accesso ad Internet, attraverso lo sviluppo del Wi-Fi. Il forte potenziale tecnologico che portano le Wireless LAN, costituisce una ulteriore opportunità di impresa per le aziende del settore e soprattutto un vantaggio per i cittadini."
Quello che mi sarebbe piaciuto leggere, e che invece non ho trovato da nessuna parte, è che la regolamentazione approvata è prima di tutto la negazione del libero utilizzo sul territorio italiano delle frequenze attorno ai 2,4 ghz (chiunque le vorrà utilizzare in luoghi pubblici dovrà comunque chiedere una autorizzazione allo Stato) e poi che tale regolamento è una maniera elegante per consegnare nelle mani degli operatori telefonici il business wi-fi nel nostro paese. Non è un caso che il giorno successivo alla pubblicazione del documento, Telecom Italia
abbia presentato con un tempismo ammirevole un comunicato stampa con i suoi programmi wi-fi. Così come non è un caso che
l'articolo 2 comma 1 del decreto reciti testualmente:
"Il presente provvedimento fissa le condizioni per il conseguimento dell'autorizzazione generale per la fornitura, attraverso le applicazioni Radio LAN nella banda 2,4 GHz o nelle bande 5 G1-17, dell'accesso dei pubblico alle reti e ai servizi di telecomunicazioni, in locali aperti al pubblico o in aree confinate a frequentazione pubblica quali aeroporti, stazioni ferroviarie e marittime e centri commerciali"
Leggiamo bene, visto che nessuno si è finora affannato a farlo:
"locali aperti al pubblico e aree confinate a frequentazione pubblica".
Che significa questo elegante giro di parole appesantito da un linguaggio burocratico che aiuta a confondere il più possibile le idee? Significa che, con ogni probabilità e a meno di interpretazioni molto estensive, nessuna rete amatoriale cittadina, nessuna rete civica (ad esempio quella che funziona sperimentalmente in alcuni comuni italiani come a
Vicopisano) nessuna forma di aggregazione spontanea, potrà mai essere autorizzata nel nostro paese. Il wi-fi - tecnologia nata e prosperata dal basso nella totale indifferenza di tutti gli operatori telefonici - in Italia potrà essere "gentilmente" autorizzato dal Ministero delle Comunicazioni solo in ambiti chiusi e non a tutti. Una bella fregatura.
L'intento di una simile limitazione è ovvio: impedire qualsiasi concorrenza agli operatori della telefonia mediante l'utilizzo di una tecnologia poco costosa e di facile utilizzo per chiunque, non tanto e non solo da parte di operatori telefonici minori o a forte potere innovativo (i cosiddetti WISP che stanno iniziando a prosperare oltreoceano) per i quali la strada rimane sostanzialmente aperta. Non si tratta di questo. Il disegno - temo assai più ampio - sembra essere quello di "sostenere", una volta precipitate le aspettative di guadagno in tal senso dell'UMTS, la spesa per la connettività mobile facendone pagare il costo agli utenti.
Vale in questo senso la pena per una volta di sottolineare ancora le parole del ministro:
"Le WLAN apriranno nuovi scenari anche per le aree disagiate e a minor reddito. Ritengo che anche questa opzione tecnologia possa contribuire alla riduzione del digital divide, la discriminante tecnologica tra le aree tecnologicamente più o meno avanzate del Paese. E’ nostra intenzione lavorare affinché la banda larga diventi un servizio universale a disposizione di tutti e di cui tutti possano trarre i benefici. Anche il decreto firmato oggi va in questa direzione”.
Spiace dirlo ma si tratta di affermazioni tanto strabiche quanto difficili da sopportare. Se, come si va dicendo senza alcuna convinzione da un quinquennio, si fosse davvero voluto favorire il servizio universale di accesso alla rete, oggi si sarebbe potuto farlo veramente. Esistevano, per una volta, gli strumenti tecnologici per farlo. Si è invece semplicemente scelto di non utilizzarli per favorire il business degli operatori telefonici.
Se davvero si fosse voluto ridurre il digital divide (come sta accadendo per esempio nel Galles dove molte reti civiche wi-fi hanno portato la larga banda dove le telco non avevano interesse ad arrivare) sarebbe stato molto semplice, bastava lasciare "davvero" le frequenze al libero utilizzo di chiunque.
Oggi in Italia è molto semplice travestire la realtà dei fatti, dipingerla per quello che non è. Esiste la stampa (ehi è la stampa, baby!) pronta al bisogno a dare una mano. Una stampa alla quale i vertiginosi investimenti pubblicitari delle grandi telco interessano al di là di ogni decenza. È in questo senso sintomatico che gli unici accenni ironicamente dubbiosi alla piccola e finta rivoluzione italiana dei collegamenti senza fili li abbia letti su un web magazine inglese,
The Register, abituato da tempo a dire le cose come stanno, senza troppi giri di parole.
La politica tecnologica italiana è ormai da molti anni prona alle "esigenze" dei grandi operatori telefonici. Lo è in maniera tanto smaccata che una grande rivoluzione dal basso come quella del wi-fi viene trasformata con estrema disinvoltura in una sciocca utility da cafeteria (ovviamente a pagamento) per fissati delle tecnologia o per manager nella pausa pranzo. Con buona pace del servizio universale.
Chiunque si occupi di tecnologia sapeva da tempo che il regolamento sul wi-fi sarebbe stato una perla simile. Personalmente trovo davvero incredibile e leggermente inquietante che nessuno, ma proprio nessuno, abbia finora avuto la voglia di dire che di un simile decreto non abbiamo davvero nulla di cui vantarci.
Massimo Mantellini
Roma, 16/06/03
Anna Masera - 25-06-2003
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IL POPOLO DELLA RETE CRITICA IL DECRETO GASPARRI
Polemiche sul «wi-fi» in Italia
Piace Internet senza fili, non piacciono invece le regole
imposte dal ministro per adeguare il Paese alla Ue:
licenze solo a chi garantisce la sicurezza e la privacy
La regolamentazione sul «wi-fi» (wireless fidelity) approvata settimana scorsa in Italia dal ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri sta infuocando il dibattito in Rete tra gli esperti tecnologici e i paladini della libera concorrenza, che scrivono nei blog e nei forum messaggi di fuoco: «Gasparri consegna nelle mani degli operatori telefonici il business wi-fi nel nostro Paese», «impedisce qualsiasi concorrenza agli operatori della telefonia mediante l’utilizzo di una tecnologia poco costosa e di facile utilizzo per chiunque», «è la negazione del libero utilizzo sul territorio italiano delle frequenze attorno ai 2,4 Ghz», autorizzare solo «i locali aperti al pubblico e aree confinate a frequentazione pubblica» (così in effetti decreta Gasparri) significa che «nessuna comunità spontanea potrà mai essere utorizzata nel nostro Paese».
Si punta il dito alla politica tecnologica italiana ancora una volta al servizio delle esigenze dei grandi operatori telefonici. I quali ribattono di aver pagato fior di licenze per la connettività mobile a Internet veloce (a banda larga) con l’Umts, i telefonini 3G, e adesso temono l’ingiustizia di una concorrenza che arriva da una nuova tecnologia avvantaggiata dal fatto di essere poco costosa (soprattutto perchè senza licenze multimiliardarie) e di facile utilizzo per chiunque, a partire dai piccoli operatori telefonici .
Il wi-fi è quella tecnologia via radio (sulle frequenze di 2,4 Ghz) che, basata sugli standard 802.11, permette di collegarsi velocemente a Internet senza fili: basta installare sul portatile l’apposita scheda wireless, cercare un’antenna che irradi il segnale (hotspot), e iniziare a navigare a banda larga. Sono già disponibili telefonini che, sfruttando lo standard avanzato 802.11b e una banda sufficientemente ampia, possono effettuare chiamate via Internet (attraverso il cosiddetto protocollo Voice Over Ip): addio interurbane, immaginate la felicità delle varie Telecom di turno. Potenzialmente ogni singolo utente dotato di una connessione Adsl avrebbe potuto dotarsi di un hotspot casalingo (a circa 300 euro) e collegarsi online col wi-fi.
L’accusa degli internauti è che il decreto Gasparri, blindando lo spettro delle frequenze italiane e stabilendo che devono essere pagate licenze statali per il loro utilizzo (costo che finisce poi sulle spalle degli utenti finali), ha privilegiato gli operatori «business» che forniscono il servizio e ha ignorato la possibilità di far diventare il wi-fi un accesso comunitario e di pubblico dominio.
Ma le critiche andrebbero rivolte semmai alla direttiva Ue, a cui Gasparri ovviamente si è ispirato, che impone al wi-fi garanzie tecnologiche tali, in nome della sicurezza e della privacy, da tagliare fuori i piccoli operatori e i «dilettanti». Forse bastava l’obbligo alla trasparenza: è evidente che c’è anche chi non sente la necessità di un accesso protetto.
Da La Stampa
17 giugno 2003 |