breve di cronaca
Il Collegio docenti di Trezzano II sulla Riforma
Scuola oggi - 24-06-2003
DIREZIONE DIDATTICA STATALE II° CIRCOLO TREZZANO S/N VIA MANZONI 13


AL MIUR
ALL’ISP. MODINI
CSA-MILANO


Il Collegio dei docenti della scuola dell’infanzia e della scuola elementare del II° Circolo didattico di Trezzano s/n ,

vista la Legge di riforma n.53/03
visto lo Schema di Decreto legislativo relativo all’avvio della riforma
viste le Linee Guida per l’avvio del processo di informazione/ formazione sulla riforma
viste le bozze delle Indicazioni e raccomandazioni
preso atto delle indicazioni di lavoro suggerite dal competente ufficio del CSA

dopo aver attentamente analizzato i documenti ufficiali e le ipotesi attuative in data 20.6.2003 ha approvato il seguente

Documento sulla Legge Delega, sulla bozza di Decreto Delegato del Ministro dell'Istruzione Moratti e sulle Linee guida formazione

Il Collegio dei docenti della scuola dell’Infanzia e della scuola elementare del II° Circolo didattico di Trezzano s/n ha inoltre deliberato di inviare il presente documento alle segreterie dei sindacati confederali e ai periodici on-line di categoria

PREMESSA

1.
La riforma: il metodo – la condivisione

E’ nostro parere che l’efficacia e le reali possibilità di attuazione di una Riforma scolastica si misurino sul livello di condivisione- consenso degli operatori e delle famiglie.
Una riforma è tanto più efficace quante più componenti della scuola e della società possono in essa riconoscersi e il suo successo si fonda sul presupposto che l’innovazione è un processo che risponde a effettive istanze del personale scolastico , dell’utenza , della società nel suo complesso. Le migliori strategie di riforma richiedono un ampio coinvolgimento del personale della scuola, tempi distesi di attuazione, la possibilità di inserirsi creativamente nei processi, la condivisione delle scelte fondamentali , condivisione che non si può pretendere di imporre con un ordine del giorno, come è accaduto con le Linee Guida.

Esprimiamo inoltre il nostro dissenso per aver applicato lo strumento della legge – delega a un settore così importante e strategico per la crescita del Paese, sottraendo la discussione e il confronto ai cittadini, gli educatori, il mondo della scuola, il Parlamento;

La riforma scolastica del ministro Moratti ha ignorato il confronto con tutte le componenti del mondo scolastico, ha soprattutto ignorato il patrimonio di esperienze innovative nate nelle scuole e consolidatesi negli ultimi decenni , calando dall’alto persino i programmi di lavoro e gli orari delle singole classi.

Vogliamo sottolineare che tra gli elementi della nostra tradizione pedagogica ritenuti un valore riconosciuto ( e questo sì condiviso) vi è senz’altro l’eredità democratica dell’uguaglianza delle opportunità mentre molte delle scelte contenute nella Riforma sono apertamente in contrasto con questo principio.


2. Il contesto normativo

La legge 53/2003 è un provvedimento "cornice", che si inserisce nel nuovo scenario costituzionale che assegna allo Stato la definizione delle "norme generali" e dei "livelli essenziali delle prestazioni" in materia di diritti civili e sociali e che invita le Regioni ad esercitare le "concorrenti" potestà legislative in materia di istruzione (Legge Cost. n. 3 del 18-10-2001).

Il disegno di legge costituzionale detto della “devolution” prevede al contrario il trasferimento alle Regioni della competenza esclusiva in materia di istruzione . vi è dunque un aperto contrasto tra l’impostazione della riforma Moratti e le pulsioni localistiche di altre componenti del Governo. Questo contesto normativo in aperta contraddizione non potrà che ripercuotersi negativamente sulla scuola. Occorre perciò coordinare gli strumenti normativi di attuazione della legge 53/2003 con le norme regionali che possono scaturire dalle competenze legislative concorrenti già riconosciute ad ogni Regione (cfr. Legge Cost. n. 3/2001 di modifica del Titolo V della Costituzione) e con quelle previste nel disegno di legge in discussione in Parlamento.
A titolo di esempio, la definizione della quota dei piani di studio relativa agli aspetti di interesse specifico che le Regioni potranno definire attuando la competenza esclusiva , potrà compromettere il raggiungimento di comuni obiettivi di istruzione e di adeguati standard formativi portando alla creazione di tante scuole diverse quante sono le Regioni italiane.
Va poi ricordato che il DPR 275/1999 (Regolamento dell'autonomia) conferisce ampie competenze alle singole istituzioni scolastiche in materia di autonomia amministrativa, organizzativa e didattica, di ricerca e di sviluppo curricolare ed organizzativo. Si tratta di prerogative che trovano oggi una tutela di rango costituzionale (la riforma del Titolo V della Costituzione fa "salva" l'autonomia delle scuole) .

3. L’autonomia delle scuole

Il Regolamento dell'autonomia prevede che le istituzioni scolastiche abbiano la facoltà di adottare le soluzioni che si ritengono più adeguate e più funzionali alla qualità del lavoro didattico, in particolare in merito alle decisioni organizzative e didattiche, come quelle relative all'equipe docente della scuola elementare, alla gestione dei tempi scolastici, all'articolazione dei curricoli e alle modalità di raccordo tra scuola dell'infanzia -elementare e media.
In particolare gli artt. 3 e 8 del D.P.R. n.275/1999 validano le scelte che il Collegio dei docenti vorrà adottare per una nuova elaborazione e interpretazione del Piano dell'offerta formativa in applicazione della Legge n. 53/2003.
Il comma 1 dell'art. 3 esplicita chiaramente che "ogni Istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il Piano dell'offerta formativa. Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle Istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare ed extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia".
Molti passaggi della riforma e della bozza di decreto attuativo sono in conflitto con il titolo V° della Costituzione e con il Regolamento dell’autonomia.

La legge delega azzera tutta l'autonomia faticosamente conquistata in questi anni, riguardante:
- L'articolazione del monte ore annuale
- I percorsi didattici
- Articolazione modulare
- Aggregazione discipline
- Gli adattamenti del calendario scolastico

L'autonomia didattica è fondamentale per il corretto e innovativo funzionamento degli istituti scolastici e quindi il docente non può trasformarsi in un mero esecutore delle indicazioni dettate da neo- centralismi nazionali o regionali .
Respingiamo pertanto ogni tentativo di limitazione dei principi dell'autonomia scolastica nella valutazione, interpretazione e applicazione dei nuovi ordinamenti e chiediamo che tali norme siano rispettate e valorizzate nei decreti legislativi di attuazione.


4 Scuola pubblica e risorse

Il governo ha manifestato disimpegno verso la scuola pubblica attraverso tagli delle risorse sia economiche che del personale compromettendo anche la garanzia delle pari opportunità e del diritto allo studio ( tagli di progetti per l’integrazione – progetti per l’inserimento di alunni svantaggiati), mentre , contestualmente, alcune Regioni , stravolgendo lo spirito della legge sulla Parità scolastica, garantiscono in modo surrettizio il rimborso della rette di frequenza alle famiglie che optano per le scuole private
La scuola pubblica è una risorsa strategica per il futuro culturale ed economico del Paese e i livelli di qualità delle sue prestazioni devono essere garantiti con adeguate fonti di finanziamento e con la continua riqualificazione del personale.


Scuola Dell'infanzia

5.
Anticipo

L'anticipo presenta imprevedibili riverberi sul futuro della scuola dell'infanzia. Si rischia l'improvvisazione delle soluzioni pedagogiche e organizzative per accogliere bambini di appena due anni e quattro mesi.
In questa scelta leggiamo una totale sottovalutazione dell'impianto culturale e disciplinare degli attuali Orientamenti della scuola dell'infanzia e della conseguente organizzazione del lavoro degli insegnanti.
. L’inserimento precoce dei bambini ( due anni e mezzo ) richiederebbe inoltre investimenti massicci, risorse professionali adeguate , riorganizzazione nella strutturazione degli spazi e dei tempi .
La domanda sociale ed educativa dei genitori dei bambini tra i due e i tre anni dovrebbe essere affrontata con una diversificata offerta di soluzioni ( espansione degli asili nido, sperimentazioni di sezioni per i bimbi di due/tre anni), affrontando il problema con adeguati strumenti pedagogici , con idonei finanziamenti e con l’intervento degli enti locali.
Inoltre l’anticipo a cinque anni dell'inizio della scuola primaria è sconsigliabile per ragioni psicologiche e pedagogiche e segnerebbe la scomparsa istituzionale della scuola dell'infanzia ( ridotta di fatto ad un solo biennio )
" Il punto e a capo " del Ministro parla di una scuola non vista, non consultata, non rappresentata e disconosciuta nel suo valore e nella sua tradizione pedagogica.
I processi innovativi e le ricerche in atto nelle scuole materne statali ( Ascanio, Alice ….) sono stati ignorati o sottovalutati.
In questo senso in tutti documenti e nelle bozze si legge una presa di distanza dalla grande tradizione italiana della scuola dell'infanzia che ha caratterizzato gli ultimi decenni e che ha teso a fare di questo segmento scolastico non un luogo di attesa del passaggio alla primaria e tanto meno un “ asilo” con mere funzioni assistenziali.

6. Continuita'

Nei documenti e nelle bozze le forme di raccordo con la scuola dell'infanzia in ordine a comunicazione dati e informazioni sugli alunni, formazioni classi iniziali, rapporti con gli enti locali, armonizzazione della programmazione didattica attraverso incontri periodici tra dirigenti e docenti sono demandate alla decisione autonoma delle scuole senza che vengano indicati finalità , modalità, criteri.
Anche in questo caso non si è tenuto conto delle iniziative in corso da anni tra scuole di diverso ordine, né si è considerato il patrimonio di ricerca e sperimentazione realizzato dagli istituti comprensivi che ormai rappresentano una ampia fetta delle scuole italiane.


7. La figura dell'insegnante nella scuola dell’Infanzia

L'insegnante disegnata dalla riforma finisce per assumere un ruolo puramente assistenziale, dovendosi adeguare alle esigenze delle famiglie, cancellando in tal modo anni di ricerca specialistica e di faticosa costruzione di competenze e professionalità.
La cosiddetta “ personalizzazione” che demanda alla famiglia e solo a questa decisioni importanti sul percorso scolastico dei bambini ( facoltà dell’anticipo, scelta delle attività, orario di frequenza e conseguente incertezza sugli organici) è il primo passo verso la privatizzazione del servizio d’istruzione dove alla scuola pubblica si assegna una funzione meramente esecutiva e passiva. Il richiamo all'art. 5 del Regolamento deve invece essere tutelato e valorizzato in quanto "le istituzioni scolastiche...adottano, anche per quanto riguarda l'impiego dei docenti, ogni modalità organizzativa che sia espressione di libertà progettuale e sia coerente con gli obiettivi generali e specifici di ciascun tipo di indirizzo di studio, curando il sostegno ai processi innovativi e il miglioramento dell'offerta formativa".

8. Aspetti pedagogico- culturali

L'identità pedagogica e culturale della scuola dell'infanzia delineata nel testo di Riforma risulta " appesantita " da richiami valoriali che sembrano incrinare l'aperto pluralismo ideale e pedagogico che caratterizzava gli Orientamenti del 1991. La repentina revisione degli Orientamenti, avvenuta nell'estate 2002 senza una adeguata partecipazione del mondo della scuola e della ricerca, ci appare una vera e propria forzatura delle " regole " che sono sempre state alla base dei cambiamenti nella scuola.


Scuola Elementare


9.
Anticipo scolastico

I dati nazionali relativi alla scelta (facoltativa e delegata completamente alle famiglie) dell’anticipo scolastico ci dicono che solo il 29 % delle famiglie ha scelto di avvalersi di questa possibilità. L’analisi differenziata dei dati ci dice inoltre che nel nord Italia la scelta è stata operata dal 15% delle famiglie mentre nel sud la percentuale sale al 65%.
Nel caso specifico del nostro circolo didattico la percentuale di richiesta di anticipo è del 5 %
Questi dati indicano che la scelta dell’anticipo non risponde alla domanda pressante delle famiglie e nasconde il motivo reale che ne sta alla base .
Da un lato si vuole superare l’inadeguatezza dei servizi per la prima infanzia (nidi) , del tutto insufficienti e costosi per le famiglie e alle carenze delle scuole dell’infanzia
D’altro canto con questa impostazione l’uscita a 18 anni, conseguenza dell’anticipo, non sarebbe garantita a tutti gli studenti. Laddove le amministrazioni locali avranno la possibilità di predisporre idonee strutture sarà possibile l’anticipo, viceversa sarà negato In questo modo viene leso il diritto di poter usufruire di pari opportunità da parte degli studenti, accentuando il divario tra le diverse zone della Nazione..
Dal punto di vista didattico riteniamo che l’inserimento anticipato velocizzi eccessivamente il percorso di crescita, non rispettando i tempi di maturazione del bambino, che si troverebbe ad affrontare un’organizzazione scolastica nella quale l’obiettivo primario rimane l’apprendimento della lettura e della scrittura in classi in cui aumenteranno gli alunni e diminuiranno le risorse e il tempo da dedicare ad ogni bambino.
La scelta dell’anticipo comunque non può essere demandata demagogicamente solo alle famiglie , prescindendo dalla valutazione degli insegnanti i quali conoscono molto bene le caratteristiche , i punti forti e i punti deboli dei bambini, i loro interessi e le loro preferenze e hanno sicuramente le competenze e le conoscenze necessarie per poter concorrere a prendere delle decisioni oculate e ponderate.
E’ preoccupante poi l’aspetto della gestione di classi composte da alunni con divario di età rilevante con tempi di apprendimento molto diversi ( 20 mesi)
Riteniamo che in questo modo non sia affatto difeso il diritto all’istruzione.

10. Tutor - discipline - collegialità

L'istituzione della figura del tutor cancella quindici anni di processi innovativi basati sulla collegialità, la divisione degli ambiti disciplinari, la specializzazione professionale dei docenti, la condivisione di scelte e responsabilità (sancite dalla legge 148/90…mai abrogata). Temiamo che un'interpretazione inadeguata, se non errata della Legge 53/2003, con uno o più Regolamenti, porti al depotenziamento, se non addirittura alla abrogazione della legge 148/90 (ora nel Testo Unico del 1994), che ha rappresentato un salto qualitativo e innovativo di grande interesse per la scuola italiana.
L’istituzione della figura del tutor interferisce con la materia contrattuale , lede la pari dignità professionale dei docenti e introduce la gerarchizzazione tra insegnanti, vanificando tutti gli sforzi che negli ultimi decenni si sono attuati. per qualificare il personale.
Riteniamo inoltre che l'attribuzione di tutte le materie curricolari al tutor, gestite in ore di lezione frontale, conduca progressivamente alla negazione dell'impianto metodologico attuale, che si fonda sull'approccio alle conoscenze non nozionistico, ma basato sull’individualizzazione dell’insegnamento. Non consideriamo quindi una "valorizzazione del personale docente" l'istituzione di tale figura, perché verrebbe a mancare la collaborazione , il confronto e la corresponsabilità che sono stati fondamentali per creare esperienze didattiche di qualità che hanno portato la scuola agli alti livelli attuali.
La funzione docente è tutelata non solo dal principio della libertà dell'insegnamento, ma anche dalla piena responsabilità e dal pieno controllo del proprio agire, in termini di programmazione del lavoro, di potestà decisionale e di rapporti con le famiglie dei discenti, naturalmente di concerto con i colleghi di team.
La scelta di lasciare alla sola discrezione dell'insegnante tutor - previa "consultazione con i docenti altri" - il potere di decidere a quali attività laboratoriali , un bambino piuttosto che un altro, può partecipare , ovvero quale piano personale di studio potrà seguire, o ancora a quale "gruppo di livello" dovrà appartenere lede i principi di condivisione e di pari dignità tra docenti del team , unico strumento per garantire uguale trattamento e uguali opportunità a tutti gli alunni;
L’opzionalità delle scelte ( anche questa demandata in primo luogo alle famiglie) getta le basi per l’introduzione di forme di discriminazione e disconosce principi psico-pedagogici consolidati e accreditati (approcci diversi allo stesso sapere , secondo le diverse capacità, e non approcci a saperi "superiori" per gli uni e a saperi "inferiori" per gli altri), e di fatto disconosce le esperienze innovative degli ultimi decenni nella scuola elementare italiana.

Viene cancellata l'autonomia didattica attraverso non l'indicazione di linee guida
“ essenziali”, ma di una programmazione dettagliata nei tempi e nei contenuti. Le unità di apprendimento sono un modello didattico obbligato, che invade gli spazi dell'autonomia didattico - organizzativa propri della scuola.
Di fatto si verrebbe a creare una quota oraria “tradizionale” di competenza del tutor e una quota “innovativa “ da negoziare con le famiglie, con conseguente precarietà dell'organico e la possibile introduzione di figure esterne alla scuola.
In generale l'orario annuale e settimanale proposto dalle Indicazioni evidenzia l'idea di una scuola a domanda individuale (sembra che la scuola sia destinata a diventare un posto dove i singoli vi accedono a loro discrezione).
Vediamo l'impossibilità di conciliare la "normale" attività didattica con i laboratori facoltativi e opzionali innanzitutto perché di fatto si crea una artificiosa separazione tra “ saperi forti” e saperi meno importanti o comunque non fruibili da tutti. Inoltre, con la riduzione dell'orario , degli organici e delle risorse finanziarie , la famiglia sarà costretta a pagare parte dei servizi oggi offerti all’interno del POF( le attività di laboratorio- la mensa ecc.) e a scegliere le attività adatte per i propri figli, pur non possedendo le competenze psicopedagogiche necessarie ( e spesso gli strumenti culturali minimi) .In tal modo le famiglie più attrezzate culturalmente avranno ampia facoltà di scelta , mentre alle altre verranno garantiti solo i minimi ritenuti “ essenziali”.

Tale scelta sottrae alla scuola la sua “normale” funzione di soggetto culturale nella costruzione del processo formativo e didattico e stravolge il rapporto scuola – famiglia : la scuola diventa un servizio subordinato agli indirizzi , alle scelte , ai desiderata delle famiglie.
Riteniamo invece che la scelta delle attività da svolgersi in una scuola pubblica debba essere affidata ai docenti, e soprattutto che tali attività debbano essere fruibili da tutti i bambini senza distinzione.
Ci sembra infine necessario il richiamo ai citati articoli 4, 5 e 8 del Regolamento dell'Autonomia (Dpr 275/99) anche per quanto riguarda l'aggregazione degli ambiti disciplinari e l'assegnazione di responsabilità di Laboratori ai docenti, in quanto deve essere garantita alle scuole la facoltà di attuare ipotesi diverse di organizzazione delle attività laboratoriali e di connessione tra attività in classe (non necessariamente frontali) ed altre soluzioni organizzative (piccoli gruppi, compresenze, attività elettive, ecc).

11. Tempo pieno

Attualmente nell'area delle grandi città il tempo pieno ricopre un ruolo di fondamentale importanza in quanto, oltre ad offrire un insegnamento con tempi distesi nel rispetto dei ritmi di apprendimento degli alunni, va incontro alle esigenze sociali e alle richieste delle famiglie. L'80% delle scuole di Milano e provincia sono organizzate in questo modo. Tale organizzazione scolastica non va assolutamente abolita, quindi è da tutelare.
Pertanto è necessario prevedere nel Decreto attuativo un articolo ad hoc che garantisca la prosecuzione di tale modalità organizzativa, confermando comunque il doppio organico per classe e l’orario di frequenza di 40 ore settimanali per tutti gli alunni.


12. Portfolio

Rifiutiamo il modello di portfolio proposto nella Riforma perché rigido, demagogico e artificioso. Riteniamo che la valutazione degli alunni sia un argomento particolarmente delicato e strettamente connesso alla programmazione educativa e didattica, ed è impensabile che possa venir condivisa da genitori ed alunni, vista anche l'età dei nostri allievi. La valutazione degli apprendimenti deve restare di prioritaria competenza dei docenti , fermo restando il coinvolgimento diretto degli alunni più grandi , la necessità di una informazione puntuale e periodica ai genitori e la piena disponibilità della scuola a un controllo del rispetto degli standard nazionali attraverso il Sistema di valutazione nazionale.


Documento elaborato e votato all’unanimita’ ( 62 favorevoli, 0 contrari, 0 astenuti ) dal Collegio dai Docenti della scuola dell’Infanzia e della scuola elementare del II° Circolo di Trezzano S/N

Trezzano S/N 20.6.2003

  discussione chiusa  condividi pdf