Nessuno è perfetto
Elena Duccillo - 06-06-2003


Prisma



Mentre fervono i preparativi per aggiornare in quattro settimane i docenti sulla riforma Moratti e le Tv private già con tre mesi di anticipo mandano in onda gli spot sui diari e le cartelle da acquistare per il prossimo anno scolastico mi chiedo se nella società si dà ancora la giusta rilevanza ai compiti educativi e formativi che la scuola dovrebbe avere.
Mi riferisco all’opportunità di predisporre con attenzione l’ambiente educativo per far si che sia adeguato alle esigenze di ciascun alunno non trascurando l’accoglienza dell’alunno disabile nella scuola, che al pari degli altri, deve entrare a far parte del contesto scolastico non solo nei documenti cartacei, ma nei fatti per un’integrazione scolastica di qualità.
Temo che quest’anno nessuno tirerà fuori dal cassetto la nota del 2 ottobre 2002
sulla formazione docenti: niente programmazione delle azioni formative dell’istituto sull’integrazione scolastica, a settembre saremo troppo presi dall’anticipo scolastico, dalla nuova figura del tutor, dall’inglese e l’informatica.
Spero di sbagliarmi, spero che il fermento di queste settimane nelle scuole io lo abbia interpretato male nell’immaginare quello che accadrà prossimamente.
Ma l’integrazione non si ferma, anche senza l’aggiornamento.
Il nostro bambino sarà accolto, ma come?
Bisogna mettersi alla ricerca di condizioni che possono facilitare un’esperienza positiva e ricercare degli effetti desiderabili del programma di coinvolgimento precoce dei compagni di classe.
Si, non è solo il Team che prende in carico l’alunno o meglio tutti gli alunni: ci deve essere assunzione di responsabilità da parte di tutti, anche dei compagni di scuola.
L’ambiente scolastico è fatto di alunni e insegnanti, ma quale strada percorrere per la formazione informazione anche agli alunni?
L’obiettivo non può essere solo quello dell’inserimento sociale e scolastico del disabile perché esso non porterebbe lontano. Occorre educare i bambini al rispetto per l’individualità degli altri, ad accogliere qualsiasi diversità, bisogna prevenire situazioni di rifiuto, prestare attenzione ai primi momenti di socializzazione e ai rapporti che più avanti si vanno stabilendo.
Come si traduce all’atto pratico tutto questo?
Se a livello teorico tutto torna senza difficoltà nel quotidiano non sempre i contenuti e i materiali sono a portata di mano.
In questi anni ho sperimentato con successo un percorso che soprattutto con i bambini tra i 5 e i 7 anni ha dato buoni risultati.
Sin dal primo giorno di scuola ho affrontato i temi della “normalità” e della differenza con l’ausilio di libri e canzoni nelle classi che accoglievano per la prima volta un alunno in situazione di handicap: Il nucleo nel messaggio “nessuno è perfetto”.
Una costante, sperimentata anche da altre colleghe, è che molti bambini questo concetto lo hanno scoperto per la prima volta in questa occasione. Mentre con molta difficoltà diversi di loro sono riusciti in fase iniziale a trovare delle imperfezioni nel loro modo di apparire e di essere , la maggior parte dei bambini con molta acutezza ha descritto pregi e difetti dei compagni scoprendo ( alcuni con molta sorpresa )che la perfezione non esiste.
A partire dal loro vissuto, vivendo il confronto con la differenza, hanno scoperto di avere tutti delle abilità differenti e a dover rispettare le differenze degli altri.
Anch’io mi sono messa in gioco raccontando le mie peripezie di “mancina” in un mondo di destrimani : per i bambini è rassicurante sapere che neanche le maestre sono perfette.
Abbiamo parlato delle difficoltà di ciascuno nell’arco delle prime settimane di scuola: c’è chi porta gli occhiali, chi è cicciotello, chi ha le orecchie a sventola. A tutti poi in quella fascia di età manca qualche dentino.
Di tutti si parla in presenza dei compagni e questo è importante perché anche le domande e le risposte per il loro compagno dai “bisogni speciali” deve avvenire in sua presenza. Se hanno recepito che devono accettarsi con i propri limiti, i propri pregi e difetti sono meglio disposti ad affrontare la loro esperienza d’integrazione. Si perde nel loro sguardo quella compassione per il “bimbo malato” e si fa strada la capacità di saper riconoscere le differenze e valorizzare le potenzialità.
La conoscenza e la valorizzazione della persona sono alla base dell’accoglienza.
Certo questo è solo il momento iniziale che serve a ridurre la diffidenza o il timore nei bambini verso una realtà a loro in parte o del tutto nuova.
L’integrazione scolastica è un processo che non si limita solo a questo aspetto, ma nella mia esperienza il coinvolgimento di tutti gli alunni è una componente importante come è importante l’apporto degli insegnanti che rinforzano o disconfermano con il loro atteggiamento l’inclusione del loro compagno.
La capacità organizzativa in materia di accoglienza non dovrebbe mancare in nessuna scuola così come la sostanza degli interventi dovrebbe essere prevista per tempo ( cioè già da adesso ) e non lasciata alle buone intenzioni contenute nel POF dell’istituto al quale metteremo mano nei prossimi giorni.


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 Ottavia    - 15-06-2003
Ho letto solo oggi l'articolo ben delineato in tutte le parti "calde" del problema e non posso far altro che concordare e sottolineare quanto l'amore che noi insegnanti diffondiamo (perchè credo che solo così si possa chiamare) sia l'"arma" vincente per l'integrazione reale di tutti.
Le scrivo anche per chiederle se potesse inviarmi la bibliografia sui temi che lei definisce della “normalità” e della differenza (libri e canzoni ). Grazie.