Anno scolastico alla fine
Gianni Mereghetti - 05-06-2003
Quest'anno scolastico che ormai è alla fine mi sta lasciando dentro tanta amarezza e tanta speranza.
L'amarezza è data dal fatto che in questo anno lo scontro ideologico si è fatto più forte, fino ad avvelenare la vita quotidiana della scuola. Ho sempre sperato che il dibattito ideologico rimanesse fuori dall'ambiente scolastico, ma purtroppo mi sono illuso: la scuola è forse l'ultimo luogo in cui l'ideologia la fa ancora da padrona, ahinoi! Questa invadenza dell'ideologia mi amareggia, perchè piega la scuola a logiche strumentali e fa passare in secondo piano il bene degli studenti.
Ciò invece che mi dà speranza è che a caratterizzare questo anno di scuola non è stata nè l'ideologia, nè la riforma Moratti, nè la firma del contratto, ma la domanda di vita degli studenti che ho avuto davanti ogni mattina.
Sì, la speranza sono i loro volti, la loro provocazione, la loro apertura alla realtà, perchè in questo ho ritrovato la ragione del mio essere insegnante.
Che abbia tante volte sbagliato con loro, che non li abbia compresi, che non sia riuscito ad appassionarli a ciò che mi appassiona, fa certo parte del mio limite, e di questo chiedo loro perdono, uno ad uno, ma con la certezza che non ha scalzato la positività di un legame tutto teso a fare della scuola uno spazio della vita.

In tempo di bilanci, i primi sono quelli degli scrutini finali dove si valuta quanto fatto dagli studenti nel corso dell’anno. E’ questo uno dei momenti più delicati e drammatici della vita della scuola, in cui il giudizio non dovrebbe essere l’esito di una pura somma, ma dovrebbe avere l’orizzonte di uno sguardo di simpatia umana allo studente. Proprio qui sta la questione seria della scuola oggi, perché spesso noi insegnanti ci troviamo in difficoltà a concepire la valutazione come fattore dinamico di un rapporto. L’altro aspetto che vede noi insegnanti in affanno, ma che io ritengo prioritario, è che giudicando i propri studenti un insegnante innanzitutto giudica se stesso, il suo lavoro, la sua professionalità. Del resto ogni studente perso è un giudizio su noi insegnanti, e sul fatto che non siamo riusciti a sollecitare la sua apertura alla realtà. Chiedersi il perché noi insegnanti l’abbiamo perso, e non solo accusarlo per il fatto di essersi perso, sarebbe già un notevole passo verso una scuola in cui che una persona passi o non passi alla classe successiva non è la stessa cosa.
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