breve di cronaca
La denuncia dell'Eurispes
Fuoriregistro - 14-05-2003
Professori apprezzati dai genitori ma mal pagati, un elevato numero di abbandoni scolastici, studenti che non hanno mai sentito parlare di gulag o foibe e per molti dei quali la storia si ferma alla Rivoluzione francese.


E' questa l'immagine della scuola italiana che esce dall'ultimo rapporto dell'Eurispes, redatto in collaborazione con Liberal. Un quadro sconsolante dal quale emerge propotente una caratteristica tutta italiana, l'abbandono scolastico. Gli studenti sembrano passare indenni tra gli anni delle elementari e delle medie. Ma crollano quando arrivano alle scuole superiori e all'università. Una vera e propria fuga dalla scuola che colpisce maggiormente i maschi rispetto alle femmine, gli studenti degli istituti tecnici rispetto ai liceali e che si manifesta soprattutto al Sud con in testa la Calabria.

Di tutti i mali della scuola italiana è questo il peggiore, secondo l'Eurispes, un male che caratterizza fortemente la realtà italiana rispetto a quella di altri paesi industrializzati tanto che l'Eurispes lo ha definito "una prerogativa della situazione italiana".

Ogni anno, ha calcolato l'Eurispes, 240 mila ragazzi abbandonano i banchi scolastici. Escono dalla scuola senza alcuna valutazione. Semplicemente scelgono un altro percorso di vita. Una scelta che i ragazzi compiono di solito tra i 15 e i 18 anni. Nelle scuole superiori la dispersione scolastica raggiunge il 4,6%. La situazione risulta più grave negli istituti professionali dove il tasso di dispersione raggiunge l'8,9%, seguiti dagli istituti d'arte, con 6,5%. Gli abbandoni calano invece nei licei scientifici (2,1%), seguiti dai licei classici, 2,3% e dagli istituti magistrali, 3,2%. Fermo l'abbandono scolastico nelle scuole elementari (0,08%), mentre risulta cresciuto nelle scuole medie inferiori 0,33%. A lasciare la scuola sono soprattutto i maschi. Le femmine sono più brave: frequentano regolarmente, ottengono votazioni più alte e in percentuale ottengono più promozioni agli agli scrutini.

A tentare di trattenerli a scuola c'è un esercito di professori mal pagati. Gli stipendi dei docenti, sottolinea il Rapporto dell'Eurispes, hanno subìto negli ultimi anni un calo generalizzato, per tornare dopo il picco di aumenti del 2001, quasi ai livelli di dieci anni fa. Colpa dell'inflazione che ha eroso il potere d'acquisto delle buste paga, riportando i salari ai livelli reali del 1993. Il rapporto con l'Europa è perdente: Germania e Paesi Bassi offrono compensi elevati agli insegnanti che hanno meno di 15 anni di attività, pur non spendendo cifre considerevoli per l'istruzione. Solo Grecia e Finlandia pagano poco gli insegnanti.

Ma qual è la scuola che vorrebbero gli studenti italiani? E' questo l'interrogativo di base di un'altra delle sezioni in cui è articolato il rapporto Eurispes-Liberal, soprattutto in ordine al rapporto che i giovani hanno con il passato, ovvero cultura, valori e storia. Il 33,2% degli studenti vorrebbe veder più tempo dedicato alle materie umanistiche e letterarie, il 27,1 a quelle tecnico-professionali e il 22,9% a quelle a contenuto scientifico. Tutti vorrebbero comunque un maggior numero di ore da dedicare allo studio dell'inglese. E i libri scolastici? Un terzo degli intervistati ha espresso pareri negativi, oscillando da un 25,3% per il quale è mediocre a un 9,9% secondo il quale è insufficiente.

La ricetta dell'Eurispes per migliorare la scuola italiana parte dal corpo docente. "Restituire -dice il Rapporto - alla funzione docente il ruolo e il prestigio che ha sempre avuto in tutte le società tecnologicamente ed economicamente più avanzate".

Da Repubblica

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Scuola, sette in condotta Primo rapporto nazionale dell'Eurispes sul mondo dell'istruzione: riforma promossa a metà, in un quadro sconsolante
Insegnanti bravi ma pagati male, istituti poco sicuri





Roma Luci e ombre sulla scuola italiana e prospettive poco incoraggianti anche se la riforma Moratti sembra proporre, almeno a giudizio dei genitori e degli studenti interpellati per il primo Rapporto nazionale sulla scuola realizzato da Eurispes e dalla Fondazione Liberal, gli interventi giusti per cominciare a migliorare la situazione.
Il quadro generale è sconsolante: professori apprezzati dai genitori ma mal pagati, un elevato numero di abbandoni scolastici, studenti che non hanno mai sentito parlare di gulag o foibe e per molti dei quali la storia si ferma alla Rivoluzione francese, edifici scolastici a rischio sicurezza in cui ogni anno si infortunano 56 mila studenti.
In compenso, come detto, piacciono alle famiglie alcuni aspetti della recente riforma: il ritorno del voto in condotta...

Dal Secolo XIX
continua


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Gli italiani non fanno politica con il destino dei loro figli. A differenza di gran parte degli attori della scena pubblica, non considerano la riforma della scuola un campo di divisioni ideologiche ma una mappa per la valorizzazione delle competenze. Per due anni abbiamo assistito a un fuoco di sbarramento nei confronti della nuova legge. Poi scopriamo che l’opinione pubblica condivide le innovazioni. Nell’occasione del convegno della Fondazione Liberal , che si apre giovedì a Milano, esce il Primo Rapporto Eurispes sulla scuola. Se è vero che le nuove norme pongono le famiglie al centro del sistema educativo, si può dire che il sondaggio in scala nazionale raccoglie da esse un “grazie” convinto. Anzi, su alcuni punti il consenso tocca percentuali esagerate: per fare un esempio, l’85% di applausi che va al computer introdotto in aula al primo anno delle elementari mostra una certa ingenuità. Gli esperti, dal matematico Seymour Papert (autore di saggi sulla scuola nell’era di Internet) in poi, sanno che talvolta sei anni sono troppo pochi, spesso invece sono troppi, per colpa del consumismo dei genitori, pronti a donare cellulari già a bimbetti di quattro anni. In questo tema la vera questione è l’analfabetismo elettronico degli adulti, che scava un fossato, a volte incolmabile, fra le generazioni.
Ma è solo un particolare. Più problematico è il corposo dissenso nei confronti dell’anticipata iscrizione di bambini di due anni e mezzo alle materne e di cinque anni e mezzo alle elementari. Quattro genitori su dieci non credono al fenomeno dell’infanzia precoce. È vero che ci sono bambini che crescono più presto, stimolati dal disordine televisivo. Ma ce ne sono altri che avrebbero invece bisogno di un più morbido ingresso nel mondo educativo. Altro fatto (tutt’altro che esemplare) è poi la diffusa richiesta di pubblico babysitting , che motiva la voglia di aule per i più piccoli. Per custodirli più che per educarli.
Al di sopra delle singole questioni è evidente la consapevolezza delle famiglie del valore strategico della scuola statale nel futuro comune. Private sì, ma senza indebolire gli istituti pubblici. Dalle competenze dei figli discende la competitività dell’intero Paese. La gente si aspetta che dalle parole si passi ora alle realizzazioni. E fa sapere di condividere i due punti essenziali della riforma: 1) l’alternanza scuola/lavoro; 2) la formula “valutazione degli apprendimenti/valutazione dei comportamenti”, con il voto in condotta portato a far media per promozioni e bocciature. Si può dissentire da queste novità, ma non si può continuare a sostenere che esse sono impopolari.
Il fastidio degli ideologi delusi non aiuta nel suggerire indispensabili correzioni. È poi strano il silenzio degli oppositori rispetto alla dissonanza più preoccupante, che è quella fra la mole delle trasformazioni messe in cantiere e la povertà finanziaria. Ogni elemento della partita rinvia ai mezzi necessari ai docenti per tradurre la strategia in pedagogia. Oggi solo 47 giovani laureati italiani su 100, ultimi in Europa, trovano il lavoro per il quale hanno studiato. Prima c’è stato un errore di massa, o fra chi ha orientato questi studi per la metà non utili o fra chi li ha riempiti di contenuto. La riforma è una serie di codificate istruzioni a una macchina che porta attualmente al traguardo meno di un passeggero su due. Resta da formare il conducente e dotarlo degli strumenti necessari, dignità sociale e stipendio adeguato. Siamo alla fase uno. Ad essa il Paese dà segnali di qualche gradimento, senza risparmiare critiche. Il resto è da fare, senza risse. Soprattutto ideologiche.

Gaspare Barbiellini Amidei,
Dal Corriere della Sera


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La scuola che verrà piace. Lo dice l’85% dei 1500 genitori intervistati da Eurispes per il “Primo rapporto nazionale sulla scuola” della Fondazione Liberal (presieduta dal parlamentare di Forza Italia Ferdinando Adornato), presentato ieri a Roma. O almeno piace per alcuni aspetti di forte richiamo, come le lingue, l’informatica e perfino per il contestatissimo nuovo esame di Stato. Piace, dunque, la prospettiva che si prospetta davanti alla scuola, tanto quanto non piace la realtà così com’è: una scuola dove la dispersione riguarda ancora 240 mila ragazzi l’anno, dove i professori sono demotivati perché sottopagati, dove solo chi viene dai licei riesce a sfondare negli studi. L’università, poi, sforna pochi laureati e mal preparati, tant’è che il 65% deve riqualificarsi prima di accedere al mondo del lavoro, e anche una scuola ideologizzata, in cui l’insegnamento della storia (per fare un esempio lungamente dibattuto) è ancora largamente manipolato, tant’è che sei studenti su dieci non sanno ancora cosa sia state le foibe. Secondo il presidente di Eurispes, il sociologo Gian Maria Fara, sono quattro le emergenze che riguardano la scuola, per lo più - ha detto - “si tratta di problemi strutturali a cui la riforma Moratti tenta di dare una risposta, direi con un qualche successo”. Prima di tutto “le poche risorse che il nostro Paese continua a destinare al sistema dell'istruzione: negli ultimi anni - ha sottolineato - in Europa la spesa pubblica non è cresciuta di pari passo con il Pil e quella per la sola istruzione superiore non è cresciuta in alcun Stato membro in modo proporzionale alla crescita del numero degli studenti (la spesa nell'Unione è stata dell'1,1% del Pil rispetto a quella del 2,3% degli Stati Uniti). Divario che è legato ai bassi finanziamenti privati”. “Altri due nodi - ha proseguito Fara - riguardano gli stipendi dei docenti che sono inadeguati, visto che oggi, in Italia, quelli reali sono tornati ai livelli del 1993” e “l’arretratezza della scuola italiana rispetto ai processi di innovazione e informatizzazione”. L'ultima questione fa, invece, riferimento all’orientamento scolastico e professionale degli studenti, dato che “solo il 47% dei laureati trova il lavoro per il quale ha effettivamente studiato e al 65,7% viene richiesto dalle imprese una ulteriore formazione”. I punti principali di questa ricerca saranno approfonditi nel convegno sulla scuola che la Fondazione Liberal terrà a Milano da giovedì a domenica prossimi.

Da La Stampa

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