breve di cronaca
L'Anci e le Indicazioni Nazionali
Anci Scuola - 06-05-2003
Osservazioni Anci sulle Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati e per i piani personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’infanzia

PREMESSA

L’Anci non può esimersi dall’esprimere alcune considerazioni di carattere generale sull’impostazione dei documenti inviati che, insieme ai tempi molto ristretti per l’esame dei vari testi, hanno reso gravosa l’espressione di un approfondito parere.

Innanzitutto va evidenziato che il testo recentemente licenziato dal Governo sulle “Nuove modifiche al Titolo V, parte seconda, della Costituzione”, superando le questioni poste dalle competenze concorrenti, prevede di assegnare alla competenza esclusiva delle regioni alcune materie quali l’organizzazione scolastica, la definizione dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico delle regioni, che sono ovviamente collegate al contenuto dei piani di studio, specie se personalizzati.

In considerazione di ciò si ritiene che le indicazioni non dovrebbero stabilire modalità di funzionamento e di organizzazione scolastica predeterminate che impediscano l’esercizio della competenza territoriale.

Sui documenti inviati è necessario osservare preliminarmente che le nuove Indicazioni sembrano essere molto simili alle “Indicazioni per la sperimentazione” ex CM 100 per la scuola dell’infanzia ed elementare, già diffuse per le esperienze di sperimentazione attuate nel corrente anno scolastico, implementate da una prima versione sui piani di studio per la scuola media e dagli esiti finali che ci si attende per l’intero ciclo di base, senza che emerga chiaro il conseguente quadro economico.

Nei documenti inoltre non emerge chiara la suddivisione tra gli aspetti curricolari, gli elementi organizzativi, le questioni connesse all’autonomia scolastica e i livelli essenziali delle prestazioni e mentre numerose parti sembrano generiche su importanti temi per i quali la legge delega precisa limiti e contenuti, altre appaiono sovrabbondanti, soprattutto quelle con indicazioni su obiettivi e contenuti disciplinari, teorie educative, interpretazioni pedagogiche della Legge 53/2003.

In particolare la legge delega individua un complesso sistema di decreti e regolamenti per i quali è difficile trovare concrete e sufficienti indicazioni nei documenti inviati, come appare dai seguenti punti che si riportano ad esemplificazione del metodo rilevato:

- La delega prevede che le "norme generali" e i "livelli essenziali" dovranno essere definiti con più decreti legislativi (art.1, comma 1). Il testo delle Indicazioni non appare sufficientemente chiaro su questi due punti, in particolare su alcuni di delicata ricaduta sulle competenze dei comuni. Sembra di avvertire che il MIUR sia intenzionato a proporre un decreto che contenga ambedue le cose per ogni ordine di scuola, ma su questa importante questione sarebbe necessario avere precise informazioni.

- Ugualmente la delega prevede che la "individuazione dei nuclei essenziali dei piani di studio", discipline, orari, quota nazionale, flessibilità, etc. dovrà essere operata invece con regolamenti (art.7, c 1). Anche su questo punto il documento è vago, quando ad esempio non definisce la percentuale della quota nazionale dei piani di studio proposti attraverso le “Indicazioni”. Sembra di capire che il MIUR proporrà un regolamento per ogni ordine di scuola. Anche in questo caso sarebbe utile avere conferma.

- La individuazione degli interventi finanziari, che molto hanno a che vedere con i "vincoli e risorse" è demandata alla predisposizione di un "piano programmatico di interventi" (art. 1, comma 3). Nei documenti inviati, la parte finanziaria (che ha molto a che vedere con le riduzioni di tempo scuola) non è neppure accennata.

- La valutazione del sistema educativo e degli apprendimenti degli studenti, infine, (art.3, c.1) è indicata come oggetto di uno (o più) degli stessi decreti di cui all'art.1, con la contestuale rideterminazione della funzione e della struttura dell'INVALSI. Non si hanno informazioni in relazione alle scelte che il Ministero intende operare.

Stante queste prime considerazioni generali si ritiene utile formulare comunque alcune osservazioni, soprattutto in ordine alle questioni di maggiore interesse per i Comuni.

A) I TEMPI ORARI DEL SERVIZIO D'ISTRUZIONE

Le proposte contenute in tutti e tre i documenti per la scuola dell’infanzia, la scuola elementare, la scuola media, contengono questioni complesse in relazione al tempo scuola, su cui l’ANCI ha già richiamato l’attenzione del Miur.
Rispetto a ciò:

- nella scuola dell’infanzia preoccupa la non meglio specificata indicazione secondo la quale l'orario oscilla, tra le altre cose, in relazione alle "convenzioni con enti ed istituzioni del territorio per lo svolgimento di determinate attività o servizi".

Non appare chiaro se l’intento sia di “esternalizzare” parte del tempo di tale ordine di scuola, senza che peraltro emergano riferimenti alle risorse necessarie, oppure ci si proponga di realizzare le offerte di tempo più esteso, avvalendosi delle risorse di altri soggetti.

In ambedue i casi emerge una poco chiara interpretazione del disposto normativo che nella legge 53/2003 recita “È assicurata la generalizzazione dell'offerta formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell'infanzia” generalizzazione che evidentemente deve essere a carico, in tutti i suoi aspetti, dello Stato.

Se invece per la scuola dell’infanzia, come anche per gli altri ordini di scuola, si ipotizzasse l’esistenza di un nucleo “essenziale” e “nazionale” a carico dello Stato e di un nucleo “complementare” a carico di altri soggetti, i Comuni non potrebbero che essere radicalmente contrari, sia per la non condivisibile impostazione pedagogica che per gli enormi costi loro addossati.

- nella scuola primaria se il tempo scolastico in senso stretto, escluso l’orario della mensa, è al massimo di 30 ore settimanali si danno due soluzioni: o il “tempo mensa” è compreso nell’orario di servizio dei docenti oppure si apre una questione molto grave in ordine alle competenze dei Comuni.

Ancora una volta si sottovaluta la questione del tempo pieno che ha valenza sia educativa che sociale, che per essere realizzato nel modello orario proposto, dovrebbe dedicare ben 10 ore settimanali al “tempo mensa”.

Invece il documento, senza chiarimenti espliciti, fa di fatto sparire il tempo pieno perché al massimo, con le ore previste, si possono ipotizzare prolungamenti orari per tre pomeriggi alla settimana. La questione sta nuovamente sollevando non poche preoccupazioni politiche, sociali e finanziarie.

Poiché sia il Ministro Moratti, che la Sottosegretaria Aprea, che il prof. Bertagna a suo tempo hanno ripetutamente e in sedi diverse, assicurato i Comuni e le famiglie che il tempo pieno sarebbe stato mantenuto, l’Anci chiede che la questione sia chiarita una volta per tutte e che i documenti non si prestino ad equivoci in materia.

La posizione dell’Anci è chiara da sempre: l’orario scolastico deve poter offrire un orario minimo ed uno massimo alla scelta delle famiglie e delle scuole autonome che comprenda il servizio mensa, se si vuole che il Comune garantisca i servizi fino ad ora previsti.

I Comuni considerano la dizione “parte comune obbligatoria del tempo scolastico” e “parte aggiuntiva di tempo opzionale” entro la cornice di un diritto scolastico che ha margini di scelta ma che, dopo la scelta, comporta lo stesso obbligo, da parte dei soggetti pubblici, dell’obbligo scolastico.

- nella scuola media si mantiene quasi del tutto il cosiddetto tempo prolungato, anche se il tempo minimo è inferiore di quasi tre ore a quello attuale e aumentano le discipline.Il tema orientamento è svolto con logica "interna" alla scuola senza nessun riferimento agli EE.LL. (v. decreto 112) ai centri per l'impiego, ai servizi sul territorio, ecc. Inoltre la dizione del tempo mensa “secondo le norme vigenti” lascia quanto mai incerto il senso se detto tempo mensa sia compreso nell’orario scolastico oppure no.

- per tutti gli ordini di scuola sembra che la riduzione del tempo sia aggravata da diversi elementi di frammentazione: una più rigida divisione tra le ore con il docente tutor e gli altri; una più rigida divisione tra i tempi degli apprendimenti fondamentali e accessori; tra i tempi della quota nazionale e regionale e poi quella dell'autonomia dell'istituto.

In generale, l’orario annuale evidenzia l’opzionalità e l’idea individuale del servizio. Pare che la scuola non privilegi più un progetto per propria comunità, ma che sia un luogo in cui i singoli accedono a quote più o meno ampie (comunque discrezionali) di un servizio.

Si parla di sperimentazioni anche limitatamente a parti dell’anno. Anche da questi piccoli elementi risulta evidente la mancanza di dignità attribuita alla scuola che appare, appunto, un luogo in cui si può fare e disfare secondo necessità più dei genitori che dei bambini.


Non si può, infine, non far notare che la questione dei livelli essenziali delle prestazioni, previste dalla Legge 53/2003, qualora tocchi competenze di altri enti costituzionali (come nel caso del tempo mensa) obbliga ad un ben diverso livello di concertazione e di accordi (che comprendano le stime delle risorse da trasferire)) da quello proposto dal Miur con le presenti osservazioni”.

B) SULLE “INDICAZIONI SUI PIANI DI STUDIO”

L’ANCI non entra nel merito “culturale” delle opzioni disciplinari e didattiche contenute nei cosiddetti “Piani di studio”, ma segnala alcune preoccupazioni ricordando che, art. 3 DPR 275/99, anche i Comuni sono coinvolti nei POF nel momento che la scuola autonoma deve predisporre il proprio curricolo:

- Non è precisata la quota nazionale coperta dai piani di studio presentati. L’assenza di questo dato rende impossibile qualsiasi commento sull’ampiezza, vastità o meno dei piani di studio e rende impossibile la definizione di un Decreto sui piani di studio.

- Mancano precisazioni sulle competenze delle autonomie scolastiche e alcune formulazioni, anche per i termini utilizzati, sembrano individuare un’autonomia “strumentale” piuttosto che “funzionale”, segnando più i vincoli che le opportunità. Infatti si parla di autonomia “regolata” e “vincolata” alle indicazioni, con poca attenzione ai margini di autonomia didattica e organizzativa.

-Alcuni “livelli essenziali” sono indicati con un livello di dettaglio più “centralista” che essenziale, come è il caso del tempo annuale del maestro tutor in una classe, senza consentire alle scuole quanto costituzionalmente loro garantito: l’autonomia didattica e organizzativa.E’ necessario che alcuni livelli essenziali non diventino soglie vincolanti.

- Non appare utile che la scelta del tutor, ove sia considerato un livello essenziale delle prestazioni, debba stringere la scuola a soglie vincolanti di prevalenza in una classe e mettere in discussione l’organizzazione modulare delle classi, la pluralità docente e la contitolarità dei team, la distribuzione delle discipline in ambiti di uguale dignità culturale, elementi che sono ormai patrimonio di qualità della scuola elementare

-Le Unità di Apprendimento sembrano un modello didattico obbligato, che disegna l’unico modo di fare scuola e invadono gli spazi dell’autonomia didattico-organizzativa assegnata e riconosciuta istituzionalmente alle scuole”

-Il Portfolio così com’è scritto rischia di perdere le pur lodevoli intenzioni per diventare una nuova super pagella burocratica in cui scrivono tutti (anche gli studenti e i genitori) ma non gli eventuali operatori degli enti locali (ad esempio per l’handicap) che operano normalmente nella scuola.

- I “piani individualizzati”, pur essendo encomiabile il principio, rischiano di essere così prescrittivi da affaticare piuttosto che flessibilizzare il lavoro scolastico degli insegnanti.

- Una lettura rigida dei “piani personalizzati” e del “portfolio” potrebbe portare all’abbandono dell’idea di classe, comunità, pensiero solidale, ecc., in favore della personalizzazione, che sembra richiamare una individualizzazione (a partire dalla famiglia che fa le proprie scelte indipendenti). L’idea stessa del portfolio è interessante se sottolinea l’importanza della documentazione, a condizione che non riduca la storia della classe, del gruppo, della vita di comunità, per documentare solo gli esiti/percorsi individuali.

- I “nuclei essenziali dei piani di studio” ricchi di contenuti, attività, discipline, ecc. sembrano più “Programmi prescrittivi” che “nuclei essenziali”, mettendo le scuole al rischio di mero esecutore di procedure disciplinari.

- L’insieme dei piani di studio dei tre ordini scolastici e il percorso istituzionale frammentato in annualità e bienni, senza alcuna integrazione e raccordo obbligatorio fra il percorso di scuola dell’infanzia, quello della primaria e quello della secondaria di I grado, con l’ultimo anno di quest’ultima che è proiettato verso il successivo percorso di formazione-istruzione secondario, sembrano marcare di più la “differenza/discontinuità” che la continuità didattica ed evolutiva considerata da tutti un valore da molto tempo.

- E’ una scelta di carattere pedagogico e sociale che non è contenuta nella Legge 53/2003 e che rappresenta un’interpretazione dubbia dei principi contenuti nell’art. 1 della Legge stessa e accentua l’elemento forse più grave che è causa della dispersione scolastica e delle ripetenze, quello della eccessiva differenza fra culture e stili didattici dei diversi segmenti scolastici. Si tace, peraltro, senza che se ne sia fatta una seria valutazione delle esperienze degli Istituti Comprensivi, di fatto, veri laboratori di continuità agita.

- L’organizzazione delle attività didattiche obbligatorie per classi e per laboratori, le modalità di lavoro centrate su una progettazione più complessa dei tempi, dei contenuti e della mediazione didattica, come suggeriscono le Indicazioni ministeriali per la sperimentazione, non rigidamente, ma “just in time”, presuppongono una diversa disponibilità di aule, laboratori, spazi attrezzati, in cui possano spostarsi e lavorare in tempi rigorosamente previsti i gruppi opzionali, di livello, di classi diverse e i diversi docenti, che naturalmente i comuni senza risorse non sono e non saranno in grado di fronteggiare.

C) GLI ORGANICI DI ISTITUTO NELLA SCUOLA ELEMENTARE E MEDIA

La definizione, per quanto riguarda la scuola elementare, è generica e densa di effetti incerti. Che l’organico debba essere definito dalle norme vigenti non c’è alcun dubbio, ma quali norme? Quelle della Legge 148/90 o quelle dell’organico funzionale previsto dalla Legge finanziaria del 1997?

La definizione degli organici quest’anno ha comportato riduzioni per effetto di leggi solo per le 18 ore nelle cattedre della secondaria, nelle altre scuole meccanismi amministrativi hanno ridimensionato le risorse funzionali della scuola elementare tramite Decreto e non Legge.

E’ dunque necessario un maggior dettaglio sulle risorse di personale, poiché gli organici si collegano anche al tempo mensa già illustrato, sia nella scuola elementare che nella scuola media.

D) SUGLI ORGANICI DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E SULLA SUA GENERALIZZAZIONE

- La questione va vista da diverse angolazioni:

- l’inizio della scuola dell’infanzia a due anni e mezzo è dato per scontato senza nessuna argomentazione e giustificazione né pedagogica, né culturale e/o politica. Il cambiamento più radicale che caratterizza questo segmento scolastico è semplicemente dato come scontato e ‘ovvio’.

- L’anticipo sembra giustificato dal ‘non scolasticismo’: in altre parole, l’impronta deve essere sostanzialmente ‘ludiforme’, quasi si volesse dire: “basta che giochino”. In questo senso c’è una certa presa di distanza dalla grande tradizione italiana della scuola dell’infanzia che ha caratterizzato gli ultimi cento anni e che ha teso a fare di questo segmento scolastico tutt’altro che un luogo di attesa del passaggio alla primaria.

- la formazione delle sezioni con un numero inferiore di alunni in presenza di bambini anticipatari determina effetti concreti negli organici con forte variabilità di anno in anno. Inoltre finchè non si definiscono ruoli, competenze e professionalità di nuove figure professionali non si comprende la dimensione degli organici necessari;

- la Legge 53/2003 prevede la generalizzazione della scuola dell’infanzia, non solo l’anticipo. Le due questioni vanno tenute insieme, vista l’elevata presenza ancora di liste d’attesa nelle grandi città. L’espansione della scuola dell’infanzia tocca anche il sistema delle scuole dell’infanzia comunali e obbliga lo Stato a prevedere una pianificazione nazionale che raggiunga lo scopo. Questioni non presenti nel documento.La generalizzazione non comporta solamente questioni di organici, ma ben altre, complesse e costose questioni di competenza dei Comuni, quali l’edilizia scolastica, mense e trasporti.


Al fine di poter fornire un contributo più ampio e articolato L’ANCI chiede di conoscere il contenuto dei decreti e dei regolamenti attuativi della legge, pur nelle loro prime stesure in bozza.
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