La citazione
Giuseppe Aragno - 26-04-2003

Li ritrovo per caso, mentre infuria – ma non tanto – la polemica sul 25 aprile e s’intreccia misteriosamente sulla lista generale del Didaweb – se non vi siete iscritti, fatelo, è un mondo da esplorare - con quella della riforma della scuola.
Li ritrovo, presi così senza scopo, semplicemente perché mi piaceva, alcuni fitti appunti da mille letture. E mi tornano utili oggi, che, amico a pochi libri, secondo la bella regola di Foscolo, ho rinunciato alle citazioni per sospetto: che nascondano una mia difficoltà a dire ciò che penso.
E sia, li uso, trasgredisco, perché tutto può servire allo scopo se, dopo aver assistito al funerale del 25 aprile, voglio evitare che anche il primo maggio, festa del lavoro, sia condannato alla lapidazione dalla destra, magari perché colpevole di “soviettismo ante litteram” e – perché no? – ravacholismo rosso vino, per parafrase la magistrale formuletta piccolo borghese che Scarfoglio, direttore del neonato Mattino di Napoli, coniò per il suo giornale per il primo maggio del ’92. Ottocento s’intende.
Consentitelo anche a me di far sfoggio della citazione. Me ne viene l’uzzolo, mi ci voglio dilettare sino in fondo, così che alla fine mi si debba chiedere: ma fra tante parole, professore, ce lo dice, di grazia, dov’è la forma e dove il contenuto?
Ve lo dirò, se volete, la prossima volta, quando mi chiederete le fonti e ve le svelerò, se dovesse accadere – ma non sarà così – che nessuno sia stato capace di stiracchiarle come più gli avrà fatto comodo, le mi e povere fonti, com’è accaduto ed accade nella “lista generale”, diventato, suo malgrado, il punto di riferimento di neri, rossi e grigi.
Ve le dirò, ma lasciate che lo faccia questo scherzo di citare e tacere.
Forma e contenuto. Certo. E voglio dirlo “quanto sangue d’inchiostro si è sparso a causa del veemente desiderio di intendere la forma soltanto come derivante del greco formos: canestro di vimini, con tutte le conclusioni che ne derivano! Un canestro di vimini, nel quale, ondeggiando sui torrenti d’inchiostro della polemica, galleggia questo disgraziato contenuto in quanto tale”.
Forma e sostanza. Che intendo? Che si può certo esser d’accordo sulle innegabili responsabilità della sinistra che ha mummificato la Resistenza nelle celebrazioni dei tromboni politicanti, ma benedetto Iddio, se la Destra oggi l’attacca, vuol dire che fa ancora male, è una spina che punge. Insomma che non l’attacca solo per anacronistica “revanche”. Tutt’altro.
Falsificare la storia della Resistenza serve a cancellare i valori fondanti della Costituzione.
Se le cose stanno così, ha davvero rilievo che alcuni esponenti della sinistra abbiano ritenuto di poter campare di rendite sulla retorica della Resistenza ed altri – ignobilmente, d’accordo – si sono di recente dichiarati per un improvvido e strumentale “tutti a casa”?
Questo intervento sarà lungo – mi dico – se prende questa strada. Per sintetizzare allora, consentite, dirò con un maestro che “un uomo che non ha compreso le condizioni presenti della società può ancor meno comprendere il movimento che tende a rovesciarle”. Un movimento che non ha nulla in comune con la storia, la cultura e i valori della sinistra.
E’ vero – lo riconosco con Eraclito – cito la fonte per fare eccezione – “non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”, ma si può, stando a valle, incontrare l’acqua che è scesa dal monte. E’ il senso della storia, questo, che altrimenti non varrebbe la fatica della ricostruzione.
Lasciatemelo dire, ciò che mi pare ci stia venendo a mancare è davvero la serie ovvia delle regole auree. Ne cito una, per dirle tutte, e la fonte la tengo per me: oggi in difesa del 25 aprile non dire “concepire il processo di ricomposizione con gli occhiali meschini del presente, ma guardare il presente con gli occhi del futuro”. Proviamo ad applicarla. Proviamoci. Scopriremo cosa voglia dire mettere sullo steso piano De Mauro e la Moratti.
A me pare davvero che molti di noi si apprestino a rinunziare a combattere “la complessa battaglia che si snoda sin da ora sui terreni della appropriazione delle conoscenze (non solo!), senza le quali non vi può essere ricomposizione, e del rovesciamento dell’esercizio effettivo dei poteri”.
A questo punto occorre uscire dall’equivoco. O si difende per quello che vale – e vale – una democrazia nata da una guerra di popolo e si spiega ai nostri ragazzi qual è la posta in palio, senza temere di passare per cattivi maestri e accettando qualche fastidioso compagno di strada, o si fa un discorso franco: non la difendiamo. Non lo facciamo perché “il sistema dei partiti si è venuto trasformando in articolazione particolare dell’Esecutivo, al fine di mediare e di imporre un efficace controllo delle tensioni e delle lotte”. Non lo facciamo perché “anche i partiti cosiddetti storici del movimento operaio subiscono un inesorabile destino e, qualunque ne sia la loro coscienza […] si trasformano in strumenti del capitale multinazionale”.
Non fa scandalo pensarlo. Solo che poi se ne dovrebbero trarre le conseguenze logiche.
Qualcuno l’ha già fatto. A torto o a ragione non so. E’ una storia tutta da scrivere.
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