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Cosa sta succedendo in Iraq? Ve lo dico subito
L'Unità - 25-04-2003
«Shadan, un mese di vita, vittima delle bombe a grappolo»


«Cosa sta succedendo in Iraq? Ve lo dico subito». Non aspettatevi un resoconto su strategie militari o grafici per capire come funzionino le bombe «intelligenti» sganciata su Baghdad o su Hillah. Teresa Strada, presidente di Emergency, non ha nessuna intenzione di usare di addolcire la pillola irachena. Che è amarissima. «Che succede? Succede che martedì scorso, in uno dei nostri quattro centri nell’Iraq settentrionale, i volontari di Emergency hanno curato la vittima più giovane che avessero mai assistito: Shadan, una bambina di 30 giorni. Ecco cosa sta succedendo in Iraq». L’associazione che Teresa Strada presiede, guidata insieme al marito Gino, è presente nel Kurdistan iracheno dal 1995. Le bombe piovute dai B-52 in questi ultimi giorni hanno aggravato il lavoro dei volontari di Emergency.

Come associazione, avete due centri specializzati nell’inserimento di protesi nel Nord dell’Iraq e due ospedali, uno a Erbil e l’altro a Sulaimaniya. È in quest’ultimo che è arrivata Shadan?
«Sì, è la vittima più piccola che abbiamo mai curato. È uno scandalo. Shadan è arrivata insieme ad altri dieci feriti, tra cui due guerriglieri curdi. Sono stati vittime di uno scontro a fuoco tra i partigiani e l’esercito regolare iracheno di Saddam Hussein, nei pressi del villaggio di Kifri a sud di Sulaimaniya. La situazione di Shadan è apparsa subito grave, visto che era stata colpita alla schiena da un frammento di razzo. Per fortuna, la piccola non ha subito lesioni alla colonna vertebrale. Se non bastasse, nel reparto maschile del nostro ospedale di Sulaimaniya è ricoverato suo padre, in quello femminile, sua nonna».

Con il lancio delle bombe a grappolo da parte dell’esercito Usa, siamo tornati a discutere di queste micidiali armi proibite. Quali riscontri avete nei vostri ospedali in Iraq?
«Queste cluster bomb, le bombe a grappolo, delle bestie. E devono essere considerate come vere e proprie mine anti-uomo. Per di più, sono i bambini i più colpiti perché svolgono, agli occhi di qualsiasi militare, attività “belliche” come portare le bestie al pascolo o giocare nei campi. Solo nelle ultime ore, sempre a Sulaimaniya, sono state ricoverata sette persone, ferite per lo scoppio di mine anti-uomo. Un numero enorme rispetto alla media di un ricovero al giorno. Ciò vuol dire che la fuga della popolazione passa attraverso i vecchi campi minati oppure che qualche esercito ha disseminato la zona curda con nuove mine. Queste ultime vittime ci ricordano che le bombe a grappolo funzionano come le mine anti-uomo: rimangono inesplose per anni e sono pronte a esplodere in qualsiasi momento. Non si disinnescano quando una guerra finisce ma rimangono lì, come un’ombra di un qualche esercito oppressore».

Anche in Afghanistan, Emergency continua il suo lavoro, sia per curare i feriti di una guerra strisciante che quelli causati dalle mine. Che similitudini vedi tra quel che sta succedendo in Iraq e quello che succedeva a Kabul?
«C’è una relazione strettissima tra queste due guerre. Ancora ricordo le tante testimonianze di bambini afghani colpiti dall’esplosione di quelle “lampadine gialle”, tanto simili ai pacchi umanitari sganciati dagli Usa. Anche allora, erano le cluster bomb. Ma guardando le immagini del bombardamento di ieri (mercoledì, ndr) sul reparto maternità vicino Baghdad, le sensazioni di rabbia sono fortissime. In momenti come questi, il nostro lavoro non si può fermare: stiamo per inaugurare un centro maternità nel Panshir, in Afghanistan».

Quali sono, adesso, le priorità umanitarie di Emergency?
«Abbiamo già predisposto due enormi cargo pronti ad arrivare a Baghdad, appena sarà possibile. Per adesso, sono stazionati ad Amman, in Giordania. Ma vogliamo fare di più. E abbiamo bisogno di tutto. Basta chiamarci o visitare il nostro sito web per darci una mano o fare un versamento (c/c postale 28426203). Non è il momento di fermarsi».

Teresa Strada
presidente di Emergency


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