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Piani divini
Il Manifesto - 22-04-2003
Non sono sempre chiari i propositi di Dio, ci avverte un George W. Bush mascherato da papa come fossimo a Carnevale, invece è Pasqua ed è un discorso pasquale quello che dal ranch del Texas viene trasmesso via radio agli Stati uniti e via agenzie al mondo intero, urbi et orbi come si conviene all'uomo più potente della terra. Non sono sempre chiari i propositi di Dio, però sono sempre più chiari i propositi dei re che parlano in nome di Dio. In nome di Dio il presidente degli Stati uniti invita i familiari dei marines morti in Iraq a consolarsi con l'amore per la libertà e con la promessa della resurrezione, col bene che può scaturire dal male e con la speranza che può scaturire dalla disperazione. Non sono sempre chiari i piani di Dio, ma il suo vicario in terra li conosce e rivela al mondo che stava in quei piani la morte del caporale Brown, soldato dell'esercito di Dio che Dio ha voluto richiamare nella sua casa. La lingua di Dio è più chiara dei suoi propositi: di là dall'Atlantico, Dio parla la lingua del potere e delle armi. Sul colle Palatino di Roma, di fronte al Colosseo illuminato a giorno nella notte della Passione, Dio parla la lingua della Croce e il suo vicario in terra parla nel nome delle vittime di tutte le violenze. Dopo il peccato che allontana dalla vita, ogni volta la terra ridiventa un cimitero; tanti uomini tante tombe, «un grande pianeta di tombe». Non c'è solo una famiglia irachena, che all'ultima stazione consegna la croce al pontefice, a testimoniare la via crucis della guerra e dei popoli offesi e mutilati. E' il corpo di Cristo, «ogni piaga, ogni brivido di dolore, ogni muscolo strappato, ogni rivolo di sangue che scorre», a parlare per ogni massacro inferto, per ogni rito del capro espiatorio consumato, per ogni «Crucifige!» emesso da giudici e capi di stato, col sostegno della folla o dei sondaggi, in Terra santa e ovunque nel mondo. Il vicario di Dio non si siede sul trono dell'impero, e nei resti del Colosseo non ne vede lo splendore ma il crollo.

Nelle moschee e per le strade di Baghdad devastate dalla guerra e offese dalle infide promesse dell'Occidente, Dio parla la lingua della ribellione e si prepara a parlare quella della ritorsione. Né con Bush né con Saddam ma solo con l'Islam, gridano sciiti e sunniti riunificati dall'invasore, e argomentano che la democrazia americana ha violato il diritto internazionale e ha chiamato liberazione dell'Iraq la difesa degli interessi dello stato d'Israele. Lo stato secolare è bugiardo e ha fallito, la nazione araba irachena acclama leader il suo Allah mentre l'icona televisiva di Saddam Hussein circola al posto della sua statua distrutta.

E noi che siamo infedeli non sappiamo se fosse nei piani di dio, cioè di George W. Bush, che la guerra finisse in tempo per la Pasqua, sì da indicare al mondo la via della resurrezione nell'exemplum della liberazione irachena. Vediamo tuttavia passare sotto i nostri ponti turistici una Pasqua che sa di tremendo, con i monoteismi armati uno contro l'altro e una tragica confusione al loro interno fra uomini che si mettono al posto di dio e dèi che si mettono al posto degli uomini. E non volendo o non potendo leggere nei piani divini, possiamo solo contare che sia nei piani nostri e nelle nostre mani fare sì che questa immagine resti soltanto una di quelle citazioni kitch del passato che il mondo postmoderno ogni tanto tira fuori dai suoi archivi.

IDA DOMINIJANNI


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