La macchina Beatles
Fabio Giovannini - 01-03-1991
Era un'epoca, quindi, che vedeva sorgere miti dall'humus culturale britannico e da quello specifico lavoro collettivo, ma con la caratteristica di sapersi espandere oltreoceano, fino ad acquistare dimensione pressochè planetaria.
L'Europa, insomma, "conquista" gli Stati Uniti e tendenzialmente il mondo, in quegli anni. In seguito avverrà il contrario. L'America si impadronirà di quei miti, li inserirà nei suoi meccanismi produttivi e commerciali, li piegherà alle sue esigenze. Non è un caso che la produzione cinematografica del filone di pellicole su James Bond si sposti presto negli States, cosi come era awenuto per l'organizzazione produttiva che stava dietro il successo dei Beatles. I miti in questo secolo sembrano destinati a collocarsi nel cuore dell'impresa multimediale, negli Stati Uniti. Ed è significativo che John Lennon abbia finito, tragicamente, la sua esistenza proprio in terra americana.
Ha scritto efficacemente Paolo Biamonte: "Dietro la gioia rivoluzionaria della Beatlemania si celano processi di lucida efficienza, ogni loro passo ha avuto riflessi sconvolgenti sul piano musicale e del costume ma ha messo in moto, e al tempo stesso è stato provocato, da meccanismi, allora allo statu nascendi, che sono poi diventati quelli fondamentali per capire le regale del gusto, delle mode, dell'informazione, dell'industria musicale". (P.Biamonte, The Beatles, in Beatles-Stones, supplemento a «Mucchio selvaggio» n.154, novembre 1990).
La macchina produttiva dei Beatles si è fondata su una serie di "emme": Musica, manager, moda, media... .
Ripercorrere le caratteristiche di quelle "emme" e utile per capire gli aspetti principali della macchina-Beatles.
La musica, innanzitutto. I Beatles, prima ancora di formarsi ufficialmente con il nome che li ha resi famosi, sapevano dominare musicalmente il rock'n'roll: conoscevano cioe tutto il retroterra e la tecnica di una musica a loro congeniale, e che si dimostrarono sempre capaci anche di improvvisare (con l'abilità di chi è a proprio agio con la materia che rimodella e crea).

La musica dei Beatles è a suo modo già una musica postmoderna, fatta di miscele tra diversi stili e culture musicali. Il gruppo usava tutte sonorità che aveva a disposizione, effettuando una vera e propria sintesi tra generi musicali. E senza sfuggire al "furto", alla sottrazione di idee e modi, altra tipica caratteristica del postmoderno. Affiancati ai Rolling Stones, i Beatles aprono la strada musicale al nuovo pop inglese (e in qualche misura anche al blues revival),ma soprattutto riescono a trasformare il rock in evento collettivo e accumunante. Essi stessi rappresentano un superamento dell'individualismo del cantante solista (alla Elvis, per intendersi), e rispondono al desiderio di solidarietà sentito da una generazione. I Beatles sono un gruppo, si comportano come una sorta di piccola "comune", che mette i soldi in società e vive insieme. Come le "comuni" dei movimenti alternativi degli anni Sessanta, anche i Beatles del resto arriveranno al capolinea, quando si affermeranno le singolarità irriducibili dei suoi componenti:
il primo a fare il solista è stato George Harrison nel 1968, poi si è reso autonomo John Lennon (il più individualista, al punto di non avere piu contatti con i suoi ex-compagni per un lunghissimo periodo) e il qualitativamente prolifico Paul McCartney.
Il concerto, il tour, inaugurano con i Beatles una stagione che dura, sempre piu estesa, oggi. Dopo le primissime incertezze nel rapporto con il pubblico e nell'esecuzione dal vivo, partono dalla loro "tana", il Cavern Club, e poi dilagano negli Stati Uniti, aumentando i fans di concerto in concerto e di disco in disco. Suonano con uno stratagemma alla gloriosa Carnegie Hall di New York ( si erano spacciati per un quartetto d'archi), approdano all'Olimpya di Parigi, poi alle sale tedesche, ai luoghi principali della fruizione di massa del rock in varie città d'Europa.
Ma per creare un successo così emblematico e diffuso come quello dei Beatles non bastava la musica. Servivano altre "emme". I manager sono stati altrettanto decisivi nella costruzione della macchina-Beatles, fin da uno dei loro primi impresari, che li mise al fianco dell'allora celebre Johnny Gentle, come gruppo di apertura (quando ancora si chiamavano Silver Beatles), promuovendoli rapidamente a star.

Ma i manager per un gruppo come i Beatles dovevano sommare molte qualità: innanzitutto dovevano identificarsi pienamente nello stile e nella cultura del gruppo, non solo sfruttarne le potenzialità di business. In secondo luogo dovevano svolgere al meglio le operazioni tipiche di un manager da gruppo, rock (procurare contratti) e in particolare gestire il rapporto con i media. Conferenze stampa, segnalazioni giuste sui giornali specializzati, passaggi televisivi. Tutte queste doti trovarono in Brian Epstein l'incarnazione ottimale per garantire un successo unico al mondo ai favolosi Beatles. Un manager che faceva affari con i Beatles, ne organizzava il merchandising, ma era anche intrecciato al gruppo nelle fasi creative della loro storia.
La simbiosi tra Epstein e i Beatles fu talmente totale e importante, che alia scomparsa del manager fece dopo poco seguito lo scioglimento del gruppo. Molte motivazioni sono state cercate per spiegare la fine del sodalizio tra i Beatles (dalle rivalità personali al ruolo di Yoko Ono), ma è indubbio che il loro miracolo produttivo, oltre che artistico, si era dimostrato inseparabile da Epstein.
Molto i quattro di Liverpool devono anche al produttore George Martin, che nel 1962 firmò il primo contratto con i Beatles e con Epstein: un penny per ogni singolo venduto... .
Grazie a manager e produttori i Beatles poterono inoltre affermarsi attraverso i concerti. Se fino al 1963 i quattro si dovevano accontentare del successo nella citta di origine (Liverpool, dove erano celebri fin dal 1961), in quest'anno scoprono di avere anche a Londra maree di fans. Le prime avvisaglie si erano già avute nel periodo passato ad Amburgo, ma è la capitale inglese a consentire il solidificarsi del successo: Londra era non a caso la mecca discografica, l'unico luogo che poteva sottrarli ai limiti della periferica Liverpool (per quanto defmita la «Nashville d'Inghilterra»).

Al manager Epstein spetto il compito di agevolare e inventare le altre "emme": la moda, la mania. Grazie a Brian Epstein i Beatles diventano un "marchio".

Prima di tutto il loro marchio si fondava su una precisa "immagine". Non c'era possibilita di successo senza confini se si restava nel cliché dei rockettari "duri", con i giacconi di pelle, i jeans scoloriti, gli stivali. All'esordio i Beatles si presentavano ancora cosi, senza nascondere un atteggiamento consueto nell'universo dei locali londinesi (le spacconate, le risse, i pestaggi) di cui erano pienamente compartecipi. Ma, dai capelli all'abbigliamento, il loro look doveva necessariamente cambiare.
La loro immagine è la sintesi del successo che hanno ottenuto. Un mix di perbenismo apparente e di trasgressione esibita. Capelli piu lunghi del consueto, ma abiti eleganti; comportamenti esagerati, ma rivestiti di completi ben stirati.
Un look fluido, capace anche di mutare nel corso degli anni, ma con alcuni tratti di continuità che permettevano l'identificazione agli appassionati.
La moda venne affrontata dalla macchina produttiva dei Beatles soprattutto attraverso la pettinatura. La foggia dei capelli o le prodezze del barbiere sono sempre state decisive nell'universo delle discoteche. Si pensi, prima dei Beatles, alle basette di Elvis Presley. I Beatles, all'inizio della loro carriera, erano piu "spettinati" che capelloni. Poi, l'idea di una acconciatura originale. Un'idea, anche in questo caso, non fortuita, ma suggerita da una esperta di immagine, come la fotografa tedesca Astrid Kirschherr, che propose ai quattro di pettinarsi i capelli in avanti, inventando cosi il celebre caschetto dei Beatles. Il "taglio alia Beatles" conquista in breve le schiere degli appassionati, e permette un'ulteriore espansione dell'impero industriale che crea denaro con i suoi canali, e soprattutto alimenta a sua volta il successo globale del gruppo: grazie a Epstein i Beatles fecero affari anche con la vendita di parrucche, usate come veicolo promozionale sulla base di un battage ben orchestrato. Dalla moda, allora, ci si allargava alia creazione della mania, anzi della Beatlesmania, attraverso una sapiente gestione del «marchio» e una selezione attenta da pane di Epstein.


E per creare «mania» c'era bisogno di un'ennessima «emme» per la macchina produttiva dei Beatles: i media, usati in tutte le loro potenzialità, fino alia capacità di precorrere i tempi, di cavalcare tecniche comunicative ancora in embrione negli ormai lontani anni Sessanta. La macchina Beatles si dilata su tutti i media, è davvero una macchina multimediale: i dischi, i concerti, (e i documentari sui concerti), i film (e i documentari sui film: The Making of...), i cartoni animati. Di recente si sono appropriati delle melodic e delPimmagi-ne beatlesiana anche gli spot, con un abuso che ha avuto persino stra-scichi giudiziari.
I Beatles hanno inoltre saputo sfruttare pienamente la forza della televisione, soprattutto percependone l'importanza in terra americana.
Emblematico e a questo proposito il concerto del 25 giugno 1967, che qualcuno ha letto come il primo esperimento di network televisivo globale. Alle note di All You Need is Love si è calcolato che ben 700 milioni di persone abbiano visto quel concerto (e poi, inevitabilmente, due milioni di persone hanno acquistato il disco). Senza confini, il successo dei Beatles si proiettava sul mondo, con un afflato universalistico testimoniato dallo striscione in piu lingue che campeggiava sui concerto. Oggi siamo abituati a queste kermesse musicali che ambiscono alia dimensione planetaria, ma nel 1967 era davvero una innovazione senza precedenti.
II rapporto proficuo con la televisione, del resto, era stato inaugurato già nel 1964 da Epstein, quando strinse un accordo con Ed Sullivan, presentatore di uno dei piu seguiti show del sabato sera statunitense: lo stesso programma che lanciò la popolarità di Elvis Presley, e che vantava una audience di 73 milioni di spettatori.

Nel cinema i Beatles approdano con A Hard Day's Night, diretto da Richard Lester, una commedia imperniata su una giornata del gruppo inglese, piena di azione e divertimenti.
Non solo il film andò bene e ottenne anche buone recensioni, ma il disco del titolo ottenne ulteriore successo. Era solo il primo esperimento per una serie di apparizioni cinematografiche, tutte di successo.
Oggi, il mito si perpetua nelle nuove forme della comumcazione di massa. I compact disc (un apposito "Beatles Committee" ha curato il trasferimento su CD dell'intero catalogo dei Beatles), le videocassette con i concerti e i film.
La macchina produttiva, allora, continua a funzionare, oltrepassando lo scioglimento dei Beatles. Ma sarebbe riduttivo spiegare il successo di questa macchina solo con l'abilità gestionale di un genio musicale, di una immagine e di una popolarità. C'era qualcosa di piu. C'era una motivazione piu profonda che ha permesso ai Beatles di avere una tale influenza sulla musica e sul costume dei nostri anni.


La grande abilità dei Beatles è stata quella di introdurre tematiche trasgressive senza provocare shock eccessivi, senza "scandalizzare il borghese" a tutti i costi. Nei testi e nei suoni delle loro canzoni hanno saputo insenre riferimenti esphciti alia cultura psichedelica e oninca di quegli anni, da Tomorrow Never Knows (sull'uso creativo della droga) al celeberrimo disco Sgt Pepper's (dove si parla di Lsd).
L'intera "cultura" proposta dai Beatles e permeata di inviti al "lasciarsi andare", "seguire i pensieri»" abbandonarsi alle "onde dei suoni", che invadono la coscienza. Elementi "alternativi" che si accompagnavano alia fruibilità più vasta della loro musica. Nonostante gli aspetti tranquillizzanti dello stile-Beatles, la loro musica è diventata, nel senso comune degli anni Sessanta, anche la musica dei contestatori, dei «gruppettari», dei capelloni. I ragazzi ribelli, in posizione di rifiuto per una scuola che li rifiutava, amavano i Beatles; i ragazzi che protestavano contro la guerra del Vietnam suonavano nelle loro riunioni le melodie dei Beatles ; i ragazzi che leggevano Garcia Marquez o Vargas Llosa tenevano nella propria stanza almeno un disco dei Fab Four.
Non scandalizzavano i borghesi, i quattro di Liverpool, ma esprimevano una cultura generazionale, molto piu anti-adulta del rock'n'roll americano che li precedeva. Mischiando gioia ad energia giovanile affascinavano un pubblico vasto e composito, ma la loro abilità consisteva nell'inserire in quel contesto temi e valori "ribelli". E "ribelli»"i componenti del gruppo lo erano davvero, a partire da George Harrison, che a sedici anni, bocciato, aveva bruciato la pagella. Eppure i veri cattivi del rock inglese restavano i Rolling Stones, che non a caso non riuscirono a ottenere il riconoscimento dell'establishement britannico, il titolo di baronetti che invece arrise ai Beatles. Il capolavoro dei Beatles fu proprio quello di essere ribelli senza essere elitari, "diversi" ma universalistici: qui è stata la chiave di un successo che si puo ben definire di dimensione planetaria. Non rassicuravano, al contrario di altri idoli del rock, ma nemmeno suscitavano rifiuti completi.




Nautilus


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