Gentilissimo Guglielmo Epifani,
nella lettera al Corriere della Sera, scritta allo scopo di precisare la sua posizione, chiede a chiunque voglia confrontarsi con lei di farlo sulle idee e sui contenuti.
Io lo vorrei fare, anche se evidentemente non ne ho i titoli, essendo solo un povero insegnante, la cui occupazione è andare in classe ogni mattina e tentare di rispondere alle domande di ventiquattro studenti.
Consapevole di questa mia povertà, due questioni vorrei però porle, e poco importa se vagheranno invano nella rete, senza raggiungere nessun terminale.
La prima è quella che lei invoca, e giustamente, ossia la domanda sulle ragioni della pace. Mi perdoni, ma se ho compreso che lei è per la pace, non ho sinceramente capito il perché. Infatti lei insiste dall’inizio alla fine della sua lettera sull’urgenza di determinare i valori che possano garantire un nuovo ordine mondiale, come se il problema fosse quello di identificare qualcosa che non c’è. Questo mi fa temere che per lei e per tanti pacifisti la pace sia la nuova utopia del mondo d’oggi, un’utopia che paradossalmente ha bisogno della guerra per alimentarsi. E se fosse l’opposto? Se fosse invece che la pace esiste già, come fatto che accade là dove l’uomo è consapevole di volere il bene, ma di fare il male, tanto che lo domanda e vi si educa? A mio parere è solo perché la pace è un’esperienza che si può giudicare ingiusta questa guerra e impegnarsi a costruire un mondo, in cui la convivenza civile affermi ogni uomo in tutto il valore che è. Il pacifismo, se in qualcosa manca, è nel fatto di non avere origine da un’esperienza di educazione alla pace, ma dal desiderio pur buono di un futuro di pace, che riesce a immaginare solo come assenza di guerra. Mi perdoni, ma questa pace, cui lei aspira, rischia di essere un nulla, perché l’uomo non c’entra!
La seconda domanda che vorrei porle riguarda la questione dei diritti, anche se più che una domanda è un’osservazione critica. Uno dei passi fondamentali della sua lettera è certamente quello in cui affronta il problema dei diritti, ma mi pare lei commetta un errore a considerare astratto il concetto occidentale di diritto, a meno che si riferisca a quello coniato dalla Rivoluzione Francese, in forza del quale è lo stato che stabilisce chi sia l’uomo e quali i suoi diritti. Se questo è vero, non si può dire però la stessa cosa dell’America, dove la libertà dell’uomo viene prima dello stato, tanto che lo stato non deve definirla, ma solo garantirla e valorizzarla. E’ per questo che nella guerra in corso, anche per me ingiusta, io sto comunque dalla parte dell’America! E’ solo se l’America avrà il coraggio di perseguire la libertà di cui il suo popolo si nutre che per il mondo si apriranno prospettive positive di convivenza tra i popoli. Del resto non c’è pace se non affermando la libertà dei singoli uomini e di ogni popolo, libertà di cui è segnata la storia del popolo americano.
La ringrazio per la sua attenzione.
Gianni Mereghetti
franco ricci - 01-04-2003
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