breve di cronaca
La controriforma al via
La Repubblica - 06-11-2001
Scuola, la controriforma Moratti

Obbligo fino a 18 anni, a 11 si sceglie l'indirizzo di studio

di MARIO REGGIO

ROMA - Obbligo scolastico e formativo fino a diciotto anni. Cancellata la scuola di base di sette anni, si torna alle elementari e alle medie. Otto anni divisi in quattro bienni. E prima dell'ultimo, vale a dire in seconda media, l'alunno dovrà scegliere se imboccare il canale della formazione professionale o quella "accademica" dei licei. Sorpresa: chi ha frequentato le materne, che restano facoltative, potrà avvalersi del bonus di un anno scolastico qualunque percorso abbia scelto. E le superiori? Per arrivare ai dodici anni di studi obbligatori previsti dalla "controriforma" ne mancano quattro, ma pare che il liceo classico potrà mantenere il quinquennio. Per chi sceglierà invece la strada della formazione professionale è previsto un percorso graduale e continuo durante il quale verranno rilasciati tre titoli di studio: qualifica professionale, diploma professionale secondario e poi superiore.
E' questa la sintesi della missiva, tre pagine e nove punti, spedita dal presidente del Gruppo ristretto di lavoro sulla riforma dei cicli scolastici, Giuseppe Bertagna, alle associazioni delle famiglie, alle riviste specializzate, ai sindacati della scuola, alla Conferenza dei Rettori. Ai destinatari viene richiesta una risposta scritta, via fax o email, su tutti o solo alcuni punti del piano. I commenti sono già arrivati al ministero entro il 30 ottobre scorso. Certo il testo sottoposto agli addetti ai lavori non è quello definitivo, ma difficilmente ci si discosterà dall'impianto generale.
«Non manometterò i principi generali della riforma dei cicli». Così il ministro Letizia Moratti, il giorno del passaggio delle consegne, rassicurò il dimissionario Tullio De Mauro. Ma le cose sembrano aver preso una piega diversa.
Tentiamo di approfondire alcuni punti del piano MorattiBertagna.
Il nodo centrale è l'istituzione del "doppio canale". Da una parte i giovani che hanno difficoltà a scuola e quindi è meglio che scelgano la formazione professionale, dall'altra quelli che vivono in famiglie di cultura medio alta (quelle che secondo le statistiche possiedono una biblioteca con più di 100 libri), destinati a continuare gli studi nei licei. Una struttura che assomiglia molto alla scuola italiana degli anni '50, quando dopo le elementari la scelta secca era tra l'avviamento professionale e la scuola media. Ora questa scelta dovrebbe essere fatta a 12 anni, cioè all'inizio della seconda media: chi preferirà gli studi "importanti" continuerà a studiare il latino e approfondire l'italiano, gli altri si dedicheranno con maggiore attenzione a materie più pratiche, più utili ad un rapido inserimento nel mondo dei mestieri. A 14 anni la scelta definitiva: liceo per i primi, istituto professionale per gli altri. Con la riforma Berlinguer, invece, i percorsi didattici si diversificavano solo al termine del biennio delle scuole superiori.
Già da un quarto di secolo, negli Stati Uniti, si teorizza una divisione della popolazione, dove un quinto degli studenti è destinato ad avere strumenti alti di conoscenza, un profilo culturale elevato, perché questo chiede la società per mantenere la sua leadership economica e militare. Il resto, con un reddito che possa sostenere l'offerta di beni e servizi, mantiene un livello di conoscenza e aggiornamento culturale basso.
Un'altra novità riguarda le lingue straniere: si accantona lo studio della prima lingua a partire dal primo anno della scuola di base. Tramonta anche l'idea dell'insegnamento della musica a partire da sei anni.
E' da chiarire infine l'ipotesi di attribuire un credito a chi ha frequentato la scuola materna, in base al quale i dodici anni del percorso formativo si ridurrebbero ad undici. Per quali ragazzi varrebbe? Per quelli che già frequentano le scuole secondarie? Non sembra probabile. Allora i destinatari sarebbero quel terzo della popolazione scolastica che si trova in condizioni di svantaggio e non arriva alla licenza superiore, proprio quelli che in teoria ne avrebbero più bisogno? Anche questo è un nodo da sciogliere.
Ma per sapere come andranno realmente le cose bisognerà attendere gli annunciati Stati Generali della scuola, che dovrebbero tenersi alla metà di dicembre. In proposito si fanno sempre più insistenti le voci che parlano della gestione mediatica dell'evento affidata alla Costanzo Communication.

"Ritorno al passato
con gravi danni
per gli studenti"


Oliverio, uno dei padri della riforma De Mauro

ROMA - «Una scelta di classe. Un ritorno al passato. Penso che se i treni non funzionano, se le strade non reggono più il traffico non è intelligente tornare alla diligenza». Alberto Oliverio è professore Ordinario di Psicobiologia alla Sapienza. Ha partecipato ai lavori della commissione BerlinguerDe Mauro che elaborò la riforma dei cicli.
Addio alla scuola di base, la scelta si farà a 11 anni.
«Posso comprendere un ritorno alla separazione tra le elementari e le medie inferiori, perché poneva notevoli problemi nell'età di transizione, mettendo insieme bambini e preadolescenti. Non mi sembra un dramma. Ma far scegliere a dei bambini è una scommessa errata, perché è dettata, come si diceva un tempo, dalla classe sociale a cui appartiene. Capisco i problemi che hanno alcuni insegnanti che fanno scuola in luoghi disagiati, a Napoli, Palermo o Catania. Dicono: "non sappiamo come tenerli". Allora la risposta può essere mandiamoli alla scuola professionale. Ma non mi sembra una scelta lungimirante».
Cosa cambierà per gli studenti?
«Una scelta del genere è contraria alla filosofia della formazione psicologica e pedagogica attuale che prevede più strumenti generali che competenze particolari, dà la priorità alla capacità del giovane di affrontare i problemi con senso critico, di cogliere il senso e il significato di un testo scritto, di saper interpretare un grafico. Le nozioni, invece, invecchiano subito, rendono la persona meno autonoma e molto vulnerabile. È vero che ci sono fasce di studenti che non vogliono imparare l'italiano, che non amano la scuola, perché è la società in cui vivono premia altri valori, e la famiglia non collabora. Ma la scuola, in attesa di tempi migliori, ha il dovere di aiutare questi ragazzi coinvolgendoli nella sperimentazione e nelle attività fisico pratiche. Non si può buttare via il bambino con l'acqua sporca. Così le professionali diventano il rifugio per chi ha nel lavoro subito e nei soldi i suoi valori. Ma l'élite che andrà al liceo saprà il latino, ne nascerà una classe dirigente astratta, che non apprezza la manualità».
I genitori verranno chiamati ad una scelta molto ardua.
«La scuola supplisce spesso all'incapacità della famiglia di seguire i propri figli, ma se la scuola decade tutto diventa meno attraente e il problema si complica. Si autorizzano così i giovani che vedono nell'istituzione scolastica un non valore a cadere in stereotipi che la società non gli lesina: lavoro e denaro uguale successo. Non si dà loro una visione panoramica prima di scegliere».
Avrà un impatto sull'Università?
«La riduzione della formazione di base sarà un problema molto serio. Mi sembra si stia scegliendo un ritorno al passato considerato come una bacchetta magica. Ma non è il tempo della pietra focaia».
(ma.re.)
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