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Il Manifesto - 21-03-2003

Vincere la guerra sparando pochi missili e uccidendo Saddam il tiranno per invadere l'Iraq senza massacrare la popolazione. Forse era questa la scommessa di Bush il texano ma l'ha persa. Per lui sarebbe stato un trionfo e per chi odia e ripudia la guerra per la sofferenza delle popolazioni colpite, prima che per le sue finalità di dominio, sarebbe stato un sollievo. Ma non siamo ai tempi degli Orazi e Curiazi e quando saremo in edicola non sappiamo quante delle tremila bombe annunciate saranno piombate su città e villaggi e quanto sangue sarà stato versato. Lo scenario si ripresenta così come era stato annunciato e come paventavamo, la più grande potenza militare della storia contro un paese due volte disgraziato per il nemico che lo assale e per il regime che lo governa.

Il presidente americano non è apparso sicuro di sé nel suo ultimo appello televisivo alla nazione, ha parlato di una guerra forse più lunga e luttuosa del previsto, lacrime e sangue. Forse ha voluto mettere le mani avanti ma ieri abbiamo visto sugli schermi la ferocia scatenata della guerra. Una cosa ci sembra certa, che la durata e il costo di questa ferocia sono la grande incognita che grava non solo sul presente ma sul futuro.

Ogni giorno che passa crescerà l'avversione e l'opposizione nel mondo, non più per impedire la guerra che c'è ma per condannarla senza appello e fermarla come si può. Non solo l'avversione e l'opposizione pubblica ma l'ostilità dei governi e degli Stati che vedranno confermate le ragioni della loro contrarietà. E le conseguenze e i rimbalzi nell'area medio-orientale e sugli equilibri mondiali si moltiplicheranno. Il presidente Chirac ha detto di augurarsi che sia evitata una catastrofe umanitaria, ma qual è l'unità di misura di una catastrofe umanitaria? Questa lo è già e i vincitori possono uscirne sconfitti da se stessi.

Questo scenario di morte che ci sovrasta potrebbe ancora attenuarsi se la popolazione e il suo regime non vorranno o non potranno opporre resistenza, se sul campo giocherà una squadra sola. L'ultima immagine di Saddam lo mostrava sconvolto, forse non tanto per i missili sul bunker quanto perché a guidarli può essere stato quel complotto intestino su cui gli americani fanno ancora affidamento. Ma qualcuno dice (poiché la tragedia è sempre intrisa di inganno e menzogna), che si trattava di una controfigura maldestra.

Ma di che parliamo? Mentre noi scriviamo cadono a Baghdad le bombe invisibili, il cielo iracheno sputa morte, il resto del mondo è incollato alle televisioni e la gente manifesta per le strade. Manifestazioni negative, le chiama il proconsole che ci governa, e infatti lo sono perché negano e rinnegano questo orrore. Abbiamo visto crollare sui nostri schermi i primi palazzi, le torri newyorkesi moltiplicate a Baghdad non ad opera di quattro terroristi ma della leadership della civiltà occidentale. Ecco la catastrofe umanitaria che avanza e che dev'essere fermata. Questa guerra non può essere vinta da nessuno dei contendenti, può e deve essere vinta solo dalla pace.


LUIGI PINTOR
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