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Essere e avere
Liberazione - 15-03-2003
In sala dal 7 febbraio l'ultimo film di Nicolas Philibert
Il cinema è tutto qui




Quando è che un documentario diventa cinema? «Quando il senso e l'emozione che lo spettatore riesce a trovare in quello che vede travalica l'immagine e assume un valore simbolico». E' la risposta chiara e anche esaustiva di Nicholas Philibert, regista francese che sul crinale tra cinema-fiction e documento è da molti anni, con risultati notevoli e poco o niente conosciuti in Italia. Ora però avremo occasione di vedere l'opera di questo regista sui nostri schermi con "Essere e avere" (dal 7 febbraio, a Roma al Nuovo Sacher). Formalmente un documentario, appunto. Cento e passa minuti di montaggio dentro una scuola rurale nascosta nel cuore dell'Alvernia, una delle zone più fredde e impervie della Francia centrale. Nella scuola, una dozzina di allievi dalla prima alla sesta classe delle elementari e il loro maestro, Georges Lopez. Fuori, una natura potente e imperiosa, le famiglie di contadini e allevatori di bestiame, i cani randagi e basta. Si potrebbe quindi pensare a un documento sul valore dell'insegnamento in un luogo lontano dalle metropoli, o anche ad un affresco sulla vita dei bambini di campagna, o ancora al diario di un uomo che ha scelto di dedicare la propria vita ad insegnare ai piccoli a leggere e scrivere. Ma "Essere e avere" è molto di più, infinitamente di più. E' un film sulla vita degli esseri umani visti da vicino, e con amore.
Un miracolo di profondità e rispetto la cui realizzazione il regista spiega così: «Prima di tutto voglio chiarire che il mio non è un documentario né un reportage. Perché io non parto da un grumo di idee che voglio mettere in immagini. Non parto da alcun assunto, né da una tesi da dimostrare. Non devo convincere nessuno di niente. I miei film partono dagli spunti più diversi. In questo caso ero interessato all'apprendimento della lettura e alla vita rurale. Le due cose a un certo punto si sono messe insieme nella scelta di filmare la vita di una scuola di campagna».





Ma allora, cosa la spinge a fare un film invece di un altro?

Niente che abbia a vedere con soggetti o sceneggiature, nel mio cinema elementi assolutamente in secondo piano. Io sono mosso essenzialmente da due cose: dal desiderio di fare una cosa e dalla convinzione che si può fare cinema anche partendo da cose piccolissime e apparentemente banali. In realtà, solo quando inizio a girare comincio a capire lentamente dove andrò».


Così sembra tutto casuale. Mentre invece "Essere e avere" raggiunge delle profondità rare da trovare anche nel cinema più elaborato.

Il mio principio quando inizio ad avvicinare un tema o un personaggio in un film è "meno ne so meglio lavorerò". Questa sorta di inconsapevolezza mi costringere ad essere assolutamente aperto, disponibile verso ciò che sarà e anche molto fragile, perché non ho punti di appoggio, scalette, certezze.


In questo caso, un compito particolarmente difficile, visto che i suoi attori sono quasi tutti bambini. Come ha fatto a fargli dimenticare la macchina da presa?

Lavorando sulla loro accettazione. Tutta la troupe ha lavorato prima per integrarsi bene nel gruppo e poi abbiamo iniziato a girare. Quando la curiosità dei bambini si è spenta noi siamo diventati parte del loro mondo e tutto è andato avanti nel modo più naturale.


"Essere e avere" ha avuto un successo incredibile in Francia, oltre ad essere stato premiato come miglior film europeo del 2002. Come se lo spiega?

Prima di tutto bisogna dire che in Francia abbiamo ancora una tradizione di documentari in sala. Lo scorso anno, su 70 film prodotti, 17 erano documentari, e non è poco. Poi la gente credo che abbia piacere di "fare il tifo" per film piccoli, quando sono graditi. Una sorta di sostegno alla battaglia fra Davide e Golia che avviene nelle nostre sale, ovvero tra il cinema piccolo e quello delle mega-produzioni. Infine, il film parla comunque di scuola, ambiente molto sofferente in questi anni in Francia, con insegnanti scoraggiati. Un mondo che riflette bene le contraddizioni della nostra società.


Per finire, perché questo titolo?

Perché "essere" e "avere" in francese come in italiano sono verbi ausiliari, i primi che si studiano, i verbi da cui tutto parte. Se poi ci si vuole leggere un significato più astratto o filosofico, ognuno è libero di farlo.






Roberta Ronconi


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