breve di cronaca
Buon compleanno
L'Unità - 14-03-2003

Carlo Giuliani oggi avrebbe 25 anni

di Giuliano Giuliani

Oggi ricordiamo Carlo, al Gran Teatro romano di viale di Tor di Quinto. Compirebbe venticinque anni.
Carlo è nato a Roma il 14 marzo del '78, pochi minuti dopo le venti (delle cose straordinariamente belle si perde spesso la precisione cronometrica). L'ho visto prima di Haidi, il cesareo le aveva tolto l'indiscutibile privilegio. Mentre lo guardavo, con l'emozione immensa che ti dà la grandezza della vita racchiusa nel piccolo corpo di un bimbo, mi sono messo a contare le dita delle mani e dei piedi. Era il modo, troppo banale, di rispondere all'invito pressante di controllare che fosse tutto intero.
Poi sono arrivate quelle maledette 17.27 del 20 luglio 2001. E dall'ora di questo terribile giorno ad oggi sono trascorsi un attimo e un secolo. Un attimo per il dolore terribile che resta, e resterà sempre, immutato. Un secolo per le tante cose che sono già successe, gli abbracci, le strette di mano, la vicinanza di tanti, gli incontri, le attestazioni di solidarietà, la ricerca della verità e la consapevolezza crescente di tante persone libere e oneste.

Ricordiamo Carlo soprattutto per rimettere insieme questo secolo. Cominciando proprio dalla verità, con una tavola rotonda e un dibattito sul modo in cui è stata ed è tutt'ora informata l'opinione pubblica su quanto è accaduto in piazza Alimonda.
Ho potuto godere della lezione di grandi maestri (uno di questi era Fortebraccio, quando si firmava emme e dirigeva un giornale del pomeriggio a Milano, agli inizi degli anni sessanta), che insistevano sulla necessità di tenere distinta la cronaca dal commento, sempre legittimo. Una lezione scarsamente ascoltata. La frase "Carlo Giuliani, il no global ucciso a Genova mentre, con in mano un estintore, assaltava una camionetta dei carabinieri rimasta isolata e circondata" è stata ricorrente e martellante, anche come didascalia di una fotografia altrettanto martellante e ricorrente. E' cronaca? Assolutamente no, è un commento, per di più falso, se si eccettua il fatto che Carlo è stato ucciso.

Non fermiamoci a quella sola fotografia. Guardiamo anche le altre, tutte le altre, guardiamo bene i filmati. La camionetta non è isolata, e neppure circondata, a meno che non si vogliano attribuire intenzioni aggressive ai numerosi colleghi di reparto che sono vicini alla sua parte anteriore. Carlo non partecipa a nessun "assalto". Sopraggiunge fra gli ultimi. Quando raccoglie l'estintore da terra la pistola è puntata da tempo. Vuole aggredire o disarmare? Il mio convinto commento è che voglia disarmare, una cronaca obiettiva deve sempre porsi l'interrogativo. E l'estintore? In una fotografia (non se ne osservano mai abbastanza) si vede chiaramente che uno dei carabinieri che corrono dal primo tratto di via Caffa verso piazza Alimonda (perché scappano dopo aver attaccato anche di fianco il corteo in via Tolemaide, per paura o, come qualcuno sospetta, per preparare la trappola?) ha in mano un estintore in tutto simile. E' lo stesso? Difficile, adesso, provarlo o negarlo, dopo che quello incriminato è stato ridotto maluccio con le prove di tiro decise dai consulenti del pubblico ministero (e questa è cronaca)!
E si potrebbe continuare, per ore, per giorni, per un secolo, appunto. E parlare di corso Italia, della Diaz, di Bolzaneto, delle presenze politiche inquietanti nelle sale operative dell'ordine pubblico.

E parlare della guerra, del che fare per evitarla mentre è già iniziata. Carlo ci ha insegnato ad amare la pace, a negare la guerra. A diffidare del potere, tanto più perfido quanto più si ammanta abusivamente di obbiettivi di democrazia, di valori (ma quali!), di consensi, estorti con le false promesse, le lusinghe, più frequentemente con la costrizione (che vergogna la campagna acquisti nei confronti dei paesi poveri per cercare di arrivare a contare fino a nove!).
Ci ha insegnato a distinguere. La resistenza dall'aggressione. La difesa dall'offesa. Ecco perché offende e disgusta l'uso ignobile del nome di Carlo per operazioni di vigliacco sciacallaggio. Scellerato e vergognoso, perché, oltretutto, un volantino può scriverlo chiunque.

Ma non è meno grave la scellerataggine di chi accusa i pacifisti di stare con Saddam. Basta e avanza rispondere che essere contro Saddam non dovrebbe significare essere contro i cinquecentomila iracheni morti con le prime bombe, come è stato previsto e conteggiato.

Ho letto con commozione l'altro giorno, su questo giornale, il caro articolo di Nando Dalla Chiesa. Con la commozione che deriva dalla condivisione, ma prima ancora perché il felice resoconto dell'accesa discussione con suo figlio mi ha fatto riandare per l'ennesima volta a simili confronti. E' proprio vero, Nando, una delle cose straordinarie che stanno succedendo, che sono già accadute, è che sono i figli ad insegnare ai padri.
Carlo ci ha insegnato ad amare la vita, e quindi anche quella dei più deboli, dei più indifesi, anzi a cominciare da quella dei più deboli e degli indifesi.
E' per questa ragione che al Gran Teatro ci saranno anche la musica, le poesie, la satira. Come già a Genova nel luglio del 2002, vogliamo che sia una festa della vita, la festa del diritto alla vita, ai tanti, troppi diritti negati. Tutto ciò che ha ispirato e continuerà ad ispirare le canzoni, i versi, la serenità e la naturalezza. E' il riscatto di una morte ingiusta. Ma vuole essere anche un messaggio di speranza. Per ritrovare strade di speranza verso un mondo migliore. Chi sarà lì, ci sarà anche per questo.

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