Un codice deontologico, per farne che?
Alfonso Indelicato - 24-02-2003

A latere del dibattito sullo stato giuridico dei docenti innescato dalla proposta di emendamento alla legge delega 421 effettuata dall’On. Angela Napoli, si è sviluppata una non meno stimolante discussione concernente il “codice deontologico” (da qualcuno più estensivamente definito “codice etico”) dei docenti, anche in coincidenza con la pubblicazione del documento conclusivo dell’ apposita Commissione Ministeriale presieduta dal Card. Esilio Tonini.
Le due questioni sono connesse, ma la loro complessità induce, in questo momento, a scinderle, nonché, nell’accingersi a proporre alcune considerazioni concernenti per l’appunto il codice, ad abbandonare qualsiasi pretesa di completezza, limitandosi a circoscrivere ed evidenziare alcuni aspetti relativi alla sua istituzione ed applicazione.

Attualmente il regime disciplinare dei docenti è regolato dagli artt. 492-508 e 575-578 del “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione”, istituito con Decreto Legislativo del 16-4-‘94 n. 297.
Questo non significa che agli insegnanti si applichi un sistema disciplinare ad hoc, in qualche modo calibrato sulle peculiarità della categoria: per gli aspetti disciplinari, infatti, il Testo Unico discende – con minime discrepanze – dal DPR 10-1-’57 n. 3, ossia dal “Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”.
Quali sono le caratteristiche fondamentali di questo regime disciplinare, comune all’impiegato delle Imposte Dirette e a quello delle Dogane, a quello del Bollo e quello delle Poste, ed applicato, come si diceva, anche agli insegnanti?
Si direbbe fondamentalmente due: in primo luogo, è l’Amministrazione ad istruire il procedimento disciplinare ed anche a concluderlo, mediante la sanzione o il riconoscimento dell’insussistenza degli addebiti contestati. Secondariamente: a colui che è fatto oggetto del procedimento è garantito il diritto all’autodifesa, sia anteriormente all’eventuale sanzione (mediante le “controdeduzioni”) sia posteriormente (mediante ricorso).
Prescindendo da quest’ultimo aspetto, il quale si limita ad attuare precise garanzie costituzionali ed evidentemente dovrà rimanere intangibile all’interno di qualsiasi mutamento normativo, è per l’appunto il primo aspetto, ossia l’essere l’Amministrazione il soggetto dell’azione disciplinare, che

Ci si chieda ora quali risultati sortirebbe l’inserimento di un codice deontologico – fosse esso il più dettagliato, bello e morale del mondo – nella cornice normativa che è stata, sia pure in termini estremamente sintetici, delineata.
Nel migliore dei casi esso risulterebbe un inutile orpello, per di più caratterizzato da un vago sentore di presa in giro.
Nel peggiore, esso costituirebbe un supporto utile all’Amministrazione per gravare ulteriormente il procedimento disciplinare, addebitando al docente delle mancanze che attualmente non gli sono imputabili.
In un caso come nell’altro, i docenti non ne ricaverebbero affatto quella promozione, in termini di perfezionamento professionale e riconoscimento sociale, alla quale ambiscono (o almeno alla quale ambisce la parte più avveduta e dinamica di loro).
E’ infatti evidente che il codice deontologico ha senso solo nell’ambito di un quadro normativo che consenta ad una categoria professionale di auto-governarsi, ossia di applicare il codice stesso per mezzo di propri organi rappresentativi.
A prescindere di come possa configurarsi e in quale quadro debba poi collocarsi tale organo rappresentativo, l’ottenimento di un organo di auto-disciplina sarebbe comunque un risultato assai ragguardevole.

Si avverte tuttavia il rischio che le linee progettuali che si vanno accennando possano essere accusate di eccessiva auto-referenzialità: in tutto questo, infatti, che fine fa l’Amministrazione?
Già, perché l’attività docente, oltre a possedere caratteristiche squisitamente professionali (quella dell’alto livello culturale della prestazione fornita, quella del diritto-dovere ad un aggiornamento personalizzato, quella della relazione umana con lo studente, ecc. ecc.) ne possiede altre di natura prevalentemente burocratico-amministrativo. Si pensi ad esempio al dovere di rispettare certe scadenze, di compilare diligentemente certi documenti, quello della puntualità, ecc.
Per quanto concerne queste incombenze l’insegnante è sottoposto ad un apparato amministrativo la cui autorità più prossima è il Dirigente Scolastico, quella più lontana lo stesso Ministro.
Ebbene, si ritiene che una armoniosa composizione della dimensione più squisitamente professionale e di quella burocratico-amministrativa sia possibile sulla base di un’attenta suddivisione dei compiti.
Nell’ambito che ora interessa, la strada potrebbe essere la seguente: in caso di (supposta) infrazione al Codice, l’Amministrazione segnalerebbe la circostanza all’Organismo di auto-disciplina. Quest’ultimo a sua volta procederebbe con le modalità previste dall’attuale sistema disciplinare, il quale invero appare di per sé – prescindendo dunque da chi ne sia il soggetto – sufficientemente equilibrato tra garantismo e rigore.
Dunque l’Amministrazione, nella prospettiva che si va tracciando, non giudicherebbe il docente, ma attiverebbe in tal senso l’Organo di autogoverno. All’Amministrazione potrebbe essere riconosciuto un potere ispettivo a carico dei docenti, essendo l’ispezione atto preliminare al procedimento disciplinare, e non costituente il procedimento stesso.

Nel concludere, si riconosce senz’altro di aver lasciato indietro numerosi aspetti della problematica che è stata toccata. Ad esempio, questo Organismo di auto-controllo dovrebbe operare su base provinciale o regionale? Con quali modalità dovrà essere eletto? Di quali altre competenze dovrebbe essere investito, oltre a quella disciplinare? Questi sono solo alcuni tra gli interrogativi che la materia toccata propone. Altri, ugualmente rilevanti o più rilevanti ancora, attengono ai contenuti del codice medesimo.
E questi ultimi – si osserva in limine, con l’impegno di dedicare prossimamente all’argomento la dovuta attenzione – dovranno in qualche modo risultare complementari rispetto ai doveri e alle prerogative degli studenti. La necessaria apertura in tal senso eviterebbe quei rischi di egoismo personale e di arroganza della categoria professionale che altrimenti potrebbero concretarsi, nella dimenticanza che della scuola gli studenti sono l’autentica causa finale.

Milano, 16/02/03


Angelo Ruggiero

Presidente dell’ Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante


Alfonso Indelicato

Presidente della Consulta Regionale per i Valori della Scuola




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