Contro il disordine imperiale, un ordine pubblico democratico e universale
"Le monde diplomatique" - 20-02-2003

La società mondiale è entrata in una forma di imperialismo che non riguarda soltanto un governo ma tutto un sistema, quello di un capitalismo finanziario contemporaneamente multinazionale e intergovernativo.
Non è tollerata la benché minima resistenza all'ordine così imposto.
Incapacità dopo l'11 settembre di opporsi alla guerra in Afghanistan, silenzio di piombo sulla Cecenia, mutismo doloroso sulla Palestina, debolezza dell'opposizione alla guerra contro l'Iraq per paura di sembrare favorevole al regime al potere a Baghdad: sono queste, sui conflitti più gravi, le vittorie dell'ordine imperiale che ormai prende in ostaggio l'umanità intera e spinge nell'impasse funesta del terrorismo i suoi membri meno equilibrati. Siamo condannati a lasciar fare, o siamo costretti a spingere l'unica comunità politica ancora in grado di esprimersi, vale a dire l'Europa, ad impegnarsi nella competizione militare per ritornare (ma fra quanto tempo, e con quale scopo?) a una situazione bipolare? No, perché ci resta ancora un'arma troppo poco utilizzata, quella delle idee, e quindi dei valori che le idee esprimono.
Il popolo vietnamita, il popolo algerino, i popoli dell'Africa colonizzati dai portoghesi, non hanno vinto le loro guerre contro l'Occidente grazie ad un rapporto favorevole di forze materiali. Anzi. Le hanno vinte con la forza di un'idea, quella della emancipazione, e con l'irrompere di un cambiamento della norma giuridica, con l'affermazione del principio del diritto dei popoli all'autodeterminazione, che ha ribaltato la validità del colonialismo fino allora riconosciuta.
Ciò che ha permesso di vincere guerre locali deve consentire, seguendo altre modalità, di opporsi al dominio globale. Purtroppo, il diritto internazionale è screditato dall'immagine che ne offre il Consiglio di sicurezza, e gli immensi progressi compiuti nelle assise internazionali sul piano della formulazione dei diritti sono paralizzati dall'assenza di meccanismi attuativi efficaci. Tuttavia, il diritto e i valori ad esso soggiacenti, continuano ad essere un'arma non priva di efficacia, se la società civile - quella parte dell'umanità decisa a entrare in azione - potrà far proprio il problema del diritto internazionale, controllarne l'utilizzo e contribuire così a valorizzare i principi a cui non è consentita alcuna deroga e che dovrebbero costituire le fondamenta stesse di una società mondiale democratica.
Il capitalismo militare-finanziario ha imposto le condizioni per potersi espandere all'infinito. A tale scopo esige che nulla, in nessuna parte del globo, possa sottrarsi alla legge del mercato.
Laddove l'accesso alle risorse è di vitale importanza per i predatori del mondo (Medioriente, Caucaso), il fatto che interi popoli vengano schiacciati è soltanto un episodio marginale e contingente. Bisogna imporre a tutto lo status di merce, anche al pensiero, al creato, agli elementi dell'ambiente, la sanità, l'istruzione, l'essere umano e il suo corpo. E tutto ciò dev'essere negoziato per contratto - il punto culminante di una transazione in cui nessun valore è tutelato, proprio perché tutto è negoziabile.
Se è vero che il contratto è uno strumento di libertà tra i soggetti di diritto, è anche vero che presenta tale vantaggio soltanto tra partner paritetici. Per contro, diventa mezzo di sfruttamento allorché è negoziato su posizioni di ineguaglianza. L'unico ostacolo a tale sfruttamento consiste in principi intangibili, che esprimono i valori sociali fondanti di un gruppo umano. Ma allora, bisogna dichiarare senza equivoci che esistono valori dotati di uno status giuridico superiore alle altre norme, in particolare quelle contrattuali. Questa architettura consente al corpus sociale di coagularsi attorno ad un «ordine pubblico».
Si tratta di un concetto ben noto nel diritto interno, in particolare nei paesi dell'Europa continentale, in cui si distingue l'ordine pubblico di direzione e quello di tutela. Il primo impone una certa qual concezione dell'interesse generale e della pubblica utilità, mentre il secondo è destinato a tutelare alcune categorie di contraenti, troppo fragili per poter negoziare i propri interessi senza che questi vengano schiacciati (1). Ma per fondare un ordine pubblico, occorre che il gruppo abbia coscienza di appartenere ad una comunità politica che si struttura, e allora si pone il problema dei mezzi di tale strutturazione. Essi possono consistere nelle leggi più importanti, definite leggi di ordine pubblico. Il Codice civile francese recita all'articolo 6: «Non è consentito derogare con convenzioni particolari alle leggi attinenti all'ordine pubblico e al buon costume». Ma questo può valere anche per i principi direttivi, non necessariamente scritti, ma calati nella coscienza collettiva. Non si sottovaluterà in questa sede la difficoltà che pone il concetto in una prospettiva di democrazia, così come non si dimenticherà quanto spesso è stato travisato nel corso della storia. Infatti, l'idea di ordine pubblico può essere confiscata da poteri repressivi che la trasformano in un ordine securitario o morale - tendenza decisamente operante in talune «democrazie europee». Si dirà quindi che l'ordine pubblico, se è indispensabile, deve anche essere oggetto di una vigilanza particolare sul contenuto che gli si dà in un momento definito, onde evitare che si ponga al servizio di valori regressivi. A questo punto la qualità di un sistema giudiziario ha un ruolo molto importante, così come l'autentica libertà d'informazione, nella misura in cui consente a tutte le parti del popolo di incidere nel dibattito sulla natura dei principi a cui non è consentito derogare.
A tale proposito ci troviamo in una deriva che è necessario interrompere ad ogni costo, perché questa strutturazione sociale indispensabile, che sembrava ormai acquisita nelle società interne, attualmente viene erosa o confiscata e i timidi tentativi avviati nella società mondiale dopo il 1945 sono ormai paralizzati. Le società interne sono sottoposte alla pressione ideologica della deregulation. Nessun principio deve intralciare l'espansione del mercato né imbrigliare il negoziato contrattuale che ne è il mezzo.
Le sinistre europee hanno perduto continuamente terreno, proprio per la loro incapacità di opporsi a tale situazione in maniera convincente agli occhi dei loro elettori. I paesi del terzo mondo hanno rinunciato a salvare le loro società, accettando di consegnarsi al mercato mondiale, allorché le posizioni di debolezza iniziale in cui si trovavano li condannavano in partenza a precipitare nell'abisso. Il servizio pubblico, o quel che ne resta, è costretto alla difensiva, dappertutto; il concetto di interesse pubblico, che ne costituiva la giustificazione e che presuppone un lavoro costante di democrazia in atto, è messo da parte per procedere alle transazioni più discutibili. Un esempio per tutti: la voracità senza limiti del sistema finanziario ha indotto le banche francesi a negoziare per contratto benefici finanziari a loro vantaggio, per effettuare i controlli e le verifiche che devono effettuare sugli assegni emessi dai loro clienti, nella lotta contro la falsificazione degli assegni. Ma, in realtà, le banche sono tenute ad effettuare tali verifiche, in ogni caso, dalla legge e dalla giurisprudenza.
Tuttavia, le banche hanno trovato una fonte di utili non indifferente, assicurando i loro clienti che avrebbero svolto tali controlli previa remunerazione (2). Far pagare, con una transazione, l'assicurazione che si adempiranno gli obblighi imposti dalla legge, è una deriva del concetto di ordine pubblico, una «prevaricazione» bella e buona.
Secondo questa logica, gli insegnanti potrebbero far pagare gli studenti, assicurando che rispetteranno le regole di vigilanza agli esami, oppure chiunque potrebbe far pagare ai suoi vicini l'assicurazione che non si lascerà andare ad atti di violenza nei loro confronti ...
Ma se l'ordine pubblico si perde nelle società interne, non si è ancora ritrovato nella società globalizzata. Questa è retta dalla legge del «tutto contratto», sia che si tratti di accordi fra gli stati (i trattati) in cui i più deboli non hanno alcun margine di trattativa, che di contratti economici o commerciali tra stati e imprese. Il concetto di diritto superiore al contratto non costituisce comunque una novità assoluta, e la categoria di norme corrispondenti è quella delle regole di diritto imperativo generale (3). Superiori a qualsiasi altra, tali norme dovrebbero comportare la nullità dei trattati che entrino in contraddizione con loro. Ma questa è pura teoria. Nessun trattato che conceda alle grandi potenze vantaggi finanziari, territoriali, militari o di polizia sul territorio di piccoli stati è mai stato minacciato di nullità, per quanto gravi potessero essere le sue conseguenze sul piano umano. Il che vuol dire che la contraddizione esistente tra tali trattati e le grandi norme di tutela dei diritti fondamentali non è oggetto di alcuna sanzione. In tal modo, il diritto rimane essenzialmente intersoggettivo, frutto di relazioni tra gli stati, in cui i più deboli non possono tutelarsi, in quanto le regole oggettive di valore universale che potrebbero dare un senso alla società globalizzata sono esse stesse carenti.
L'assalto alla Corte penale La Carta delle Nazioni unite era apparsa nel 1945 come struttura embrionale di diritto mondiale. Per quanto di natura contrattuale, aveva una vocazione universale, che è stata confermata dall'adesione in massa degli stati. Il testo stesso afferma il suo valore fondante, in quanto gli obblighi derivanti dalla Carta prevalgono su qualunque altro accordo internazionale (articolo 103). Purtroppo, autoescludendosi dal rispetto della Carta, il Consiglio di sicurezza ha spezzato questo movimento verso un ordine pubblico mondiale sotto l'egida dell'Onu.
Lo mostrano le manovre che hanno portato al voto della risoluzione 1441 dell'8 novembre scorso sull'Iraq. E nessuna interpretazione di tale risoluzione potrà trasformare la guerra annunciata in un'esperienza di sicurezza collettiva nel rispetto della legge. Perché la Carta non lascia alcuna possibilità di aprire furtivamente agli stati il diritto di fare la guerra. La sicurezza collettiva è responsabilità totale e completa del Consiglio, dall'inizio alla fine di un'operazione militare autorizzata. «I piani per l'impiego delle forze armate sono stabiliti dal Consiglio di sicurezza con l'aiuto del Comitato di stato maggiore» (articolo 46).
Così, la guerra annunciata degli Stati uniti contro l'Iraq non sarà legalizzata ricorrendo alla scappatoia di una risoluzione con una pesante allusione di compromesso sul testo. Non sarà altro se non l'ennesima manifestazione dell'ordine imperiale. L'idea di un ordine pubblico mondiale è perdente anche sul piano della impunità penale, e lo spirito di compromesso è stato una vera e propria cancrena per quanto riguarda le possibilità di fare giustizia. La trattativa sul testo fondante della giustizia penale internazionale ha incrinato gravemente lo status della Corte penale internazionale (Cpi), e alcuni stati non aderenti si adoperano ancora per limitarlo ulteriormente.
Fra questi, gli Stati uniti sono particolarmente accaniti nell'ottenere, tramite l'accordo del massimo numero di stati, la certezza che i loro cittadini godranno dell'impunità in qualsiasi circostanza. Si snaturano così il diritto penale, che è essenzialmente «di ordine pubblico», e la sua applicazione inderogabile. Infine, l'assenza di un ordine pubblico che stabilisca una gerarchia fra le norme applicabili alle relazioni transnazionali è infinitamente dannosa per i popoli nella sfera dei diritti umani. Benché ci si accordi a riconoscere un valore superiore all'affermazione di tali diritti, i meccanismi giuridici sono così sommari che al momento sono fin troppo rare le possibilità di far annullare le decisioni che siano direttamente o più indirettamente portatrici della loro violazione. Il liberalismo sostenuto dalla Organizzazione mondiale del commercio (Wto) amplia a tutta velocità il suo campo di applicazione.
Nulla consente di risolvere in maniera adeguata le contraddizioni esistenti tra norma commerciale e diritti umani che essa distrugge.
I discorsi generici o lo sdegno a botta calda non servono assolutamente a nulla.
Dobbiamo dar corpo ad una norma fondamentale, quella dell'interesse pubblico universale, ed esigere che costituisca in ogni circostanza la norma di controllo dell'uso della forza e dei limiti del mercato.
Ma due condizioni sono indispensabili: la prima consiste in una elaborazione teorica sul concetto di interesse pubblico universale, che deve essere al centro del progetto di democrazia mondiale, e l'utilizzo di tale concetto non deve essere confiscato da un organo non democratico quale è il Consiglio di sicurezza. La seconda riguarda il rafforzamento del giudice internazionale a cui deve essere possibile sottoporre tutti i casi in cui si sospetti che le potenze superarmate sfruttino la loro posizione a danno della tutela delle popolazioni, o in cui si sospetti che i meccanismi di mercato abbiano causato una violazione dei diritti fondamentali. Il che vuol dire che, da una parte, dovremo sottoporre il Consiglio di sicurezza ad una forte sorveglianza democratica, in attesa della sua riforma ormai indispensabile e, dall'altra, dovremo esigere che la competenza dei tribunali internazionali, civili o penali, diventi obbligatoria. Sarebbero queste le espressioni iniziali di un ordine pubblico internazionale in grado di costituire un argine di fronte all'ordine imperiale.

Monique Chemillier-Gendreau
Professore all'università Parigi VII-Denis Diderot.


note:

(1) Vedi Jacques Ghestin, «L'utile et le juste dans le droit des contrats», Archives de Philosophie du Droit , Tome XXVI, 1981, pagine 35 e seguenti.

(2) Vedi «Quand les banques font payer un service gratuit», Le Monde, 17 agosto 2002.

(3) Vedi alla voce «Ordine pubblico internazionale» nel Dictionnaire de Droit International Public, a cura di Jean Salmon, Bruylant, Bruxelles, 2001.
(Traduzione di R. I.) aa qq Media arruolati
Ignacio Ramonet

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