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Minority report e la guerra preventiva
Repubblica - 04-02-2003
Solo qualche mese fa...
...Intervista con Spielberg e Cruise


ROMA - Una coincidenza che lui, Steven Spielberg, definisce "ironica": alla vigilia di un probabile attacco "preventivo" contro l'Iraq, arriva nelle nostre sale un film che è un atto d'accusa contro l'estensione indiscriminata della prevenzione del crimine. Tratto da un racconto di Philip K. Dick, diretto dal regista americano, Minority Report immagina infatti i guasti di un futuro (anno 2054) in cui i responsabili potenziali di delitti vengono catturati prima ancora di commetterli. Il tutto in uno scenario stile Grande fratello: "Nutro un forte pessimismo verso le macchine, anzi, ne ho proprio paura - confessa l'autore, oggi a Roma insieme al protagonista Tom Cruise - temo un mondo in cui le tecnologie sappiano di noi più di quanto noi sappiamo di loro".

Insomma, uno Spielberg lontano dalla sua vecchia immagine buonista, che rivendica la svolta "seria" della sua carriera (malgrado l'imminente ritorno al passato per Indiana Jones 4) e che, anche se con molti distinguo, si dice favorevole a un attacco contro Saddam. Ecco come lui e Cruise parlano ai cronisti del film, da venerdì in 400 sale con distribuzione 20th Century Fox.


Come giudica la sorprendente, inaspettata attualità di Minority report?

Spielberg: "E' vero, è una situazione piena di coincidenze, di somiglianze. Anche se il film era stato messo in cantiere prima dell'11 settembre: noi certo non avevamo precog (i veggenti che nella storia prevedono i delitti futuri, ndr) per immaginare quello che ci è accaduto! Ma alcuni dei temi, come la perdita volontaria della privacy per aiutare Cia, Fbi e Difesa a prevenire altri attacchi, sono gli stessi presenti nella trama. In altre parole: fino a dove può spingersi il concetto di prevenzione?".

Cosa pensa della politica del presidente Bush verso Saddam?

Spielberg: "Credo che quando l'America viene attaccata su larga scala, come a Pearl Harbor o al World Trade Center, è come se venisse attaccata una fetta dell'umanità, e non solo un singolo Paese. L'11 settembre è stato un segnale che dovevamo essere più attivi nel prevenire ciò che potrebbe ripetersi in qualsiasi città del mondo. Credo che a questo proposito la politica di Bush sia solida, ancorata alla realtà. Se le informazioni che lui ha sulle capacità di Saddam di procurarsi l'atomica in poco tempo sono giuste, allora penso che l'intervento sia giusto. Ma io ne so quanto voi, non ho le informazioni in possesso dell'intelligence".

Cruise: "Ovviamente nessuno di noi vuole la guerra, ma come già detto abbiamo troppe poche informazioni sulla situazione in Iraq per poter decidere o giudicare".




I linguaggi molteplici della dottrina della 'guerra preventiva'



L'altro tema forte del film riguarda le tecnologie...

Spielberg: "Come il mio amico Stanley Kubrick, anch'io ho paura che la tecnologia possa prendere il sopravvento sull'uomo. Anch'io, come lui, sono pessimista non nei confronti dell'umanità, ma nei confronti delle macchine. Una paura singolare, visto che sia io che Stanley abbiamo sempre lavorato con le macchine. Minority report dimostra che un giorno la tecnologia potrebbe conoscere noi meglio di quanto noi conosciamo lei. Inducendoci a comprare cose che non vogliamo, violando la nostra privacy, penetrando nei muri e nei soffitti delle nostre case. Da bambino guardavo la tv; ora mi sento guardato dalla tv".

Dopo A.I., ha sentito l'influenza di Kubrick anche in questa pellicola?

Spielberg: "No, la storia è molto diversa. Per A.I. ebbi l'esperienza più insolita della mia vita: collaborare con una persona, per giunta un mio eroe, che però era morto. Ma qualche influenza c'è comunque: ad esempio nella parte del film in cui il protagonista si sottopone alla chirurgia oculare, coi i suoi occhi che rotolano per terra... con Tom scherzavamo sul fatto che se ci fosse stato Stanley avrebbe detto che avevamo copiato da Arancia meccanica".

Altri debiti?

Spielberg: "In questo film ho sentito molto l'influenza di John Houston, e in particolare di L'isola di coralloz. Ma anche quella di Hitchicock, delle sue opere stile L'uomo che sapeva troppo. E ancora quella di Samuel Fuller. Ma soprattutto Houston".

Com'è stato interpretare il personaggio principale?

Cruise: "Era un ruolo già molto forte, vivido, nella sceneggiatura. Ho subito avvertito un forte legame emotivo con lui, e Steven mi ha accompagnato lungo questo percorso. Insomma, si tratta di un personaggio che ho sentito dentro di me in maniera viscerale. Quando scelgo un ruolo mi piace che sia diverso da quelli precedenti, voglio che mi faccia imparare qualcosa di nuovo. Su me stesso o sul cinema".

Come ci si sente a essere uno dei registi e produttori più potenti di Hollywood?

Spielberg: "Come regista, andando avanti con l'età, sono diventato più realista: mi interessa far vedere il mondo così com'è. E poi amo la storia: ho raccontato la seconda guerra mondiale in Salvate il soldato Ryan, l'Olocausto in Schindler's list, la schiavitù in Amistad. Ora sto lavorando a una sceneggiatura su Lincoln. Nella prima parte della mia carriera mi sentivo molto responsabile nei confronti del pubblico, ora invece sento che do più importanza alle mie sensazioni. Anche se tra poco, con Indiana Jones 4, tornerò un po' alle origini".

(25 settembre 2002)

CLAUDIA MORGOGLIONE
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