breve di cronaca
Anche Naomi Klein è un logo
Si vende (e aiuta a vendere) e a L’Espresso lo sanno. Basta leggere l'apertura di questo ultimo numero

Ho letto "Global Argentina” *, il primo articolo di Naomi Klein per L’Espresso, all’esordio con il glorioso settimanale di Via Po, con tanto di copertina strillata dal titolo “Global No! Inchiesta-denuncia di Naomi Klein l’autrice di No Logo: il mondo a rischio Argentina”.

Come specifica una nota, sotto la foto della scrittrice, Naomi Klein ha dedicato tre mesi di indagini sugli avvenimenti in Argentina.

Per andare dritto al punto, dico in tutta franchezza che era tempo (e denaro) da impiegare meglio (parafrasando l’attacco del libro di Paul Krugman, ”Meno tasse per tutti”).

E soprattutto certe sòle, o fregature per farsi capire fuori da Roma, andrebbero risparmiate ai lettori di questo settimanale.

Si vende (e aiuta a vendere) e a L’Espresso lo sanno. Basta leggere l'apertura di questo ultimo numero
Una storia dei mali del Paese? Una loro analisi? O la descrizione sul posto della realtà argentina? O tutti e tre insieme?

A me ha suscitato la forte impressione di un pezzo furbetto, frutto di collage vari (molti dati e notizie sono noti e ripetuti e ottenibili su internet con una rapida ricerca puntuale), che non dice nulla di quanto già detto.

Qualcosa da spacciare ovunque con un logo identificativo, in questo caso Naomi Klein, con il suo volto a tutta copertina e il suo libro best seller, con il fine di attrarre e vendere. Fine triste però, perché si arriva a tradurre in un “logo” anche Naomi Klein, volente o nolente. I sordi so’ sordi diceva Sordi.




Certo attaccare il pezzo accanto alla foto delle Madri di Piazza di Maggio, (visibilissime con il loro striscione dai colori caratteristici, dal fazzoletto bianco, loro simbolo presente sullo striscione, portato da TUTTE le donne in prima fila), descritta nella didascalia come “una manifestazione con lo slogan No al pagamento del debito esterno” non è il massimo.

Ma poi leggendo il pezzo vengono in mente una serie di domande.

Perché la banca di cui si parla spesso è e rimane sempre HSBC, ossia una oscura sigla? Perché non viene scritta per esteso (Hong Kong and Shangai Banking Corporation Limited, o HSBC), come impongono le regole del giornalismo? Inoltre farebbe scattare la curiosità per la radicata presenza, in un Paese al tracollo, di una banca tra le maggiori al mondo, con sede a Londra, creatrice dell’indice Hang Seng che misura la salute della Borsa di Hong Kong, fortissima nel movimento internazionale di capitali e nei servizi finanziari.

Perché Naomi Klein, che scrive e parla di no globalismo, non fa i nomi anche di altre banche e istituzioni che hanno partecipato e alimentato l’orgia argentina della finanza di carta? Nomi come gli italiani di Assicurazione Generali, Banca Commerciale Italiana, Banca Nazionale del Lavoro, gli spagnoli di BBVA (Banco Bilbao Vizcaya Argentaria), i francesi di Credit Agricole-IndoSuez e PariBas (Banque nazionale de Paris), gli americani di JP Morgan e di Chase Manhattan Bank, i tedeschi della Commerz Bank, gli olandesi della ABN Amro, gli inglesi della Barclays?

Perché la School of the Americas (scuola militare statunitense, che formò alla controinsurrezione e al terrorismo di stato tutte le elite militari dell’America Latina, dagli anni Quaranta in poi, dal Noriega di Panama al generale Alvarado del Perù ai generali argentini appunto) viene indicata con sede in uno Stato del sud degli Usa ( Fort Banning in Georgia, ndr.)? Quando dalla sua fondazione a metà anni Quaranta fino al 1984 era di stanza a Panama City, Stato di Panama, Canale di Panama?

E che dire delle politiche liberiste adottate in Argentina? Perché non fa i nomi dei suoi artefici? Lo sa che il ministro dell’Economia nella prima giunta militare dopo il golpe del 24 marzo 1976, tale José Alfredo Martínez de Hoz, preparò il piano economico contenuto nel “Processo di riorganizzazione nazionale”, il manifesto politico-programmatico dei generali? Che lo elaborò seguendo i dettami della Scuola di Chicago di cui era allievo?

Do you know the Chicago Boys, Mississ Klein?

Lo sa che Martinez de Hoz si servì della consulenza di un tale chiamato Domingo Cavallo?

Chi era Cavallo? Ma l’allora giovane laureato ad Harvard che sarebbe divenuto il ministro dell’economia del presidente Carlos Menem. E’ l’uomo che instaurò il cambio fisso peso-dollaro nel 1989, uno dei meccanismi che hanno portato alla svalutazione del peso del 40 per cento nel dicembre del 2001, svalutazione che lo ha trovato di nuovo in carica come ministro dell’economia. Naomi Klein sa qualcosa della sua esistenza?

E sa qualcosa del corralito, il blocco di tutti i prelievi dai conti correnti, dei suoi effetti nella vita reale del popolo argentino?

C’è una lista di quotidiani che ne hanno scritto lunga più di questo pezzo.

Sa che la Commissione di inchiesta sulla sua violazione ha scoperto il mese scorso una fuga di capitali calcolata in decine di miliardi di dollari?

Che la lista dei vip (politici, dirigenti dello Stato, liberi professionisti, editori, giornalisti, imprenditori, sportivi, divi e divette tv) non è stata pubblicata in Argentina se non da un settimanale a diffusione locale, mentre il quotidiano El Pais c’ha fatto su paginate di piombo?

Eppoi perché non dire i nomi dei generali delle giunte 1976-1983, almeno il primo triumvirato Videla-Massera-Agosti? Perché non ricordare (chi lo ha passato il pezzo?) che il 13 gennaio scorso è morto quell’ubriacone di Galtieri, il generale che volle la guerra delle Falckland/Malvinas e si fece fotografare con questo Papa prima di gestire il passaggio di potere (e non abdicazione, come si è scritto)? Perché non spendere due righe due sulle leggi di Punto final e Obedienza debida, che Menem volle per calmare il rumore di sciabole dei generali torturatori e assicurarsene l'appoggio economico e politico? Perché tacere i traffici loschi e i processi di Menem (provvigioni sulla vendita di armi e evasione fiscale)?

Perché spacciare come uno scoop le testimonianze di Pedro Troiani sui centri di detenzione e tortura nelle grandi fabbriche, come la Ford, gestiti da militari con la complicità dei dirigenti? Queste cose sono state dette e testimoniate, non solo da Troiani stesso, al processo nell’aula bunker di Rebibbia, Roma, Italia, nel luglio del 2000. Processo che grazie a queste testimonianze, ora giunto al terzo grado, ha visto confermate tutte le condanne per il sequestro, la tortura, la morte di otto cittadini italiani?

(ANCORA, chi lo ha passato questo pezzo?).

PS. Cara redazione, grazie per l'attenzione e la pazienza tetragona

Alessandro Aita



* In rete, da Buenos Aires, Global Argentina: un "lungo e approfondito racconto sugli errori del neoliberismo in America Latina".

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