A che serve la storia?
Anna Pizzuti - 01-02-2003

"In quei giorni, secondo le direttive superiori, essa vergava a grandi caratteri sulla lavagna, quale esercizio di scrittura per i suoi scolaretti di terza: 'Copiare tre volte sul quaderno di bella le seguenti parole del Duce: Levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma!"
(Elsa Morante, La storia)



Non siamo a questo e non si tratta di questo.
Ma l’immagine di quella maestra piccola e fragile, che trasmetteva una che entro poco tempo l’avrebbe schiacciata, rappresenta la contraddizione che potremmo ritrovarci a vivere e che abbiamo già vissuto tante volte.
Insegniamo storia di guerre e di violenze. Pensiamo, ci illudiamo, che sia come una forma di immunizzazione, un vaccino.
L’anno scorso la scuola iniziò pochi giorni dopo l’attentato alle torri gemelle.
Credo che ciascuno di noi, in quei giorni, si interrogò su come parlarne con i ragazzi.
Io scelsi modi diversi. In una classe le immagini, solo le immagini, come provocazione a tirare fuori paura, rabbia, pietà.
In un’altra, un pezzo di Claudio Magris che ricostriva tutte le ferite inferte e subite che avevano portato a quel gesto, che lo potevano spiegare.
Durante la lettura, una consapevolezza impotente, anzi due:

- quanta storia bisognava conoscere, per capire quelo che era accaduto; quanta storia bisognava aver insegnato, perché quello che era solo emozione diventasse conoscenza e spirito critico;

- quanti altri fatti tremendi, prima di quello: una catena dagli anelli di fuoco.

. La domanda famosa con la quale <Marc Bloch inizia il suo Apologia della storia. Che in una versione diversa ci pongono i nostri alunni, magari solo con l’espressione.
Insieme ad un’altra, quando vogliono farci piacere, magari: ma solo guerre, solo battaglie.


"Fra le disgrazie del tempo mettiamo già la confidenza fitta che abbiamo ripreso con la parola guerra. Pane quotidiano. Eravamo sconvolti non tanto tempo fa, quando vedevamo per la prima volta i filmati del 1914 su una domenica al Prater a Vienna o sul caffè di Parigi in cui durava la bella époque - mentre a Sarajevo un gruppetto di ragazzi ammazzava l'arciduca.
Tutti quei parigini andavano al caffè come se niente fosse, i viennesi cavalcavano al Prater normalmente, vivevano nel loro tempo qualunque: noi guardavamo i filmati e sapevamo che quel tempo era stato l'anteguerra.
Dunque era tutto assurdo, quei tavolini di caffè e le ragazze sulla grande ruota girevole. Un equivoco, una recita: ancora un fotogramma e sarebbero stati travolti. Successe ogni volta di nuovo, con tutte le guerre. Nelle grandi guerre l'Italia entrava in ritardo, ma cambiava poco. E' come se la gente sapesse di vivere in un dopoguerra, ma non sopportasse di pensarsi in un anteguerra.
E ora, con la guerra annunciata minuto per minuto, sia pure ad un tiro di missile di distanza?
Di nuovo, si fa come se niente fosse. Si va nei caffè, si corre nel parco, si sta in galera: tutto normale. Come d'estate sugli alberi le foglie.
Basta guardare le nostre giornate con la didascalia prossima: "Febbraio 2003: immagini della viglilia della guerra" e tutto sembrerà irreale e pazzesco.
Ma tutto, direte, sembra già pazzesco, senza bisogno di tenere sullo sfondo la guerra che arriva.
Sì, ma sono due generi di pazzia.
Riprendete il giornale di oggi e rileggetene tutti i titoli di seguito: pazzia.
Riprendetelo e leggetelo come un giornale dell'anteguerra: pazzia di pazzia.
(Adriano Sofri –Repubblica 31 gennao 2003)



Quanto del modo in cui la storia viene insegnata, battaglie e guerre, ha favorito questa confidenza?
Sarebbe possibile, allo stesso modo favorire, la confidenza con la pace?
Non stiamo parlando di percorsi e progetti, belli, utili, ma in qualche modo “recintati”.
Stiamo parlando di un modo di fare storia che sia storia della pace. Progetto di pace, non solo progetto di educazione alla pace.
Stando nel conflitto, sapendo cioè che guerre e violenza sono state e sono. E che la guerra e la violenza sono linguaggio familiare e noto, e non dissonante.
Esiste un libro di storia che ai paragrafi che spiegano e sintetizzano le ragioni delle guerre, contrapponga, per ciascuna guerra, le ragioni della pace?
Se la storia siamo noi, chiediamoci chi siamo noi che con la storia lavoriamo.
E se possiamo essere costruttori di pace.


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