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Contare o raccontare?
COMUNICATO STAMPA - INVITO
Contare o raccontare?
Nello Ajello e Luca Fraioli
dialogano con
Carlo Bernardini e Tullio De Mauro
autori del volume
Mercoledì 19 febbraio 2003 alle ore 18.00
Editori Laterza
Via di Villa Sacchetti 17 Roma
Descrivono meglio il mondo i numeri o le parole? Due maestri, un fisico e un linguista, si sfidano in un duello scherzoso
ma ricco di argomenti, pungente ma amichevole su un tema chiave di tutti i tempi.
Carissimo Tullio,
non posso dire che la razionalità sia patrimonio comune, ma nemmeno che sia eccezionale. Preferisco pensare che, come molte altre attitudini, sia frutto di educazione, e che magari l'educazione, in questo caso, sia più difficile che in altri. Una certa esperienza mi fa credere e riflettere sul fatto che i bambini hanno una forte disponibilità per tutto ciò che è «verificabilmente plausibile», fino a che non entrano nella macina della scuola che trasforma in farina il loro modo di pensare. Una volta un bambino di quattro anni mi disse che era sicuro che il Sole fosse più lontano delle nuvole perché «non aveva mai visto una nuvola dietro al Sole». Mi sembrò di avere incontrato il Galilei dei bambini. Poi però mi venne il doloroso pensiero che il numero di adulti in grado di formulare così una congettura induttiva è probabilmente assai esiguo. Chi e che cosa ha menomato il loro cervello? Non potrebbe essere che il gioco dei linguaggi, il «perbenismo del parlato», abbia in sé proprietà tossiche, in parte paralizzanti e in parte allucinogene? Non potrebbe essere che il pensiero normativo, essendo di così facile rappresentazione verbale, domini la didattica scolastica proprio perché è, a un tempo, rassicurante in quanto perentorio; con il risultato che accantona il problema dei significati come se fosse secondario? [...]
Una matematica francese ha simpaticamente dimostrato che lo studio dell'aritmetica elementare nelle scuole del suo paese porta a separare le regole del far di conto dal contesto in cui vengono usate. In un suo libro Stella Baruk, la matematica in questione, dice di aver proposto ad alcune centinaia di studenti elementari parigini il quesito:«Una nave trasporta 32 pecore e 18 montoni. Qual è l'età del capitano?». L'80% dei bambini, che aveva appena imparato a fare le somme, avrebbe risposto «50», senza esitazioni. Era semmai il 20% indeciso a provare qualche sconcerto: «il problema è stato dato dalla maestra e deve perciò avere un senso; ma quale?». Fui colpito da questo esperimento e proposi ad alcuni bravi maestri di ripeterlo in una scuola elementare italiana. Il campione fu più esiguo, la risposta fu «50» per il 100% dei bambini. Ce ne fu perfino uno, il più vispo, che, interrogato, disse che «aveva pensato che il capitano venisse da una famiglia di pastori in cui era consuetudine regalare una pecora o un montone a ogni compleanno»
[...]
Carissimo Carlo,
Carissimo Carlo,
ti invito al mare, al mare nei mari del Sud, con un tour operator (le agenzie turistiche condividono le tue opinioni, in parte anche le mie sull'inglese) di eccezione: Robert Stevenson. Ne abbrevio brutalmente il bellissimo dépliant.
Un bel mattino il missionario, prima del servizio divino, volle fare una nuotata nell'azzurro mare che circondava l'isola che si stava evangelizzando. Si tuffò in un tratto di mare che gli indigeni consideravano tabù, dominio della misteriosa dea dei morti. Nuotando il missionario pensava: poveretti, ancora non hanno letto i miei Libri, non lo sanno ancora bene che la dea dei morti non esiste, con le strane leggende che la circondano. Nuotava nell'immenso mare azzurro. Che, a un certo punto, cominciò a incresparsi, a muoversi in mulinello. «Mah» pensò il missionario, «in effetti gli indigeni mi avevano parlato di una cosa del genere. Sarà questo che ha dato origine alle loro leggende!». Il mulinello diventò sempre più ampio, più forte, un gorgo che impedì al missionario di continuare il nuoto e cominciò ad attrarlo verso il fondo. «Anche questo mi avevano raccontato. Ma della dea dei morti nei miei Libri non c'è parola e dunque il resto è leggenda». Le acque lo sommersero, fu tratto nel fondo più profondo, splendide fanciulle si avanzavano luminose nel buio delle acque e gli facevano cenni di invito. «Chissà come mai nei miei Libri di questo non si parla» pensava il missionario e prese a seguirle. Un palazzo meraviglioso, luminoso, apriva dinanzi a lui le sue sale, le fanciulle lo allettavano a seguirle. Le seguì, fino a una grande sala dove, su un trono magnifico, sedeva splendente, anche più seducente delle belle fanciulle, la dea dei morti. Le giunse vicino e la dea con un sorriso gli disse:«Ora berrai la kawa dei morti». Pensò il missionario: «Devo rivedere alcune mie idee. Qui vedo cose che nei miei Libri non ci sono». La dea gli porse la coppa, piena di un liquore di profumo inebriante. Il missionario ricordò che secondo gli indigeni bere quella kawa aveva conseguenze terrificanti. Ma il profumo era troppo intenso, troppo seducente la dea. Prese la coppa e l'accostò alle labbra per bere. Ma bruscamente si fermò. «Bevi» gli diceva dolcemente la dea, «Bevi» ripetevano le fanciulle intorno. «Vorrei», disse il missionario, «vorrei ma non posso farlo». Mi sono ricordato che al mio paese, là in Inghilterra, mi sono iscritto anni fa alla Lega Antialcolica per la Temperanza e ho preso l'impegno di non bere mai». Stava ancora parlando che il meraviglioso palazzo prese a tremare, dea e fanciulle assunsero fattezze orribili e cominciarono a svanire, un sommovimento violento sconvolse tutto, le acque invasero le sale, travolsero il missionario, lo sospinsero senza possibilità di scampo nel buio delle acque e, insieme, verso l'alto. E si ritrovò sulla superficie del mare, di nuovo tranquillo, immenso e azzurro. L'isola non era lontana. «Devo affrettarmi», pensava il missionario nuotando a grandi bracciate, «temo di tardare per il servizio divino». E pensava ancora: «Vedo. Forse nei miei Libri non c'è tutto, ma qualcosa di vero c'è sempre».
Editrice Laterza