La cartolina smarrita
Anna Pizzuti - 21-01-2003
“E’ accaduto, quindi potrà accadere di nuovo. Questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”
Primo Levi “I sommersi ed i salvati” p.164””


La cartolina smarrita l’aveva scritta Primo Levi. A me, in risposta ad una lettera dei miei alunni di una terza media.
Attribuisco la colpa dello smarrimento ai traslochi, ai mucchi di carte e di libri che sono stati spostati da una casa all’altra, ma questo non basta certo a giustificarmi.
Me ne sono fatta una colpa per anni, ma mai come ora mi dispiace. Perché quelle poche parole – era il 1986 o l’inizio dell’87 – in qualche modo anticipano e coincidono con una delle risposte che ci siamo dati interrogandoci sulla sua morte.
Che i ragazzi gli scrivessero lo avevo chiesto io.
Avevo letto la poesia “Se questo è un uomo”. Ed era accaduto qualcosa che non mi era mai accaduto, dopo quella lettura.
Ascoltati gli ultimi versi: O vi si sfaccia la casa/la malattia vi impedisca/ i vostri nati torcano il viso da voi, i ragazzi hanno cominciato a protestare, a ribellarsi.
“Perché ci tratta così? Cosa c’entriamo noi?”.
Era la prima volta che mi trovavo di fronte ad una reazione del genere.
E non potevo risolverla con ragionamenti che sarebbero suonati come una delle tante lezioni e prediche ed appelli che facciamo ai ragazzi e che, spesso, invece di unirici ci separano, anche quando sono sacrosanti.
Ho chiesto quindi se erano disposti a rivolgere quelle domande proprio all’autore della poesia.
Ed abbiamo scritto, chiedendo spiegazioni su quelle parole che i ragazzi individuavano come una sorta di “maledizione” e concludendo la lettera con una domanda: “Riscriverebbe quella poesia ancora oggi?”
Dopo qualche giorno è arrivata la cartolina.
Raffigurava Torino sotto la neve, di notte. Con la luce gialla dei fanali, ed ora, mentre sto scrivendo, per la prima volta mi chiedo se la scelta di quell’immagine, di quella luce, non nascondesse una qualche intenzione.
E la risposta di Levi era:
“ Ho parafrasato le maledizioni del profeta. E la poesia la riscriverei ancora oggi”
Ed io maledico me stessa, in questo momento, per non poterla mostrare, per dover fare appello alla memoria.
Ho ripensato a queste parole ogni volta che ho riletto quella poesia.
E mi sono decisa a raccontare questa storia nel momento in cui qualcuno si interroga sui rischi della retorica celebrativa.
Perché la reazione di quei ragazzi, giudicata freddamente, da insegnante, nella sua dissonanza, ha creato un contatto ed ha generato conoscenza.
E perché a Levi sono bastate poche parole – ma questo era una delle componenti della sua grandezza – per dirci della sua disperazione.



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