Excalibur e Benigni
Gianni Mereghetti - 11-01-2003
Excalibur ha reso giustizia dei tanti luoghi comuni diffusi dai mass media dopo la recitazione appassionata che Benigni ha fatto dell’ultimo canto del Paradiso e secondo i quali noi insegnanti dovremmo diventare tanti piccoli Benigni. Non vi è nulla di più sbagliato di questa spinta a trasformare la scuola in un palcoscenico teatrale o televisivo. Benigni è un attore e un regista, e svolge il suo lavoro in modo coinvolgente soprattutto oggi che sta parlando al cuore dell’uomo; io, che sono un povero e piccolo insegnante, guai se volessi farlo vestendo i panni dell’attore!
Dopo Benigni tutti chiedono a noi insegnanti di essere affascinanti a scuola; è una giusta richiesta, anche se la sfida di ogni mattina in classe è ancor più profonda in quanto va alla radice della domanda umana, quella dei suoi perchè! La strada però non è quella di diventare attori, bensì di avere sempre più coscienza che spiegare Dante o Kant o una formula matematica c’entra con la propria vita. E’ questo sprigionarsi dell’io che rende un’ora di lezione un’avventura affascinante!


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 Patrizia Mazzola    - 12-01-2003
Insegnanti e Benigni


Mi sono chiesta perché in seguito alla trasmissione di Benigni su Rai 1 ci sono stati commenti così ampi sulla stampa, su varie mailing list.... e infine anche in televisione.
Da insegnante mi sono ritrovata affascinata nel vedere un Benigni alle prese con l'esposizione degli ultimi versi della Divina Commedia. Ammirata, l'ho seguito con testo in mano e ho riassaporato quel canto.
Non si tratta secondo la mia opinione di essere o non essere attori a scuola, che la classe si trasformi in palcoscenico, qualcuno diceva anche che tenere i ragazzi per diverse ore incollati ai banchi in estasi non è per niente semplice e per giunta con il nostro stipendio... Ma queste sono solo bassezze, forse invidia perché in fondo tutti vorremmo davanti una classe rapita dal nostro fare scuola.
La lezione che a noi adulti ha dato Benigni, a noi insegnanti, è quella che dovremmo mettere un poco più di passione, di cuore nel nostro lavoro: educare, in fondo, è un lavoro che si fa con il cuore. Lezioni spente, trascinate, improvvisate, noiose; non si tratta di arte ma di crederci nel nostro lavoro, come chiunque dovrebbe "appassionarsi" del proprio lavoro: i nostri alunni ci leggono profondamente in quello che "non diciamo" e vogliono persone vere, preparate, che fanno del rapporto educativo un'esperienza fondamentale, anche per la loro vita. Si cresce insieme a scuola, ci si educa a vicenda.

 Anna Mocci    - 12-01-2003
Sono assolutamente d'accordo con Gianni Mereghetti. Noi insegnanti dovremmo sempre rendere piacevole l'apprendimento da parte degli alunni (bambini e ragazzi). Penso però che questo sia possibile solo se riteniamo piacevole il nostro lavoro, così da trasmettere la nostra passione anche a chi apprende con noi.

 Daniela Notarbartolo    - 12-01-2003
Sarei curiosa di sapere come i colleghi che leggono Fuoriregistro fanno esperienza personale di questo "avere fascino": i migliori insegnanti in effetti "affascinano", trasmettono amore per quello che insegnano. Gianni dice che non è mestiere di attore ma coinvolgimento dell'io: non ci vedrei contraddizione. Piuttosto: come descrivere questo coinvolgimento dell'io ? Il 13 novembre 1996, al tempo dell'apertura dele SSIS, si è tenuto a Roma un Forum, presieduto dall'allora Ministro della P.I. Tullio De Mauro, su "L'insegnante come lo/la vorrei", dove diceva:"Tra noi, ognuno avrà vissuto almeno una volta l'esperienza di una materia opaca, impenetrata e impenetrabile, dolorosa, che un giorno di colpo si è illuminata: una mano, una voce ci ha portato al suo interno", i partecipanti al dibattito riconoscevano che l'entusiasmo e la capacità di trasmetterlo, la passione per la propria materia, la capacità di rendere la scuola esperienza viva e coinvolgente, sono il carisma che fa l'insegnante ottimo (pubblicato in "Annali della Pubblica Istruzione" XLII (1996) n. 1-2, pp.7-44). Poi sommerso da tecnicismi vari il tema è sparito dai dibattiti. Lancio la sfida ai colleghi: come lo definireste nella vostra esperienza ? e può essere definito come una vera "competenza professionale" ? mi interessa vitalmente, e fuoriregistro potrebbe aprire un piccolo spazio di discussione più ampio di un "commento" ? Saluti a tutti Daniela Notarbartolo

 paola begnini    - 12-01-2003
Sono d'accordo con il collega Gianni.
Gli insegnanti devono rimanere insegnanti e se pur nel loro piccolo cercare di trasmettere che le lezioni valgono per se stesse e non solo per chi le propone (pur riconoscendo la grande forza che può avere un buon insegnante nel coinvolgere gli studenti). Una trasmissione come quella di Benigni può andar bene ma c'è il rischio che ora chi parla di Dante lo faccia più per la comicità dell'attore che per quanto ha sentito. Mi pare di aver letto che è aumentata la vendita della Divina Commedia ma c'è il rischio che rimanga in bella mostra nella libreria. E se a leggere le parti del Paradiso non fosse stato un attore comico? E se il successo è avvenuto per questo motivo, deve passare tutto attraverso la comicità? Credo che la scuola e con essa gli insegnanti debbano riappropriarsi del loro ruolo e un aiuto da parte dei mass-media non sarebbe male se avvenisse in questo senso e non solo verso quello dell'audience.

 Margherita Manfredi    - 12-01-2003
Sono d'accordo con Mereghetti! Le numerose, qualunquistiche affermazioni giornalistiche uscite sulla stampa come se Dante in classe fosse una barba tremenda e Benigni la soluzione dei problemi non fanno altro che convincermi sempre di più sul divario profondo che esiste fra la società e la scuola.
Scuola come luogo d'incontro fra generazioni diverse dove ogni giorno seppure fra difficoltà e frustrazioni molti insegnanti ancora validi e motivati, in mezzo a tanti altri qualunquisti (perché nelle altre professioni la percentuale non è la stessa?), tengono duro e portano avanti quella battaglia di stimolo al sapere e alla conoscenza basata su presupposti razionali che è da sempre l'unica via per stimolare ad apprendere e ad amare la cultura.

 Ilaria Ricciotti    - 12-01-2003
Sono pienamente d'accordo con Gianni quando sostiene che essere insegnante presuppone "un coinvolgimento del l'io". Nel mio piccolo ,tranne qualche momento di insofferenza interiore nel non sapermi relazionare con i miei alunni o di crisi professionale nel non saper far acquisire loro abilità educative e cognitive, ho cercato, proprio perchè amavo ciò che mi sono ritrovata a 22 anni a svolgere con passione l'insegnamento. E dato che l'insegnante ha di fronte a sè dei minori, per la maggior parte indifesi, è obbligatorio che egli possegga, quasi geneticamente certi requisiti fondamentali. Primo tra tutti deve amare, come dicevo , quegli esseri che gli vengono affidati dalle famiglie. Tutti, nessuno escluso. Deve essere per questo imparziale, autorevole ed anche se è difficile, empatico. Ascoltare, osservare, gratificare, far ragionare, riflettere, parlare,discutere, tirar fuori ciò che un alunno ha dentro di sè sono atteggiamenti obbligatori per colui che vuole essere chiamato insegnante. Inoltre egli non deve mai rapportarsi con i suoi alunni come il saccente di turno, l'onnipotente che sa tutto e di più, ma deve ammettere i suoi limiti quando sbaglia e chiedere anche scusa, se vuole che i suoi alunni facciano altrettanto nei suoi confronti.Deve inoltre saper scherzare anche con loro che non vogliono insegnanti coi musi linghi, verdi in viso o rabbiosi. L'insegnante deve proporsi così com'è e chiedere aiuto ai suoi alunni affinchè superi i suoi limiti.Egli inoltre non può escludere di avere rapporti di collaborazione con i genitori. Chi agisce nelle scuole così, parte già con il piede sbagliato.E' , infatti, importante sia per gli uni che per gli altri confrontarsi e chiarirsi in nome dei ragazzi.Conoscere la propria disciplina è fondamentale così come saperla trasmettere usando linguaggi diversi a seconda dell'alunno che si ha di fronte.
Avrei tante altre cose da raccontarvi, ma non vorrei per oggi annoiare nessuno.
Ci sarà comunque una prossima puntata in merito ad un tema che ritengo stimolante ed impegnativo, molto impegnativo. Noi insegnanti non abbiamo a che fare con pezzi di legno, ma con esseri umani a cui potremmo anche far del male , involontariamente, per tutta la vita.

Saluti, Ilaria

 Cyrano    - 12-01-2003
Istintivamente da genitore rispondo a chi si schiera in opposizione alla reazione favorevole alla straordinaria interpretazione di Benigni. Da amante dell'arte voglio puntualizzare attentamente l'istrionismo innato dell'attore che ha così magistralmente recitato Dante, contestualmente però devo sottolineare l'amore che facilmente è stato intuito dai telespettatori, proveniente non solo dalla bravura e padronanza della materia, ma dal DNA dell'uomo Benigni senza del quale la perfomance non sarebbe stata tale. Il successo quindio non nasce solo nasce dall'attore e dalla sua bravura ma dal sentimento dell'uomo attore. Non è difficile incontrare per le strade del mondo (almeno cosi è capitato a me) contadini che proprio la Divina commedia recitavano con la stessa passione quando al tramonto seduti sui gradini della loro abitazione ripetevano a noi ragazzini i divini versi. Questo per dire che per essere bravi non basta conoscere ma è nescessario l'amore per qualcosa sentire e provare sentimento per ciò che si vuole, questo vale per tutte le cose per tutti i mestieri. Il professionista che non ha passione per la sua materia non sarà mai un buon professionista. E allora il fatto che dei docenti non vogliano capire che non basta conoscere la materia da insegnare ma occorre essere appassionati e comunicativi, avere ad ogni lezione la bacchetta magica e intuire quello che potrà fare appassionare quegli studenti per quella lezione. Quello che affermo non è utopia, è esperienza, ho avuto professori che avevano fantasia ed erano capaci di farsi capire da tutta la classe non da qualche studente. E forse la colpa della situazione scolastica Italiana intesa come risultato finale della formazione di un individuo va ricercata proprio nella carenza di buoni professionisti.