Racconto Le menzogne della scuola/colloquio per un comando al ministero dell'Istruzione
Francesco Di Lorenzo - 18-08-2019


Il candidato non appena si siede di fronte alla commissione, si accorge subito di aver sbagliato luogo. Vorrebbe scappare ma non può. Sembrerebbe troppo strano. Allora inizia a giocare. Il tavolo rettangolare è lunghissimo: due donne ai lati, un uomo e una signora vestita di nero di fronte a lui.

Quella di destra è una donna 'discuola' (nel senso di 'persa' nella scuola) che avevo già notato mentre, incollata al cellulare, camminava nel corridoio. È lei che inizia col farmi una domanda. Proprio lei, mannaggia! Premette che la domanda non è sua, che questa domanda la fa generalmente la signora in nero, per iniziare. Ma intanto, non si sa perchè, le è venuta voglia di farla lei. Penso per rispetto gerarchico. Infatti, mi spiega che la signora in nero, che è la riuscitissima imitazione della signora Moratti, ex ministro dell'istruzione, è il capo di tutto l'ambaradan.
La domanda è di una stupidità eccezionale: 'Per quale motivo avrei deciso di presentarmi lì, proprio lì'. Deludo subito tutti: accentuando il volevo ( per far capire che già mi è passata la voglia), dico che volevo fare un'esperienza. Le due signore in questione si guardano a dir poco schifate.
Poi inizia una commedia abbastanza ridicola. Sempre la donna 'discuola' parla della riforma della secondaria che andrà a regime da settembre. Io la fermo dicendo che il Tar ha posto qualche problema al suo avvio. Cadono dalle nuvole. Scuotono la testa: dicono che non è vero. Mi chiedono da dove diavolo abbia preso questa notizia. Dico che leggo i giornali. Loro non ne sanno niente. Interviene l'unico maschio. È un preside dall'aria intelligente ma annoiata. Dice che questa notizia è falsa. Che è uscita su un unico giornale e il ministero ha già risposto. Sono solo stati richiesti dei chiarimenti e non è un blocco. Io dico, sarà? Le altre non lo sanno. È evidente che non leggono i giornali, specie di opposizione ( verrebbe da chiedersi, ma a che?). (Una volta a casa, controllo sulla rete. Siti di riviste specializzate e blog sono pieni della notizia. Booh, ma cos'è, la commissione non frequenta neanche la rete?).
Sollecitato da una domanda inizio il racconto di come mi sia trovato coinvolto, negli anni novanta, in un progetto contro la dispersione scolastica. Non so perchè, ad un certo punto la signora in nero si spazientisce. Mi dice che loro conoscono bene i fatti del ministero. Spalleggiata dalla donna 'discuola', mi chiede di passare a cose concrete, a come mi organizzavo io in quel contesto. Mi sembra di sentire il ritornello del preside nel film La scuola di Lucchetti: 'Prof, qui non si fa poesia'. Io volevo arrivarci attraverso il racconto, ma capisco che non è il momento.
Poi arriva la domanda clou. La fa la signora in nero, il capo. Mi chiede, se io avessi a disposizione 60mila euro e dovessi far partire un aggiornamento in tutta la regione per l'avvio dell'anno scolastico, cosa farei?

Sbaglierò, ma a me sembra una domanda così inutile che mi verrebbe voglia di andarmene subito. Poi si fa strada in me l'impressione che avessero uno schema di risposte precostituite. Mi spiego. Alle loro sollecitazioni non vogliono sentire altro. Vogliono, come le mamme e le maestre di una volta, la parolina esatta. Semmai avrebbero anche voglia di suggerirti la letterina iniziale. (Qui, per esempio, ho capito in ritardo, avrebbero voluto che io dicessi che in così poco tempo e con così pochi soldi, l'unico modo per raggiungere la maggioranza degli insegnanti, sarebbe l'aggiornamento online, attraverso la rete, un social-network, l'e-learning, insomma).
È come se ci fosse una linea invisibile, che per comodità chiameremo di potere. O stai da una parte o dall'altra. Se la oltrepassi, stai dalla loro parte. E questo al di là delle risposte. Io, per loro, sto su un altro pianeta, 'Tatooin', probabilmente.
Ad un certo punto ho la grande e opportuna capacità di pensare ad altro, di estraniarmi completamente. Con grande disappunto della donna 'discuola', che percepisce qualcosa ma non tutto. Infatti, mi pone una domanda, che non ricordo assolutamente, ma è collegata alla riforma delle superiori. Lei vuole che io ripeta esattamente quale parola è stata usata nel testo della legge. Io cerco di ragionare. Lei dice di aver capito, ma che sono troppo generico. Vuole che dica quella frase, le parole precise. Al che io, che ormai sono distante anni luce, perso dietro i miei pensieri, rispondo brusco: 'guardi la frase che lei vuole non la so, se pure l'ho letta non la ricordo'. E mi giro dall'altra parte. Guardo la signora in nero, il capo. È sbalordita. Apre gli occhi, li ingrandisce, per evidenziare il suo disappunto.
Ad una certo punto sento le domande della donna 'discuola', ma neanche più mi giro a guardarla. Ho fame e voglia di andarmene. Poi faccio la mia bella figura. Pronuncio, mentre parlo di materie e di superamento delle discipline, la parola interculturalità invece che interdisciplinarità. Apriti cielo. Nonostante ripeta più volte che mi sono confuso, la donna 'discuola' continua a dire che sono cose molto distanti. E che fanno capo ad ambiti diversi. Invece di contraddirla, la ringrazio per la precisazione.
Gli ultimi minuti li trascorro parlando in forma molto colloquiale con il preside. Non mi ricordo neanche bene cosa ci siamo detti. Tutti e due, si capisce, abbiamo voglia di smettere quella sceneggiata e magari mangiare qualcosa, vista l'ora tarda. O bere, per il caldo. Magari, bevendo e mangiando, il preside, penso che potrebbe dire qualcosa, sfogarsi con le colleghe della commissione. Me lo vedo che sbotta e come un fiume in piena, dice: ma com'è che facciamo queste domande così idiote? Com'è che li vogliamo subito e solo tecnici e mai pensanti, con una qualche opinione? Perché non chiediamo invece di come spendere sessantamila euro, quale concezione hanno della scuola? Che cosa rappresenta oggi per loro l'istituzione scuola? In che contesto sociale stiamo vivendo? Quali aspettative possiamo tutti insieme dare ai ragazzi di oggi che frequentano? In che modo darle? Com'è che non siamo mai riusciti a fare una riforma condivisa? Perché tutte le norme importanti che riguardano la scuola, devono essere inserite in leggi che con la scuola non c'entrano niente? Che danno o che beneficio hanno prodotto i cinquant'anni di monopolio cattolico-democristiano nella scuola? Da che storia scolastica veniamo? Perché la valutazione del sistema scolastico italiano è così difficile da fare e da definire? Quale fiducia si ha ancora, in generale, nell'istituzione scuola? Oltre ad interessi, orticelli e potere, cosa abbiamo seminato nella scuola italiana? Quale significato ha la parola autonomia scolastica?

Naturalmente tutto ciò non è avvenuto. Ho solo sognato ad occhi aperti. Invece, civilmente, ci siamo stretti la mano. Per ultimo l'ho stretta al preside e l'ho guardato. E mi è venuto un dubbio. Vuoi vedere che è uguale agli altri?

(Questo racconto inventato è uscito su Fuoriregistro, il giorno 15/7/2010)



Tags: ripetitività della scuola


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