Minori, lo si è sempre fino a diciotto anni
Gianfranco Scialpi - 04-11-2017

Qualche giorno fa sul sito del Miur è stata riportata la dichiarazione del Ministro. "Le scelte e le decisioni dei presidi, in materia di tutela dell'incolumità delle studentesse e degli studenti minori di 14 anni, sono conformi al quadro normativo attuale, come interpretato ed applicato dalla giurisprudenza. È una questione di assunzione di responsabilità nell'attuazione di norme che regolano la vita nel nostro Paese, pensate per la tutela più efficace delle nostre e dei nostri giovani. Le leggi e le pronunce giurisprudenziali, come quella recentemente resa dalla Corte di Cassazione, vanno rispettate - spiega la Ministra - e se si vuole innovare l'ordinamento su questo tema occorre farlo in Parlamento, introducendo una norma di legge che, a certe condizioni, dia alle famiglie la possibilità di firmare liberatorie che sollevino da ogni responsabilità giuridica, anche penale, dirigenti e personale scolastico al termine dell'orario di lezione"
La lunga dichiarazione è seguita dall'illustrazione del quadro giurisprudenziale che ripercorre a grandi linee il pensiero della Massima Corte sulla "Culpa in vigilando".
Condivido quasi tutto.
Non mi trovo d'accordo nell'interpretazione che individua nei quattordici anni lo spartiacque tra una condizione assoluta di minore ed un'altra meno stringente. Si legge" Le disposizioni si attuano in genere a tutti i minori, anche se, già a partire dai 14 anni, si considera che il minore abbia maturato una certa capacità di intendere e di volere intesa come sua idoneità alla autodeterminazione, nella consapevolezza dell'incidenza del proprio operare sul mondo esterno."
La riflessione fa rientrare dalla finestra, quello che aveva fatto uscire dalla porta. In altri termini, assolutizza una condizione di minorità attenuata, dimenticando che questa è demandata all'interpretazione del giudice (art. 98 del Codice Penale).
Nel febbraio del 2012 la Cassazione si pronunciò su un caso di una sedicenne . Brevemente il fatto. Una ragazza dopo aver fumato uno spinello con i suoi compagni in gita scolastica, scavalcava il parapetto di un balcone di un albergo, per fare una passeggiata notturna sulla terrazza scarsamente illuminata. La studentessa cadeva dalla terrazza, perdendo totalmente la sua motricità.
Tutta la sentenza tratta la sedicenne come una minorenne ( "incapace di intendere e volere"), ricordando all'Istituzione scolastica e all'albergatore i loro obblighi. Nella sentenza si evidenzia, infatti, più volte che la responsabilità del docente e dell'albergatore risiede nel nesso causale tra l'evento tragico e le condizioni ( facile superamento del balcone, inadeguata illuinazione...) " perché il rischio che, lasciati in balia di se stessi, i minori possano compiere atti incontrollati e potenzialmente autolesivi..." ( Sentenza 1769/2012 pag.9) anche se prossimi alla maggiore età.
Nessuno può assicurare che un giudice non possa trasferire questa condizione di "incapace di intendere e volere" anche in altre situazioni dove il sedicenne-diciasettenne è "lasciato in balia di se stesso". Tutto è affidato all'interpretazione del giudice, il quale deve valutare la condotta del minore e il grado di imprevedibilità dell'evento. Quest'ultimo rimanda a tutta una serie di accorgimenti e soluzioni, afferente alla figura del docente che riducano la prevedibilità del fatto. Quindi...
Sono un docente e quindi ragionando con criteri pedagogici, non comprendo le ragioni dei giudici. Essi hanno altri criteri: il codice e le sentenze pregresse che sicuramente non favoriscono l'autonomia dei nostri ragazzi. "Dura lex, sed lex".


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