Lettera dall'America
Cinzia Padovani - 29-09-2001
Il Colorado, dove vivo con mio figlio, e` lontano quattro ore di aereo da New York. Nonostante questo comunque, quando le notizie dell’attacco terrorista sono arrivate (la mattina dell’11 settembre alle 7:30 circa), ho avuto paura. Alle 8:30 ho accompagnato mio figlio a scuola, e, in macchina, ascoltavo atterrita la cronaca degli avvenimenti. Ho lasciato Leonardo a scuola e sono salita in macchina. La radio nazionale (National Public Radio, NPR) annunciava la chiusura di tutti gli uffici federali in tutto il paese, il congelamento di tutti i voli aerei, e la chiusura delle scuole in alcune zone “a rischio”. In California, per esempio (dove gli aerei dirottati erano diretti), tutti i distretti scolastici sono stati chiusi, mentre a New York i bambini venivano fatti evacuare. Da noi in Colorado il super intendent (una sorta di Provveditore agli studi), non ordinava la chiusura delle scuole, ma teneva tutto il distretto sotto costante monitoraggio e in collegamento continuo con il provveditorato. Intanto, tutte le attivita` e riunioni previste per il pomeriggio dell’11 venivano cancellate. Dopo aver guidato per un po’ sono andata a parlare con la direttrice e la vice direttrice della scuola di Leonardo. Avevo paura. Le porte d’ingresso alla classe di mio figlio danno sul cortile e non c’e` alcun controllo. Un pazzo esaltato chiunque, mi dicevo, potrebbe entrare nella classe. La direttrice comunque mi ha rincuorato, assicurandomi che la scuola ha piani di azione in caso di necessita`. Ho lasciato Leonardo a scuola tutto il giorno, fino alle 3 del pomeriggio, ma sono rimasta appiccicata alla radio per sapere se il provveditore dava ordine di sgombero degli edifici scolastici. Quando sono andata a riprendere il bambino, le insegnanti ci spiegavano che avevano parlato di cio` che stava accadendo con gli alumni, e che, anche se bisognava rispondere con sincerita` alle loro domande, era consigliabile non sovraesporli alle immagini della televisione. Infatti le immagini apocalittiche delle torri che cadevano sotto l’urto degli aerei dirottati venivano proposte in continuazione su tutti i canali televisivi. Era impossibile guardare un programma normale o ascoltare qualcosa di diverso. Tanto e` forte l’impatto dei media sui bambini, e schizofrenico il risultato emotivo che provocano, che Leonardo, ad un certo punto mi ha chiesto: mamma, e` vero che gli aerei dei cattivi hanno abbatutto l’ufficio dove lavori tu?

La situazione e` tornata subito alla normalita` gia` dal giorno successivo. Di tanto in tanto un bambino arriva a scuola sventolando una bandierina americana tra le mani, o portandola bene in vista nello zaino. Ma insomma, a parte queste manifestazioni di patriottismo (probabilmente indotte dai genitori), tutto va avanti come prima.

Diverse sono le condizionin per i bambini di origine araba e/o i cui genitori sono mussulmani. Durante la prima settimana, molte scuole (private) mussulmane sono rimaste chiuse per paura di rappresaglie, una paura giustificata dai molti episodi di violenza che si sono verificati ai danni di cittadini americani (o immigrati) di origine araba o mussulmani. Alla radio nazionale (NPR), una signora araba-americana, che vive a Washington DC con il marito e il figlio di 5 anni, si disperava perche` non si sentiva tranquilla di mandare il figlio alla scuola (pubblica, in questo caso). Non tanto per paura che qualcuno avesse potuto far del male fisico al bambino, piuttosto per la paura che il figlio potesse essere sottoposto a discriminazioni piu` sottili vista l’atmosfera di caccia alle streghe che si respirava in quei giorni. Un’ altra signora che telefonava dalla California esprimeva la stessa paura: sia lei che le figlie non avevano messo piede fuori di casa dall’11 settembre: non se la sentivano neanche di andare al super mercato. La signora in questione era una americana convertita all’islamismo e indossava la hijab. Con angoscia si chiedeva quando avrebbe potuto portare di nuovo le figlie a scuola.

Alla luce degli eventi di violenza e intolleranza contro le comunita` mussulmane e arabe, credo che l’educazione alla tolleranza e l’educazione all’analisi critica degli eventi rappresentino dei compiti di importanza primaria per la scuola americana. Un noto filosofo ed educatore giapponese, Daisaku Ikeda, osservatore attento della vita culturale e politica americana, cosi` reagiva alle notizie di violenza contro i mussulmani e gli arabi. Diceva: “l’ignoranza e` una cosa pericolosa. Senza la conoscenza dei fatti gli stereotipi assumono una vita loro, e proliferano senza controllo. L’unica soluzione valida all’intolleranza e al razzismo [continuava il dott. Ikeda] e` l’educazione. Non c’e` alternativa: bisogna educare i giovani ai valori umani fondamentali se vogliamo creare una base solida e duratura per il futuro...Cio` che bisogna creare e` un nuovo cammino [in cui] la dignita` della vita sia un valore centrale. Un futuro che sia basato sui valori dell’educazione umanistica” (World Tribune, 28 Settembre 2001). Un monito da non poco per una nazione la cui filosofia educativa predilige spesso un approccio tecnico e utilitaristico all’istruzione e riconosce con difficolta` i valori fondanti dell’educazione umanistica..

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