Ma a chi lo dici?
Francesco di Lorenzo - 28-05-2016
Il presidente del Consiglio ha confessato che sulla riforma della scuola, dopo lo sciopero del 5 maggio del 2015 (quando aderì il 90% del personale), ci fu un momento in cui non sapeva se continuare o bloccare tutto. Le proteste erano tante, ha detto durante un'intervista a Repubblica TV, e la certezza di portare avanti la riforma cominciò a venir meno. Poi, però, ha concluso che, con la posizione rigida di governo e maggioranza, sono riusciti a tener duro e hanno vinto. Peccato solo che abbia perso la scuola.
Riflessione: lo sciopero serve o no? È un'arma spuntata, come da più parti si sente dire, o è ancora praticabile? E se è praticabile, qual è la percentuale di scioperanti che si deve raggiungere per mettere in difficoltà chi ci governa? (Per la cronaca, il 9% dell'adesione all'ultimo sciopero del 20 maggio 2016, non vale nulla. Infatti, appena dopo, sono passati i previsti decreti di attuazione della Legge 107).
È evidente, in tutta la vicenda, che qualcosa non va e che qualcuno forse sta barando. Può darsi sia il Presidente del Consiglio (ma poteva dirlo anche solo per farsi bello e inorgoglirsi ancora un po'). Oppure, che siano i sindacati (la maggior parte), che ormai timbrano il cartellino della protesta, a parole, ma in fondo non ci credono più. Questa ipotesi è plausibile. Intanto c'è la gran massa del personale scolastico, docenti e Ata, che vive in balia delle onde ed è in evidente stato di confusione. Spesso alcuni di loro propongono soluzioni individuali e inservibili, e tutto viene poi triturato e digerito. Intanto la riforma di Renzi si assesta e la scuola vera si allontana.
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Accade a Palermo, già da qualche anno. Tre per la precisione. Si tratta di una manifestazione dal titolo "I classici in strada" e che coinvolge tutte le scuole della città, l'Università e anche il carcere dell'Ucciardone. Gli studenti sono stati impegnati in cinque mesi di laboratori, per lo più teatrali, e alla fine hanno prodotto quattro spettacoli. Uno, ispirato alle favole di Esopo, sarà interpretato dai detenuti del carcere dell'Ucciardone. La manifestazione ideata dalla prof. Isabella Tondo del liceo scientifico B.Croce, iniziò nel 2014 ed ebbe come titolo 'Omero a Ballaró . Da allora sta riscuotendo sempre più attenzione, è cresciuta e si è arricchita di altre collaborazioni. Sono tutti coinvolti, dalla realizzazione delle scene ai costumi, agli attori che raccontano i testi classici alla gente dei quartieri più disagiati, creando un miscuglio di sensazioni e di animazione con scambi di ruolo, dove spesso gli spettatori diventano essi stessi attori.
Forza dei classici che non perdono mai la loro attualità, non passano mai di moda, semmai servono, come in questo caso a liberare energie positive, facendo diventare luoghi di cultura piazzette utilizzate per traffici illeciti o discariche abusive. Ecco come un' idea semplice può contribuire a cambiare le cose. O almeno tentare.
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Napoli, città creativa per eccellenza, ostacola i propri talenti sprecando il suo potenziale. È quanto sostiene il professor Francesco Izzo che insegna alla seconda Università di Napoli. Egli sostiene che la creatività nasce e si sviluppa dove c'è possibilità di condivisione e di relazioni. Il contatto e l'incontro sono fondamentali. Insomma, l'atmosfera creativa che si respira in alcuni luoghi è fondamentale per le attività che realizzano prodotti ad alto valore simbolico. Napoli, che ha ricevuto in dono la ricchezza invisibile di una cultura millenaria, dice il professor Izzo, non riesce a tradurre completamente in impresa questa sua grande qualità. Ed elenca tutta una serie di espressioni creative che vanno dalla musica, al teatro, alla letteratura, al cinema, all' alta moda, alla cucina, all'artigianato che sono patrimonio della città di Napoli ma che si riconoscono di più e meglio girando il mondo. In pratica, da fuori si apprezza più adeguatamente il valore della cultura partenopea e si nota anche lo spreco, perché tale creatività non si traduce in impresa e lavoro. A parte poche eccezioni.
L'industria culturale si è sviluppata di più in città che avevano meno risorse di partenza, ma le hanno saputo utilizzate al meglio. Il caos creativo e il genio, che non mancano a Napoli da sempre, non si sono però mai espressi ad un livello stabile. La condizioni ambientali sfavorevoli e la mancanza di 'politiche pubbliche a sostegno dell'imprenditorialità culturale' sono le cause di tutto questo. Per il professor Izzo sia la politica nazionale che quella regionale dovrebbero assecondare quelli che egli chiama gli 'ecosistemi di innovazione', sapendo che ogni euro investito 'nel fertile terreno delle cultura' porterà in prospettiva occupazione e benessere diffuso.
Sì, va bene. Ma a chi lo vai a dire?

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