L'Apocalisse vista da Federico Repetto, rifugiato tra le tartarughe delle Galapagos
Federico Repetto - 29-09-2001
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

TOTALITARISMO MODERNO E TERRORISMO INTEGRALISTICO


Trinidad de Galapagos, 3° scoglio a Nord Ovest,
a 10 metri sotto il livello del mare

Senza data

Cari androidi, ominidi ed umani non ancora dimissionari,

Tempo fa (www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=156) avevo cominciato a
raccontarvi la mia buffa storia di rifugiato eco-politico presso un'altra
specie animale, le tartarughe delle Galapagos, ma, dopo qualche rinvio
dovuto agli inconvenienti tecnici al mio computer oceanico, avevo sospeso
del tutto la narrazione in seguito ad alcune immagini che mi sono giunte da
New York attraverso la mia antenna satellitare. Queste immagini, devo dire,
mi hanno confermato nella mia scelta, e non mi meraviglierei se qualcuno di
voi l'avesse fatta a sua volta nel frattempo (una mia amica vuole optare
per la specie "felix cattus". Vedremo…). Ma naturalmente non posso non
provare una certa solidarietà per la mia vecchia specie d'origine, benché
sia senza dubbio una delle più aggressive e, soprattutto, una delle meno
sagge del mondo tutto, animale e vegetale.
Quanto all'aggressività, mio padre, nemico della caccia, naturista ed
ecologista ante litteram (credo già alla fine degli anni trenta) diceva che
l'uomo è l'unica specie i cui membri si uccidono sistematicamente tra di
loro. Si sbagliava. Ci sono certamente diverse specie in cui i maschi
divorano sistematicamente i loro piccoli, quando le femmine non fanno in
tempo a proteggerli, e anche altre in cui ci si uccide tra adulti. Certo è
però che nessuna specie è riuscita a creare al suo interno qualcosa di
simile alla guerra. E nessuna specie ha avuto una dose massiccia quanto
quella dell'uomo di intelligenza tecnica totalmente disgiunta dalla
saggezza esistenziale, per cui i mezzi bellici umani sono già da qualche
decennio in grado di ripulire la terra da ogni traccia di vita (questa
buffa muffa verdastra che distingue il nostro pianeta dagli altri).
Il vecchio Tucidide, che fu costretto a dare le dimissioni, se non dalla
specie umana, dalla città di Atene, sintetizza all'inizio della sua
narrazione della guerra del Peloponneso la storia precedente. Nella sua
prosa essenziale e tagliente come la lama di un rasoio, egli mette in
rilievo una fondamentale differenza tra i greci dei tempi di Omero e quelli
dei tempi suoi: gli eserciti, le armi e le navi da guerra dei secondi erano
incomparabilmente più potenti di quelle dei primi. Tucidide aveva ben
compreso un aspetto fondamentale dello sviluppo umano che i nostri filosofi
della storia (ma anche gli opinionisti dei nostri media) lasciano sullo sfondo…

L’11 settembre
Ma veniamo al disastro dell'11 settembre e alle sue conseguenze.
Tra le molte analisi della nuova situazione storica che si è venuta a
creare che ho trovato scorrendo ansiosamente i giornali, fatte da
sociologi, politologi, polemologi, politici, opinionisti e venditori di
fumo, mi ha colpito quella di Alessandro Baricco, uomo di tutt'altro
mestiere, uscita sulla Repubblica del 14 settembre ("Quando il conflitto
non ha più confini"). Baricco osserva che da sempre la guerra è
caratterizzata da uno scontro al fronte, da uno sfondamento dei confini del
nemico e da un'invasione del suo territorio. Si potrebbe aggiungere che
anche il conflitto tra animali, e in particolare tra diversi predatori, ha
a che vedere con territori e confini. In questo caso, invece, dice Baricco,
il nemico è dentro. Dato che il mondo attuale è globalizzato (un solo
mercato, un solo impero, un solo sistema mediale) il nemico non può che
essere dentro di esso (nel mondo naturale ciò corrisponderebbe al conflitto
tra un organismo e i suoi stessi parassiti e virus).
L'autore aggiunge molto opportunamente che non solo Bin Laden è dentro il
sistema globale, ma che ne è anche un attore a pieno titolo. In effetti, il
finanziere saudita ha fatto affari con gli investitori occidentali, così
come molti investitori occidentali hanno fatto affari con lui; il leader
integralista islamico ha aiutato i servizi segreti occidentali contro gli
afgani filosovietici, così come i servizi occidentali e sauditi prima lo
hanno aiutato e poi hanno continuato ad avere contatti con lui anche dopo
la fine del conflitto afgano (su tutto ciò, è molto interessante il dossier
biografico su Bin Laden pubblicato da Le Monde il 14 settembre).
Ma se è vero che l'organizzazione terroristica islamica è dentro ai nostri
confini e dentro ai nostri meccanismi economici e strategici, un'analogia
nasce spontanea: questo terrorismo è qualcosa di analogo al fenomeno del
totalitarismo, il prodotto patologico della civiltà occidentale. Secondo
l'interpretazione di Hannah Arendt, di Karl Polanyi e di molti altri
ancora, il totalitarismo non nasce semplicemente sul terreno ideologico.
Nasce piuttosto da un trauma per l'accelerazione impressa alla storia dalla
modernizzazione capitalistica e burocratico-statale. L'individuo del mondo
tradizionale perde gradualmente i contatti con le sue comunità d'origine
(villaggio, parrocchia, famiglia estesa, comunità di quartiere, comunità di
mestiere, ecc.) e diventa mobile e libero di spostarsi grazie allo sviluppo
economico e sociale, e poi mobile e libero dal (cioè privo del) lavoro
grazie alle grandi crisi (prima guerra mondiale, crisi del 29). Egli è un
atomo in balia delle tempeste magnetiche dei grandi sommovimenti economici
e politici. Il suo bisogno di comunità e di sicurezza lo spinge ad
abboccare alle offerte pseudomunitarie del totalitarismo. Il quale però,
sotto sembianze comunitarie e tradizionaliste, promuove un'ulteriore
modernizzazione (che è comunque imposta dalla competizione con le altre
potenze).

Totalitarismo e liberismo
Il totalitarismo è dunque una risposta anch'essa patologica ad una malattia
già in atto, malattia che Polanyi fa risalire al programma liberista di
affidare al mercato autoregolato tre beni sociali che in
precedenza erano stati sempre sottoposti alla tutela paternalistica dello
Stato e dei poteri tradizionali, e cioè il lavoro, la terra e il credito.
In sostanza, nella sua genesi il totalitarismo nazista non è un fenomeno
tedesco ma, pur con diverse responsabilità, un fenomeno dell'occidente, che
nasce dalla sua cultura, dalla sua economia e dalla sua politica.
Certamente la filosofia della storia e il fanatismo politico leninista e
stalinista sono ideologie che provengono dal cuore stesso della civiltà
europea. Esse, come dice la Arendt, sono un'espressione estrema del
progetto titanico della modernità, quello di creare l'Uomo Nuovo, il
paradiso in terra. Tuttavia questo stesso progetto, in una forma politica
diversa e attraverso una diversa filosofia della storia, si trova anche nel
liberismo sfrenato alla Herbert Spencer, analizzato da Polanyi: togliendo ogni vincolo al
mercato autoregolato, esso ci dovrebbe portare ad uno sviluppo
all'infinito. Ma un'accelerazione eccessiva delle particelle subatomiche
del processo di modernizzazione può portare alla fusione. Il totalitarismo,
per dirlo con una metafora pesante, è la Cernobyl del reattore atomico del
titanismo capitalistico moderno.
Certo, questa analisi sembra andare un po’ troppo oltre il caso di Ben
Laden e dei suoi terroristi suicidi. E' vero che il processo di
globalizzazione ha inglobato e sconvolto in profondità il vicino e il medio
oriente, ma sembra altresì vero che l'integralismo islamico, la guerra
santa e il fanatismo degli eroi suicidi siano elementi culturali del tutto
estranei alla nostra civiltà, che si trovano dentro la globalizzazione in
senso geografico, ma che appartengono qualitativamente ad un altro mondo.

Integralismo e globalizzazione
Ma forse si tratta solo di una differenza di grado. Anche i tirolesi con i
pantaloni di cuoio e il cappello alpino con la piuma, gli abitanti di
Danzica discendenti dai cavalieri teutonici e i cosacchi del Don si
sentivano come un corpo estraneo dentro la modernizzazione europea. Per non
parlare dei nostri vicini di casa serbi e albanesi.
E' la logica stessa della globalizzazione che ci spinge ad inglobare e a
tentare di assimilare tutto, fatte salve le conseguenze disastrose per
l'organismo (o almeno per una parte di esso, che, spesso, finora siamo
riusciti ad asportare chirurgicamente o ad isolare in qualche modo).
La differenza di grado è che le possibilità di intervenire chirurgicamente
o di isolare con lacci emostatici, in questo caso, sono ben poche. Ma credo
che per capire (che non equivale a giustificare) ci si debba chiedere prima
di tutto in che misura Ben Laden è - in qualche senso - uno di noi. Il
fatto è che noi stessi per primi subiamo gli shok della modernizzazione
accelerata (e della mobilità che l'accompagna). Sarà importantissimo
naturalmente capire le differenze, ma dobbiamo evitare il rischio di vedere
SOLO differenze, cosa che ci indurrebbe ad abbandonare il tentativo di capire.
La restaurazione della comunità mussulmana è veramente solo un progetto di
ritorno indietro, di islamismo puro? O forse è un peccato di titanismo
modernista contro il Corano? Questo naturalmente dobbiamo chiederlo agli
studiosi del Corano, ma, a quanto pare, diverse analisi del fondamentalismo
ne fanno un fenomeno nuovo, che non ha precedenti stretti nella storia
mussulmana.

Le radici del fanatismo
Detto questo sull'integralismo dentro la globalizzazione, voglio fare
ancora qualche osservazioni, da profano, sulle radici del fanatismo nella
nostra cultura, cioè nella tradizione ebraico - cristiana - islamica. Non
intendo con questo dire che essa sia più o meno violenta e fanatica di
altre. Tuttavia, adesso mi sembra il caso di mettere a fuoco alcune memorie
comuni alle nostre "religioni del libro".
Chi è nato nella religione cattolica controriformata, poi riveduta e corretta
dal cattolicesimo romantico e umanitario di Don Bosco e della associazione
San Vincenzo, difficilmente ha letto i libri di Giosuè, dei Giudici e di Samuele, che
invece erano probabilmente ben noti ai crociati, ai cavalieri teutonici, ai
protestanti del Far West e del Sud Africa, ai movimenti "cristiani tedeschi" prenazisti,
alla chiesa tedesca nazificata, e, molto prima, agli ebrei stessi (va da sé) e ai
primi mussulmani. Nel libro di Giosuè però sono raccontati fatti che, per
altri versi, ci suonano tristemente familiari…
Cito qualche passo sulla presa di possesso della terra promessa:
Giosuè, 6,21: "Impadronitisi della città [di Gerico] distrussero tutto ciò
che vi era: uomini e donne, fanciulli e vecchi, perfino i bovi, le pecore
gli asini: tutto passarono a fil di spada."
Giosuè, 8,2: "Quand'ebbero terminato di uccidere gli abitanti di Ai,
passandoli a fil di spada nella campagna e nel deserto, dove li avevano
assaliti, tutti gli israeliti si rivolsero alla città ed essa pure fu
passata a fil di spada. La somma delle vittime di Ai, fra uomini e donne,
fu quel giorno, di dodicimila persone."
In Giosuè, 9, viene raccontato che gli abitanti di Gabaon, sapendo che gli
ebrei avevano appena ucciso gli abitanti di Gerico e di Ai, lasciarono la
loro città, si finsero stranieri migranti come gli ebrei e si offrirono
loro come alleati subordinati ("noi siamo vostri servi, fate alleanza con
noi" - 9,11). Giosuè li accetta, ma va su tutte le furie quando scopre che
non venivano da lontano, bensì proprio dalla terra promessa. I poveretti si
difendono dicendo: "A noi, tuoi servi, è stato annunziato ciò che il
Signore ha detto a Mosè, suo servo: che vi si desse tutta questa regione e
che innanzi a voi fossero sterminati tutti gli abitanti. Perciò di fronte a
voi abbiamo avuto gran timore…" Giosuè, bontà sua, li salvò dalle mani
degli israeliti, che volevano ucciderli, e "li destinò a a spaccar legna e
ad attingere acqua per l'assemblea e per l'altare del signore.".
In Giosuè 10, sono sterminati gli abitanti dei cinque regni amorrei (nel
caso di Ebron, gli uomini ed "ogni essere vivente", 10,37, altrove, uccisi
gli uomini, vengono tagliati i garretti dei cavalli, 11.9).
Giosuè, 11,20: "Fu volere di Dio che esse [le città] si ostinassero a
combattere Israele, affinché questi potesse condannarle all'interdetto e
sterminarle senza usar pietà, come aveva comandato il Signore a Mosè."
Dopo lo sterminio, il Signore comanda al suo popolo di non mescolarsi in
matrimonio con i pochi superstiti:
"Perciò vi stia a cuore di amare il Signore, Dio vostro. Ma se voi vi
volgerete indietro da Lui per aderire alle poche genti che ancora restano
attorno a voi e contrarre matrimoni, frammischiarvi con loro, sappiate, fin
d'ora, che il signore, vostro Dio, non continuerà più a scacciare quelle
genti davanti a voi: esse diventeranno per voi un laccio, un inciampo, un
pungolo ai vostri fianchi e spine ai vostri occhi, fino a che voi non
sarete tutti sterminati da questa ottima terra che il signore, vostro Dio,
vi ha dato" (Giosuè, 23, 12-13).

Simone Weil
L'episodio di Samuele e di Agag, il re degli Amaleciti, l'ho scoperto
leggendo Simone Weil, che aveva abbandonato l'ebraismo e voleva convertirsi
al cattolicesimo, e che si rifiutò di farlo a meno che non gli fosse
fornita una qualunque giustificazione del passo biblico in questione.
Antefatto: il sacerdote Samuele riferisce al re Saul che il Signore degli
Eserciti gli ha detto: "Va e percuoti Amalec e metti all'interdetto tutto
ciò che è suo, senza remissione, uccidendo uomini e donne, fanciulli e
bambini, bovi e pecore, cammelli ed asini" (Samuele, 15,3). Saul esegue
tutto alla lettera, ma non uccide Agag, il re degli Amaleciti. Dio allora
si rivolge a Samuele dicendogli: "Mi pento di aver costituito re Saul,
perché egli si è allontanato da me e non ha eseguito i miei ordini."
Samuele riferisce ciò a Saul, che sarà perdonato solo quando, fatto
prigioniero Agag, lo ha "fatto a pezzi davanti al signore, in Galgal".
Un ultimo commento, per tirarvi su il morale. Simone Weil, prima di
diventare nonviolenta, simpatizzava per la rivoluzione proletaria (ma non
in versione staliniana) e, di famiglia ricchissima, lavorò per otto mesi
come operaia alla Renault. Ai tempi della sua crisi religiosa, non trovò
nessun prete che riuscisse a darle una spiegazione convincente del perché
il libro di Samuele debba essere considerato "parola di Dio" (se ne trovate
uno voi, mandatemi subito una e-mail) e così non si convertì. Riuscì
miracolosamente a scampare ai nazisti fuggendo con la famiglia negli U.S.A.
Tornò in Inghilterra per contribuire come volontaria all'organizzazione
"France Libre" di de Gaulle, e morì ancora molto giovane in sanatorio nel
1943. Tutto ciò potrebbe farci un po' ricredere sul genere umano…

Saluti umidi ma calorosi

Federico Repetto

* Per restare in tema:
Simone Weil, Sulla guerra, Pratiche, Milano 1999, pp. 164, lire 25.000
Eknath Easwaran, BADSHAH KHAN, IL GANDHI MUSULMANO, Sonda editore, Torino,
1990
Chaiwat Satha-Anand, ISLAM E NONVIOLENZA, Edizioni del Gruppo Abele,
Torino.
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Bompiani, 1978, tre volumi
tascabili
Karl Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche
della nostra epoca. Einaudi 1974
Ralf Dahrendorf, Sociologia della Germania contemporanea, Il saggiatore,
Milano, 1968
George Mosse, L'uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza, 1982
Youssef M. Choueiri, Il fondamentalismo islamico, Il Mulino, 1990

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