La nuova sentenza del tribunale civile di Torino è del 2 Febbraio: colpevole di diffamazione nei confronti di Livio Pepino, ex magistrato oggi presidente del Controsservatorio Valsusa, autore con Marco Revelli del libro "Non solo un treno... La democrazia alla prova della Valsusa". Nell'estate del 2012 Esposito, all'uscita del libro, si lasciò andare a quelle che oggi vengono riconosciute come dichiarazioni diffamanti, in maniera particolarmente odiosa, attraverso un attacco al figlio di Livio Pepino basato su affermazioni totalmente infondate. Esposito deve pagare € 17.500 euro, che si aggiungono agli altri oltre € 20.000 per analoga condanna subita il 26 Novembre 2015, di cui sono state rese note in questi giorni le motivazioni. Il conto delle sue parole in libertà sale...
Condanna n. 1/2016 (ma la sentenza era del 26 novembre 2015)
Stefano Esposito condannato a Torino per diffamazione nei confronti di Livio Pepino
I tentativi di ridurre al silenzio o, comunque, di delegittimare le voci che si esprimono contro la Nuova linea ferroviaria Torino-Lione sono stati e sono - come noto - continui. Se oggi ci torniamo su è solo per segnalare una piccola incrinatura al riguardo.
Nel giugno del 2012 esce il libro "Non solo un treno... La democrazia alla prova della Valsusa" di Livio Pepino e Marco Revelli che denuncia in modo esplicito la follia del progetto e la repressione di cui si avvale. Il fatto che Pepino sia un ex magistrato, tuttora considerato in qualche misura un rappresentante delle istituzioni, irrita in modo particolare la lobby del Tav e inizia così, sui giornali cittadini, una campagna di delegittimazione nei suoi confronti in cui si distingue, manco a dirlo, il parlamentare del Pd
Stefano Esposito che si spinge fino ad affermare (ovviamente senza fondamento alcuno) un presunto "arruolamento" del figlio di Pepino tra i guerriglieri del Kurdistan, al fine di apprendere tecniche di guerriglia da importare in Val Susa (sic!). Nel silenzio del Pd e di gran parte degli intellettuali torinesi (con poche significative eccezioni) Pepino cita Esposito davanti al Tribunale civile di Torino chiedendo che si accerti il carattere diffamatorio delle sue affermazioni con conseguente condanna al risarcimento dei danni.
Dopo oltre tre anni dai fatti il 2 febbraio scorso il Tribunale pronuncia una sentenza che più netta non potrebbe essere: Esposito ha consapevolmente diffamato Livio Pepino per «sminuire la credibilità e l'autorevolezza delle opinioni contrarie da lui ripetutamente e pubblicamente espresse sulla TAV». E lo ha fatto in maniera particolarmente odiosa, attraverso un attacco al figlio «con una logica che, lungi dal costituire leale confronto di posizioni diverse, evoca fantasmi di inquietante allusività caratteristica di avvertimenti trasversali tipici di situazioni ai limiti della legalità».
Altrettanto netta la conclusione: «La nota dell'on. Stefano Esposito si rivela lesiva dell'onore e della reputazione del dr. Livio Pepino, e quindi illecita e produttiva di danno alla sua immagine, anche perché contenente notizie che sono rimaste in questa sede del tutto prive di fondamento. Nessun elemento di prova è stato fornito in questa sede del fatto che Daniele Pepino si sia recato in Kurdistan "per migliorare alla scuola del PKK lo studio di tecniche di guerriglia e approfondire il concetto di guerra civile totale".
La totale assenza di prova in ordine alla veridicità delle gravi accuse che formano il nucleo di quanto affermato (invero con stupefacente disinvoltura) nelle dichiarazioni dell'Esposito riprese sull'articolo pubblicato da "Lo Spiffero", costituisce l'ultima, ma non meno importante, ragione per ritenere diffamatorio il contenuto della notizia».
Qualche volta esiste un giudice a Torino!
L'auspicio è che ciò contribuisca a ripristinare un minimo di etica e di verità nell'informazione sul Tav (e su quanto lo circonda).
Condanna n. 1/2016 (ma la sentenza era del 26 novembre 2015)
Il senatore Esposito è stato condannato perché "le critiche si devono basare su fatti veri"
Il giudice spiega le ragioni della multa da 600 euro inflitta al parlamentare del Pd per diffamazione nei confronti di 4 attivisti No Tav
Da La Stampa del 3 Febbraio 2016 - Cronaca di Torino
«La critica, anche politica, deve pur sempre fondarsi sull'attribuzione di fatti realmente accaduti, non essendo lecito criticare qualcuno attribuendogli una condotta che in verità non ha tenuto». È sulla base di questo principio che il giudice Paola Rigonat, del tribunale di Torino, lo scorso 26 novembre ha condannato il senatore Stefano Esposito (Pd) con l'accusa di avere diffamato quattro esponenti No Tav. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza.
I FATTI - Esposito, in un articolo sul suo blog, l'8 dicembre 2011, aveva indicato in alcuni attivisti (e di esponenti del centro sociale Askatasuna) «gli autoproclamati leader di questo movimento che hanno pianificato e diretto le azioni violente» della stessa giornata contro il cantiere di Chiomonte. Le quattro parti civili, però, non furono denunciate dalle forze dell'ordine per quell'episodio: la testimonianza di un funzionario della Digos, secondo cui almeno due delle persone citate da Esposito nell'articolo (una delle quali fu poi effettivamente indagata) avevano avuto «mansioni di coordinamento dei manifestanti», è stata giudicata «molto imprecisa». In ogni caso - afferma il giudice - «se le parti civili avessero avuto un ruolo organizzativo e di direzione degli scontri sarebbero stati senza dubbio deferiti all'autorità giudiziaria». La conclusione è che «il diritto di critica può essere invocato solo se fondato su fatti storicamente veri».
LA DIFESA - Il senatore - che al processo ha rinunciato all'immunità parlamentare - ha spiegato di essersi basato sulle informazioni che gli venivano fornite per telefono «in tempo reale» da persone di cui non ha voluto fare il nome.
Esposito è stato condannato a € 600 di multa. Inoltre dovrà risarcire due delle parti civili con € 5.000 ciascuna; ad altre due dovrà versare la stessa somma ma a titolo di provvisionale
Totale: € 600 + € 5.000 x 2 + € 5.000 x 2 = € 20.600).
Tribunale Torino, 4^ sezione civile, 2 febbraio 2016, Pepino c. Esposito
estratto
La presente controversia è stata radicata dal dott. Livio Pepino, il quale ha lamentato la lesione della propria immagine di cittadino, magistrato esponente di spicco dell'Associazione Magistratura Democratica, derivata dalla pubblicazione sul quotidiano on-line "lospiffero.com" in data 3.7.12 di un articolo dal titolo «Figlio di giudice si addestra col PKK" e nel quale l'autore, evidenziava che «l'erede ha momentaneamente abbandonato il campo di battaglia valsusino per le montagne del Kurdistan, dove ha raggiunto i guerriglieri del PKK».
Il contenuto del testo pubblicato eccede il legittimo esercizio del diritto di critica ‒ ed integra perciò condotta illecita ‒ non solo per difetto della prova circa la veridicità delle circostanze e caratteristiche ivi riferite sul figlio, ma ancor prima e soprattutto per difetto di quelle ulteriori condizioni di pertinenza e continenza richieste per la legittimità del contenuto della notizia - il viaggio di Pepino Daniele, accostato alle critiche rivolte dall'on. Esposito alle opinioni del dr. Livio Pepino ‒ e delle modalità di esercizio della critica stessa nei confronti di quest'ultimo.
Le connotazioni negative riferite alle convinzioni ed all'attività del figlio che corredano la notizia si palesano invero chiaramente strumentali a sminuire la credibilità e l'autorevolezza delle opinioni contrarie ripetutamente e pubblicamente espresse dal padre sulla TAV; e detto legame strumentale è ampiamente sufficiente a far ritenere sussistente in capo al dr. Pepino non solo la legittimazione attiva ma anche il suo interesse ad agire al fine di far accertare il contenuto diffamatorio dell'articolo nei propri confronti.
La Suprema Corte ha avuto modo ancora recentemente di ribadire come «in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca soggiace al limite della continenza, che comporta moderazione, misura, proporzione nelle modalità espressive, le quali non devono trascendere in attacchi personali diretti a colpire l'altrui dignità morale e professionale, con riferimento non solo al contenuto dell'articolo, ma all'intero contesto espressivo in cui l'articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito, nell'immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per sé, a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi» (così Cass. Sez. 3, n. 25739 del 05/12/2014). Tanto più ‒ si vuole qui evidenziare ‒ allorché le critiche si estrinsechino in attacchi per cosi dire trasversali, riguardino cioè non direttamente la figura del contraddittore preso di mira - il dr. Livio Pepino, al quale è indirizzato nell'articolo l'omaggio (non privo di una certo qual carattere di untuosità) di «alfiere della non violenza» ‒ bensì quella di un appartenente allo stretto suo nucleo famigliare, con il neppur troppo celato intento di colpire sul piano mediatico il primo. Con una logica che, lungi dal costituire leale confronto di posizioni diverse, evoca fantasmi di inquietante allusività caratteristica di avvertimenti trasversali tipici di situazioni ai limiti della legalità.
Quale interesse pubblico può ravvisarsi nell'accostamento tra la personalità e la figura di un ex magistrato di pubblica notorietà e che ha rivestito importanti ruoli in ambito locale e nazionale ‒ che ha ripetutamente e pubblicamente preso posizione avverso la realizzazione di un'opera pubblica, la costruzione dell'alta velocità in Valle di Susa, su cui si è così profondamente divisa l'opinione pubblica locale e nazionale - e le presunte vicende personali del di lui figlio? Con l'effetto, evidente e certamente prevedibile da parte dell'autore, di suscitare nel lettore la percezione di una sorta di alleanza familistica che accomuna il primo al figlio su un terreno latamente trasgressivo, e riconduce ad un unico filtro ‒ di pretesa illiceità ‒ le opinioni avverse di entrambi in ordine alla realizzazione della TAV.
La pubblicazione della nota ripresa dal sito dell'on. Stefano Esposito si rivela lesiva dell'onore e della reputazione del dr. Livio Pepino, e quindi illecita e produttiva di danno alla sua immagine, anche perché contenente notizie che sono rimaste in questa sede del tutto prive di fondamento. Nessun elemento di prova è stato fornito in questa sede del fatto che Daniele Pepino si sia recato in Kurdistan «per migliorare alla scuola del PKK lo studio di tecniche di guerriglia e approfondire il concetto di guerra civile totale». La totale assenza di prova in ordine alla veridicità delle gravi accuse che formano il nucleo di quanto affermato (invero con stupefacente disinvoltura) nelle dichiarazioni dell'Esposito riprese sull'articolo pubblicato on line da "Lo Spiffero", costituisce l'ultima, ma non meno importante, ragione per ritenere diffamatorio il contenuto della notizia ed addivenire per tale motivo a declaratoria di responsabilità dei convenuti per lesione dell'onore e dell'immagine del dr. Livio Pepino.
Per questi motivi
Il Tribunale di Torino,
condanna il convenuto on. Stefano Esposito al pagamento in favore dell'attore Livio dott. Pepino a titolo di risarcimento danni della somma di euro 15.000,00, oltre interessi legali da oggi al soddisfo, e della ulteriore somma di euro 2.500,00 ai sensi dell'art. 12 legge n. 47 del 1948.