breve di cronaca
Dietro la crisi della Fiat i tagli alle Università
Il Mattino - 16-12-2002

Esiste un nesso fra i due fatti più importanti della cronaca politica recente, la crisi della Fiat e le dimissioni in massa dei rettori delle università italiane? A saperlo vedere, non solo esiste, ma rappresenta anzi l'aspetto più significativo della fase attuale, la chiave di interpretazione più adeguata per comprendere cosa sta accadendo. Partiamo dalla situazione degli Atenei. E' sbagliato pensare che la clamorosa protesta del mondo accademico, mai come ora compatto nell'opporsi a un provvedimento legislativo, e mai come ora sostenuto anche dalla componente studentesca, dipenda soltanto dal taglio dei finanziamenti. La cieca e indiscriminata riduzione del budget riservato alle Università, attuata col solito stile di Tremonti, vale a dire diminuendo percentualmente e indiscriminatamente le somme disponibili, senza curarsi di accertare la sostenibilità effettiva dei tagli, non sarebbe di per sé una sciagura, o sarebbe almeno in parte sopportabile, se si verificasse in tempi «normali» nella vita degli Atenei. Viceversa, ciò che rende letteralmente inaccettabile la manovra è il fatto che essa intervenga proprio nella fase in cui l'Università sta affrontando la più profonda e strategica trasformazione da oltre sessant'anni a questa parte. Il processo di riforma che si è avviato due anni fa, e che è giunto ora al suo più compiuto dispiegamento, sta introducendo non modifiche marginali o circoscritte, ma un riassetto totale dell'istituzione universitaria, che viene ora chiamata a compiti del tutto nuovi e a una maggiore e più delicata assunzione di responsabilità.
Comunque lo si voglia valutare (e il giudizio non potrebbe che essere in chiaroscuro), il nuovo ordinamento entrato in vigore da un paio di anni rappresenta una discontinuità radicale rispetto al passato, obbligando tutti coloro che operano nel mondo accademico, studenti inclusi, a un impegno davvero straordinario e senza precedenti. Pretendere che questo processo, già di per sé tanto delicato e complesso, non solo venga attuato senza alcun incremento nella dotazione finanziaria, ma addirittura debba patire un taglio nelle risorse, non è soltanto demenziale, ma è veramente delittuoso. Equivale a decretare, nei fatti, lo smantellamento delle Università come luoghi di ricerca di avanguardia, come sedi nelle quali crescono contestualmente la formazione dei giovani e la produzione dell'innovazione. Equivale a stabilire che l'istruzione universitaria diventi soltanto un prolungamento dell'istruzione secondaria superiore, ispirata dagli stessi criteri minimalistici di una pura e semplice trasmissione di nozioni e conoscenze «mature», senza più alcuno spazio reale per la ricerca e l'innovazione. Equivale a dislocare altrove, in istituzioni private, i centri di eccellenza della didattica e della ricerca, lasciando che le Università statali si limitino a parcheggiare, per un triennio o per un quinquennio, masse sempre più consistenti di giovani (l'impennata delle immatricolazioni negli ultimi due anni è un dato impressionante), ai quali si somministra quell'autentica idiozia delle «tre I», come se l'inglese, l'informatica e l'impresa potessero essere il nuovo lievito della formazione e potessero mai offrire qualche credibile vantaggio per l'immissione nel mercato del lavoro.
Ciò che colpisce più negativamente nell'atteggiamento assunto dal governo su questo problema così importante per il futuro del Paese è l'arrogante disprezzo mostrato per la qualità dei processi formativi, la miserabile povertà dei presupposti culturali sui quali si regge la politica scolastica, il dilettantismo col quale viene affrontato un tema che richiederebbe, al contrario, grande senso dell'equilibrio e un intreccio di competenze che sono invece paurosamente assenti in ministri come Tremonti e Moratti.
Dopo essere riuscito nella difficilissima impresa di sbagliare tutti i calcoli e le previsioni di sua competenza, col suo perenne sorrisetto da padreterno dell'economia ora Tremonti sta conducendo al collasso quella che dovrebbe essere la punta avanzata del sistema formativo italiano.
Di fronte a tutto ciò, è possibile davvero meravigliarsi di quanto sta accadendo alla Fiat? Per riconoscimento unanime, fra i molti e diversi fattori di crisi dell'azienda torinese, uno dei più importanti, probabilmente quello decisivo, è quello che riguarda il crollo di competitività del marchio sul piano dell'innovazione, non solo per quanto riguarda il prodotto, ma anche e non secondariamente per quanto riguarda il processo.
Se è vero, come è vero, che la Fiat potrebbe essere solo la punta emergente dell'iceberg costituito dalla totalità del sistema industriale, come si può sperare di ovviare a questo deficit di creatività se vengono smantellate e poste in condizioni di non funzionare le sedi avanzate della ricerca? Da quale miracolosa generazione di gnomi inventivi potranno derivare le innovazioni necessarie alla competitività delle imprese italiane sul piano internazionale, se ci si limita a pensare che bastino le «tre I» per formare i quadri indispensabili per imprimere slancio e creatività allo sviluppo delle innovazioni? Da dove crede che possa venir fuori l'ineffabile Tremonti la nuova classe dirigente di cui ha bisogno questo Paese per stare almeno al passo degli altri, se si continua sadicamente a infierire sulle strutture deputate alla formazione? Si poteva pensare, fino a poco fa, che il governo guidato da Berlusconi avesse ormai toccato il fondo, con le ultime nefandezze sulla Rai o con la legge Cirami. Ci si sbagliava. Per la regola che al peggio non c'è fine, lo spettacolo offerto in questi giorni è perfino più indecente.


Umberto Curi
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