Niente auguri, solo una lezione da imparare
Giuseppe Aragno - 31-12-2015
Le classi subalterne sono stremate, è vero, ma la realtà dei fatti insegna sempre qualcosa e forse conosciamo da tempo la lezione, addirittura dal 1848: "non ci vuole una profonda perspicacia per comprendere che, cambiando le condizioni di vita degli uomini, i loro rapporti sociali e la loro esistenza sociale, cambiano anche i loro modi di vedere e le loro idee, in una parola, cambia anche la loro coscienza". In questo senso, la condizione in cui è ridotta la scuola non segna solo un grave arretramento della civiltà, ma rivela una drammatica svolta ideologica. Poiché in ogni momento storico le idee dominanti sono sempre e solo quelle dei ceti dominanti, la crisi di un'epoca della storia è automaticamente crisi dell'ideologia che giustifica il dominio. E' naturale, quindi, che nessuno, meno che mai gli esponenti del potere, creda più nei pilastri teorici del tempo che abbiamo vissuto e ci stiamo lasciando alle spalle.
Qui non si tratta di una data che cambia su un calendario. La libertà, l'eguaglianza e la fraternità, per cui si sono ripetutamente levate in armi generazioni di rivoluzionari borghesi, i principi e le norme fondanti dell'attuale "patto sociale", sono ormai gusci vuoti. Dopo più di due secoli, la maschera cala e una concezione "storica" del diritto e della società cessa d'un tratto di essere un'acquisizione eterna di civiltà; la crisi e la sua logica inesorabile mostrano brutalmente che l'idea borghese di democrazia, Montesquieu, la sua "divisione dei poteri" e l'insieme delle regole ad essa legate - il diritto borghese - sono il prodotto di rapporti storici, non leggi eterne, razionali e naturali.
In queste condizioni, mentre il potere si arrocca e il conflitto produce nuovi rapporti storici da trasformare in "principi universali", la battaglia che si combatte ovunque su questioni falsamente morali, come la difesa della famiglia e il modello di educazione, segna la trincea di prima linea di uno scontro mortale, che non è culturale. La difesa ideologica del modello borghese di famiglia è figlia del terrore prodotto dai cambiamenti in un momento di transizione e riassetto del potere. Sul terreno della formazione, in particolare, il tentativo di privatizzare o, peggio, di "statalizzare" nel senso peggiore della parola, mira a garantire la supremazia di un pensiero nuovo, non ancora ben definito, ma così feroce che, per diventare dominante, pretende il sacrificio di ogni possibile formazione della coscienza critica.
A chi non accetta di subire inerte tanta violenza, si rimprovera strumentalmente una concezione ideologica dell'educazione e - rovesciando la realtà - si imputa un'idea gramsciana di "egemonia culturale". Come in uno specchio deformante, l'eversione dall'alto, sempre più evidente, diventa sedizione dal basso. Eppure la sottomissione del sistema formativo al potere esecutivo è sotto gli occhi di tutti, così come la sua riduzione a strumento di controllo sociale. Ciò che si vuole è la cancellazione della scuola e dell'università come fucina di intelligenza critica e autonomia di giudizio. Tutto questo è terribile, ma la lezione è chiara e va capita: di fronte a una crisi che minaccia di essere strutturale, la scuola è terra di conquista per chi mira a ristabilire un'influenza ideologica sui ceti subalterni e a trasformare "i giovani in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro". La lotta per i diritti dei lavoratori è sacrosanta, ma dio salvi i popoli ai quali sottrai la capacità di riconoscerli e la memoria storica di quanto costarono in termini di lotte, repressione e sangue!
Che fare? Marx non avrebbe dubbi. Da secoli rivolge invano la sua domanda retorica al servi del potere: "non è che la vostra educazione determinata dai rapporti sociali entro ai quali voi educate", nasconde "l'intervento più o meno diretto della società per mezzo della scuola?". Mai come oggi è stato così chiaro: se non riusciremo a difendere la scuola, noi non addestreremo più nemmeno lavoratori: produrremo servi o, tutt'al più, bestiame votante. Non abbiamo scelta perciò: dobbiamo strappare l'educazione all'influenza della classe dominante. Costi quel che costi.

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