La pietà per Piazzale Loreto
Giuseppe Aragno - 24-04-2015
La foto di Mussolini e dei gerarchi esposti a Piazzale Loreto è indiscutibilmente tragica e non ci sono dubbi: qualcuno tra quelli che inveiscono e oltraggiano i cadaveri era stato fascista. Così va la vita e non c'è che fare. Da un po', tuttavia, i commenti delle anime pie, i giudizi moralistici, il dissenso e l'aperta condanna della violenza partigiana si sono moltiplicati. Non sarà male perciò ricordare che proprio lì, a Piazzale Loreto, alcuni mesi prima, il 10 agosto del 1944, quindici partigiani erano stati trucidati dai militi repubblichini che operavano con le SS e le famigerate forze di sicurezza naziste.
Pochi giorni prima, l'8 agosto, in viale Abruzzi, un autocarro tedesco era saltato in aria in seguito allo scoppio di due bombe.C'erano state vittime tra i passanti ma non era morto nessun tedesco. I partigiani, che in genere non si nascondevano dietro un dito, non si assunsero la responsabilità dell'attacco. A Milano i Gap erano guidati dal comunista Giovanni Pesce, combattente di Spagna, reduce dal confino politico a Ventotene e medaglia d'oro al valor militare. Uno dei più esperti e coraggiosi comandanti partigiani, particolarmente abile nella guerriglia urbana. Tutto lascia credere, perciò, che non aveva torto il Tribunale Militare di Torino allorché, nel 1999, processando in contumacia Theodor Saevecke, capo dei servizi di sicurezza tedeschi e della Gestapo, la Polizia Politica, ritenne l'attacco al camion un colpo premeditato dai nazisti, che miravano evidentemente a rendere i partigiani odiosi alla popolazione, per isolare la Resistenza. A cose fatte, Saevecke, che alla fine della guerra si trovò sulla coscienza quasi molte centinaia di ebrei deportati e numerosi partigiani morti sotto tortura, tirò in ballo il bando di Kesserling, benché non ci fossero stati tedeschi uccisi, e pretese la rappresaglia, con la fucilazione di quindici partigiani italiani prigionieri.
Non contento, dopo la strage, avvenuta il 14 agosto, il boia di Piazzale Loreto ordinò che i cadaveri, definiti "assassini" da un cartello tirato su per l'occasione, fossero lasciati sul posto senza essere ricomposti, atroce monito per la popolazione. Come i criminali tedeschi e fascisti avevano previsto, le vittime si decomposero rapidamente sotto il caldissimo sole estivo davanti agli occhi della città atterrita. Venti lunghe ore, tra nugoli d'insetti, un'insopportabile puzza e l'oltraggio feroce alla pietà e alla dignità umana. Venti ore, coi fascisti armati che vietarono a tutti, persino ai parenti, di portare un fiore o chinarsi a pregare.
Mussolini, che si limitò a una formale protesta con l'ambasciatore tedesco, di li a poco prese il posto delle sue vittime. Non ci sono giudizi morali da pronunciare. Dopo settant'anni, si possono solo ricordare i nomi onorati dei quindici partigiani, gridando con tutte le forze:
Ora e sempre, Resistenza!

Gian Antonio Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo del Riccio, Domenico Fiorani, Umberto Fogagnolo, Tullio Galimberti,Vittorio Gasparini, Angelo Poletti; Andrea Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo, Vitale Vertemati e i meridionali Andrea Esposito, Salvatore Principato ed Emidio Mastrodomenico.

Non sapevano di morire per la libertà di gente come Salvini.
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