breve di cronaca
Reddito minimo di inserimento
Redattore Sociale - 09-12-2002
Una ricerca dell'Ires Cgil su 39 Comuni che hanno iniziato il secondo biennio di sperimentazione .

Il reddito minimo d'inserimento non si tocca: "I risultati sono positivi ed è uno strumento vero per combattere la povertà e l’esclusione sociale". Lo ha dichiarato Achille Passoni, della Segreteria nazionale Cgil, nel corso dell’incontro “Finanziaria 2003, il taglio della vergogna”, contro la soppressione del Rmi, promosso stamani al Cinema Augustus dai Democratici di sinistra. Affermazioni basate sui risultati di una ricerca appena conclusa, condotta da Ires Cgil su 39 Comuni che hanno iniziato il secondo biennio di sperimentazione: se resta alto il numero di domande per ottenere il reddito minimo d'inserimento (34mila), nel 55% dei casi i Comuni - al di là del colore politico - danno giudizi positivi sull'esperienza. Le domande per il secondo biennio del Rmi sono circa 34mila nei 39 Comuni pionieri della sperimentazione; complessivamente sono 309 i Comuni impegnati. Due terzi degli enti locali interpellati (23 su 38, quello di Cutro non ha risposto al questionario) hanno dichiarato che il cambiamento si è concretizzato nella promozione del settore socio-assistenziale. È interessante notare che la distribuzione territoriale dei 23 Comuni che hanno rilevato questo ruolo positivo del Rmi vede una totale adesione del nord, una maggioranza del centro (8) e poco meno della metà di quelli meridionali. Tre Comuni su 4 affermano che non è cambiato il target delle famiglie destinatarie del Rmi, gran parte delle quali continuano a risiedere al sud, a essere composte da coppie con figli (6 su 10), mentre al centro-nord aumenta la presenza di single e famiglie monoparentali. Il bisogno di questa misura si fa sentire sui territori, quindi, dove aumentano anche i progetti di inserimento sociale (dalla scolarizzazione alla formazione professionale, fino alla riqualificazione degli adulti abili), per favorire un reinserimento nella società che consenta nuove opportunità di occupazione. Inoltre il Rmi ha prodotto anche modificazioni positive “nel modo di operare dei Comuni – ha notato Passoni -, incardinandosi nelle strutture: il reddito minimo ha consentito al settore dell’assistenza di misurarsi con quello del fabbisogno”, facendo registrare effetti positivi all’interno degli stessi enti locali. “Migliaia di uomini e donne hanno potuto usufruire di un’opportunità scelta, non di elemosina, per uscire dalla loro situazione di disagio”. “Nel patto per l’Italia – ha proseguito Passoni – c’è scritta la cancellazione del Rmi: chiediamo ai sindacati un’intesa unitaria che possa pesare nel dibattito in Senato sulla Finanziaria: si toglie il vincolo al Fondo sociale, ma il 10% viene dato alle giovani coppie sposate, mentre le stesse risorse basterebbero a rifinanziare il reddito minimo. Noi chiediamo che venga fatta questa scelta, ci sono delle priorità da rispettare”. Quindi secondo l’esponente della Cgil “il Governo sta sferrando un attacco fortissimo nei confronti dello stato sociale, in particolare verso la qualità dei servizi, perché si vuole aprire un’autostrada verso la privatizzazione. Così – ha concluso – salta l’uguaglianza dei diritti di cittadinanza: per chi non ha interviene lo Stato nella solita vecchia logica dell’assistenza compassionevole”.

Reddito minimo di inserimento

Il Reddito minimo di inserimento (RMI), introdotto in via sperimentale nel 1998 con funzioni di contrasto della povertà, fornisce un sostegno economico ai soggetti a rischio di marginalità sociale e impossibilitati a provvedere al mantenimento proprio e dei figli per cause psichiche, fisiche e sociali. Il RMI non consiste solamente in un assegno monetario ma prevede anche interventi di integrazione sociale finalizzati alla promozione delle capacità individuali e dell’autonomia economica degli individui. La sperimentazione, la cui conclusione era inizialmente prevista per il 31 dicembre 2000, riguarda 39 comuni: 6 nel Nord, 11 nel Centro e 22 nel Mezzogiorno.
L’assegno è destinato ai cittadini italiani, ai cittadini comunitari residenti da almeno 12 mesi in uno dei comuni ammessi alla sperimentazione e ai cittadini non comunitari residenti in uno dei comuni ammessi alla sperimentazione da almeno 3 anni. Per i soggetti in età lavorativa, non occupati e abili al lavoro è obbligatoria la disponibilità a frequentare corsi di formazione professionale e al lavoro. L’importo mensile del RMI per un nucleo familiare di un solo componente è pari alla differenza tra una soglia prefissata (520.000 lire nel 2000) e il reddito disponibile della famiglia.
Per il calcolo del RMI spettante a unità familiari di diversa numerosità si applica la scala di equivalenza dell’ISE. Nel caso dei redditi da lavoro, la prova dei mezzi prevede una franchigia del 25% al fine di attenuare eventuali effetti di trappola della povertà






Rmi, protestano i beneficiari: ''Battaglia senza colore politico perché riguarda la dignità delle persone''

Giunti da ogni parte della penisola con i pullman hanno partecipato alla manifestazione “Finanziaria 2003, il taglio della vergogna”. Giovani e anziani, intere famiglie con bambini, qualche disabile, molti uomini ma anche una cospicua presenza femminile. Una platea attenta e partecipe, giunta a Roma con bandiere e cartelli contro il federalismo e i tagli al Fondo per le politiche sociali.

Quella per il Rmi “è una battaglia senza colore politico, perché riguarda i diritti e la dignità delle persone, e vorremmo accanto a noi tutte le forze politiche, le più larghe alleanze”, ha affermato Livia Turco, responsabile delle politiche sociali per i Ds, ricordando che tutti i paesi europei prevedono una “misura di contrasto della povertà, per dare una mano per un periodo di tempo a chi non ce la fa: vogliamo conservare questa misura di integrazione del reddito”. Ma si tratta solo di un trampolino, perché il vero problema resta il diritto al lavoro: “Se non c’è occupazione, il Rmi si ritorce contro la persona, che non può essere relegata a vivere di assistenza”. Nel ’98 furono stanziati 700 miliardi delle vecchie lire per una sperimentazione in 39 Comuni, sia “per aiutarli a dare una mano a chi era in difficoltà, sia per imparare da questa esperienza che doveva diventare una legge nazionale”, ha evidenziato Turco, chiedendo a nome dei Ds uno “sforzo congiunto” a Camera e Senato, insieme a Regioni ed Enti locali, “per mantenere questa misura, anzi prolungarla: il Governo deve portare in Parlamento la valutazione sulla sperimentazione compiuta insieme ai Comuni, ma anche le Regioni sono chiamate a fare la loro parte”, ha specificato la deputata diessina, auspicando uno stanziamento di risorse per finanziare il Rmi e una legge che lo metta a regime. Invece la Finanziaria “penalizza e mette in croce proprio i servizi sociali: bisogna smettere di tagliare fondi a Regioni e Comuni. La politica deve battersi per garantire dignità e diritti delle persone”. Quindi i Ds hanno fatto una dura battaglia in Parlamento e presenteranno una proposta di legge per superare la fase di sperimentazione e arrivare alla messa a regime del Rmi.

Con la soppressione di questa misura “non si mette in discussione solo un sussidio, ma la vita quotidiana di migliaia di persone – ha commentato il segretario nazionale dei Ds, Piero Fassino -. La destra concepisce la società composta da individui soli, in cui chi è debole soccombe e ognuno deve far leva sulle proprie forze. Ma lo stato sociale non è la Conferenza di San Vincenzo: deve garantire i diritti”. Un no deciso, quindi, allo stato sociale concepito come “governo della marginalità: con questo Governo sono aumentati gli elementi di precarietà nella società, in cui crescono elementi di insicurezza per tutti”. Concorde anche Augusto Battaglia, capogruppo Ds in Commissione Affari Sociali, che intervenendo alla manifestazione ha dichiarato: “Il governo Berlusconi ha deliberatamente soppresso la sperimentazione del Rmi. Lo ha fatto tagliando 360 milioni di euro dal Fondo per le politiche sociali (passato dai 1.622 milioni di euro di un anno e mezzo fa ai 1.360 attuali, con un decremento del 20%), presentando e facendo approvare al Senato l’emendamento soppressivo della norma del decreto legge 236 che lo prorogava fino al 2004”. Così un rilevante numero di Comuni, in particolare del centro-sud, saranno messi “nella impossibilità di utilizzare questo importante strumento di contrasto alla povertà e di bloccare gli aiuti alle famiglie più disagiate ma soprattutto, ben 200mila persone rischiano di piombare da un giorno all’altro nella povertà e nella disperazione”. Contro questa “ulteriore tappa di smantellamento dello Stato sociale – ha proseguito - avremo già la prossima settimana due occasioni per inchiodare il governo alla proprie responsabilità: gli emendamenti in Finanziaria al Senato sull’incremento del Fondo sociale e il Decreto legge 236 alla Camera. Lì riproporremo al Governo la norma per la prosecuzione della sperimentazione fino al 2004”. Lamentando la “mancanza di un ministro per le politiche sociali, Battaglia ha concluso: “Maroni ci dovrà dire con chiarezza se intende ripristinare la norma o abbandonare al loro destino a se stesse migliaia di famiglie povere e disperate”.



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