Che senso ha oggi insegnare filosofia?
Stefano Ulliana - 14-03-2015
INTRODUZIONE

La domanda intorno al senso che può (o può non) avere oggi l'insegnamento della filosofia deve necessariamente essere collocata entro l'orizzonte di riferimento della pratica educativa e didattica dell'insegnamento della filosofia stessa, all'interno delle classi delle scuole superiori della Repubblica italiana. Prima della sua considerazione entro i piani di studio definiti dal cosiddetto Progetto Brocca e prima della sua sistemazione, nelle diverse situazioni istituzionali concrete - secondo quanto stabilito dai diversi Piani Educativi di Istituto, dalle relative programmazioni di classe in relazione agli obiettivi educativo-didattici trasversali, dalle eventuali programmazioni di Dipartimento (in questo caso dei diversi Dipartimenti di Filosofia e Storia) - e lasciando alla fine di questo percorso di tipo deduttivo le programmazioni effettivamente disciplinari - effettuate sulla base dell'analisi della situazione iniziale, della definizione delle finalità e degli obiettivi e della loro scansione all'interno dei percorsi didattici, della selezione dei contenuti, con la scelta dei metodi e degli strumenti, della determinazione delle modalità generali di verifica e di valutazione - l'orizzonte della pratica educativo-didattica della filosofia si è venuto concentrando necessariamente e progressivamente sul rapporto fra le caratteristiche degli allievi della classe in questione - modalità e stili di apprendimento, variabilità del grado di motivazione ed interesse alla disciplina, presenza in misura e grado diverso di abilità logico-linguistiche - e le indicazioni che a livello nazionale vogliono in qualche modo trasmettere delle note e delle caratteristiche prescrittive, per questa antica e specialissima forma umana di conoscenza. La concentrazione dell'attenzione istituzionale e docente - nello stesso tempo, appunto, necessaria e progressiva - sul rapporto fra le conoscenze, le abilità e le competenze sollecitate e richieste dalle decisioni istituzionali e gli apprendimenti, le facoltà operative e critiche dei soggetti educativi pretende infatti di dimostrare che, in un contesto politico democratico, l'azione educativa debba svolgersi - a maggior ragione per quanto riguarda la filosofia - non senza la partecipazione motivata ed interessata del discente, secondo quell'ordinamento finale che dovrebbe determinare l'autoelevazione, la complessificazione e l'emancipazione della personalità del soggetto educativo stesso. Se l'ordine finale dell'istituzione repubblicana e democratica italiana pretende di migliorare le potenzialità espressive e dialettiche dei propri futuri cittadini, a maggior e miglior futura condizione delle relazioni civili e sociali, proprio la filosofia, per il suo orizzonte nello stesso tempo immaginativo e razionale, con il proprio movimento progressivo e dialettico, non può non costituirsi come strumento principe per la realizzazione della personalità del discente e futuro cittadino.

LA FILOSOFIA

Se, infatti, l'insegnamento della filosofia è apertura consapevole alla ricerca, libera ed incondizionata, intorno al vero ed al reale, tutte le acquisizioni relative ai singoli autori ed alla loro relazione con il contesto e la tradizione storica non possono non rimanere potenzialmente e dinamicamente sempre riorientabili, in un rapporto dialettico continuo fra la proposta del singolo pensatore e gli orizzonti culturali prevalenti nella sua contingenza e nella trasmissione effettiva o potenziale delle versioni dominanti o di quelle apparentemente recessive e/o alternative. Per questo motivo non potranno non essere analizzati e sottoposti a giustificazione i riferimenti ed i presupposti (in senso lato ed ampio) teologico-religiosi e politici, senza dimenticare le connessioni con l'atteggiamento razionale nei confronti della natura e degli esseri in generale, per poter fare in modo che l'allievo possa riscoprire individualmente ed autonomamente i percorsi di riflessione già tracciati ed indicati dalla storia del pensiero umano a noi precedente. L'orizzonte ampio e completo della filosofia è infatti capace di attraversare e penetrare il senso, il significato e la finalità delle creazioni mentali ed operative umane, nella loro disposizione causale e nel loro sviluppo logico e storico-fattuale, tenendo ben in conto la fonte della loro espressività creativa e il loro interno movimento di determinazione, definizione e finalizzazione. Conservando l'orizzonte e la prospettiva creativa e doppiamente dialettica del movimento genetico del pensiero e dell'essere, nel rapporto naturale ed in quello intersoggettivo, lo studio e l'insegnamento della filosofia vede docente e discenti aperti nel medesimo sguardo, con la medesima intelligenza e con la stessa movenza etica, tesa alla giustificazione e responsabilizzazione della presenza umana su questo pianeta. Esito inevitabile della globalizzazione - a sua volta esito finale del processo storico della stessa civiltà ideologica occidentale - questa identità - l'antica identità di essere e pensiero parmenidea - ci richiede la messa in questione critica di tutti i raggiungimenti rappresentativi di volta in volta toccati e trasmessi dalla riflessione occidentale. In questo modo la motivazione e la conseguente partecipazione emotiva e razionale del discente si accompagna con la genesi del suo stesso spirito critico e con la riacquisizione da parte sua di quel medesimo orizzonte di libertà. È in questa operazione di autodeterminazione che la problematizzazione non deve solamente ripetere le modalità di risoluzione (argomentata e strategica) utilizzate dal singolo pensatore o dalla sua scuola di appartenenza, in una stanca ripetizione del senso e significato dei termini e dei concetti chiave desunti da una lettura superficiale dei testi e dei documenti diretti, persino peggiorata da un'apparente adesione ad un malinteso senso di storicizzazione, ma deve procedere oltre, alla riattualizzazione di quella medesima intelligenza e moralità, di fronte a situazioni problematiche contemporanee, che obbiettivamente sono l'esito finale delle soluzioni che sono diventate dominanti ed egemoni nella storia della trasmissione dei poteri occidentali (politici, economico-sociali, accademici ed ideologici).

LA FILOSOFIA, IL POTERE ED I GIOVANI

Quale esperienza giovanile, oggi, vuole, infatti, essere consapevolmente integrata alla tradizione culturale dell'Occidente? E, soprattutto, siamo sicuri che entro la definizione di "tradizione culturale" non si annidi - come sempre - la volontà ideologica di imporre una visione ed uno sguardo, che sono la visione e lo sguardo che il potere impone che siano considerati come la visione e lo sguardo di un comune ed acritico consenso ed azione? La filosofia, quando è stata vera e reale filosofia, non ha mai mediato al potere ed all'ideologia, ma ne ha sempre criticato il fondamento e l'essenza: prova ne è l'accusa rivolta contro tutti i Socrate che hanno molto malamente e sofferentemente abitato le contrade ed i luoghi del potere occidentale, di introdurre nuove divinità all'interno della città e di dare così origine ad una orribile e pericolosissima corruzione dei costumi (di pensiero ed azione) dei giovani e della futura classe dirigente cittadina, con la propria pervicace e diabolica volontà di elevazione, complessificazione ed emancipazione del soggetto (naturale e razionale). Siamo quindi sicuri che la volontà di realizzare la "continuità tra l'esperienza dei giovani e la tradizione culturale"[1] - naturalmente quella dell'Occidente (prima bianco e cristiano ed ora totalmente capitalista) - non sia proprio ciò che produce quella neutralizzazione e pacificazione degli intelletti e delle moralità, che crede - illudendosi - di scambiare la morte della filosofia come la sua più perfetta apoteosi? Nel mondo contemporaneo dell'immanenza assoluta una filosofia teologica del consenso e dell'uniformità all'azione collettiva rischia di accogliere le espressioni giovanili come dato bruto di una necessaria civilizzazione: il fardello e la sofferenza dell'uomo bianco - dell'insegnante nella classe? - sembra ricomparire come una nuova traccia, della sempre necessaria formazione delle coscienze. Che poi questa formazione pretenda, a partire dai testi dei singoli filosofi, di applicare il metodo cartesiano analitico-sintetico come forma di criticismo legittimante kantiano, prova solamente l'incapacità di vedere, pensare e lasciar agire la libera potenza del movimento del pensiero stesso, della sua facoltà nello stesso tempo creativo-immaginativa e razionale, della sua rivoluzionarietà. Di fronte a questo tentativo di legittimare l'esistente - direbbe un marxista - cosa si può pensare del tentativo di coinvolgimento dei discenti nell'attività di programmazione, se non che esso in realtà si appalesa come una forma di deteriore e malpensata captatio benevolentiae, di camuffamento della propria incapacità/non volontà - istituzionale ed ora persino istituzionalizzata - di messa in questione del problema del potere e della sua trasmissione ideologica? Si pensa forse di poter catturare il desiderio latente dei discenti e futuri cittadini entro l'illusione di poter partecipare ad un gioco, che dura sino alla propria permanenza in classe, per essere poi successivamente sbaragliato dalle necessità imposte dall'attuale feroce riorganizzazione delle forze produttive? O si pensa che partecipare a questo gioco condurrà inevitabilmente e fatalmente i discenti - e, soprattutto, futuri cittadini - verso una consapevole accettazione delle dure necessità dell'alienazione - della negazione strumentale di sé - stabilite dal potere, con tutte le proprie distinzioni, divisioni e contrapposizioni di classe, d'ambiente e di genere?

IL SIGNIFICATO DI QUESTI PROBLEMI PER L'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA

Dimenticarsi di problematizzare la forma ideologica del mondo occidentale lascia ai discenti la pura e semplice possibilità di parteggiare per l'adesione ad una dialettica falsa e decettiva, che ha abitato con il proprio spirito di cattivazione l'intera storia evolutiva dell'Occidente: essere partigiani di Platone e del suo alto ideale (ma fortemente, quando non assolutamente, univocizzante), oppure scatenare la propria reazione antidogmatica con l'affermazione aristotelica delle differenze (quasi oltre un orizzonte di comprensione razionale, comunque finalizzato alla mentalità del controllo e del dominio, con aspetti però apparentemente irrazionali)?[2] È proprio all'infinito creativo e doppiamente dialettico, che ha aperto la nascita della filosofia con la scuola Ionica e che ha visto il proprio riemergere difficoltoso lungo la travagliata storia del pensiero occidentale, che deve invece rivolgersi la mente universale: di chi cerca di riaprire questa strada e questa possibile indicazione e di chi si rivolge sinceramente alla filosofia per trovare una propria strada, oltre le prevaricazioni ideologiche del potere (più forti laddove si ammantano di assenza di costrizioni e di necessitazioni). Che cos'è infatti questa smania di controllare ogni possibile movimento e passo nell'acquisizione delle conoscenze, nella attuazione di prescritte abilità e nel raggiungimento di competenze definitive, se non il desiderio ed il presupposto di una ragione che tutto possiede, domina e controlla? Ma la ragione di chi? E, per quali finalità? O, con quali giustificazioni?[3]
Che cos'è la richiesta rivolta all'insegnante di neutralizzare - quando non negare con propria autonoma volontà (come si ci si trovasse di fronte ad una nuova e necessaria abiura inquisitoriale) - tutte le proprie prospettive di ricerca e le proprie personali acquisizioni, di contenuto e di metodo, per credere di poter far passare l'ideale - falso e decettivo - di una presunta obiettività storicamente determinantesi[4] - e l'atteggiamento deontologico - in realtà profondamente immorale - che solo il togliersi di mezzo facilita l'autonoma acquisizione di una verità tagliata e conformata ad uso di convenienze ideologiche del momento, non precisamente elevate e creative, o feconde di nuovi arricchimenti e sviluppi, per la stessa civiltà occidentale?[5] Ribattere poi a queste critiche con il rovesciamento dell'accusa di ideologizzazione è prima di tutto sapere di non avere una risposta e poi imporre la propria incapacità, attraverso un atto di violenza e di sopraffazione, veramente trasmettendo quella posizione di autorità, che è sempre stata la negazione immediata e necessaria della filosofia, in tutti i tempi e luoghi di questo pianeta (indifferentemente ad Occidente, come ad Oriente).

LA POSIZIONE DELL'INSEGNANTE DI FRONTE AI DISCENTI

Per attingere ad una forte curiosità ed aspettativa da parte dei soggetti in formazione per l'inesplorato e il non ancora articolato e fondato (o giustificato), l'insegnante utilizza in prima battuta - dopo una breve introduzione - i testi e le fonti dirette del pensiero dei diversi autori, così come viene del resto sollecitato dagli stessi Programmi Brocca. Imposta o fa impostare un modello di schedatura[6] del testo e, successivamente, dopo averne assegnata la lettura autonoma a casa,[7] propone una discussione articolata in classe, per giungere a delle indicazioni di fondo e di struttura sul pensiero dell'autore considerato. Fa quindi preparare delle opportune ed adeguate mappe concettuali parziali, che potranno successivamente essere rielaborate e integrate con le mappe concettuali desumibili da altri testi del medesimo autore o di altri autori, entrati in correlazione dialettica con il primo. Ottenuta questa prima guida dell'immaginazione, potrà chiedere alla classe di operare una breve scaletta degli argomenti da presentare successivamente grazie ad una sintesi scritta, che sia rielaborativa dei temi e dei problemi principali scoperti. Qui potranno aprirsi, oltre i riferimenti consaputi ad altri autori già trattati, i collegamenti con autori successivi, della medesima od opposta - comunque diversa - tradizione speculativa. Qui, ancora, potranno ulteriormente aprirsi le connessioni per somiglianza o differenza con gli apporti conoscitivi desumibili da altre discipline (la storia della letteratura e delle arti, la storia delle scienze e delle tecniche, la storia sociale e /o politico-economica ed istituzionale, le indicazioni della psico-sociologia e della storia materiale, la storia del pensiero teologico e delle diverse organizzazioni religiose e/o ecclesiali).[8] In questo rapporto sincronico e diacronico l'esperienza personale mi suggerisce di utilizzare quello schema tripartito in precedenza indicato,[9] valido all'inizio per l'attività di programmazione e pianificazione dell'azione didattica personale (annuale e triennale) e durante lo sviluppo stesso del piano di lavoro come traccia di coordinamento generale per l'attuazione e la prosecuzione del lavoro stesso. Sia che questo schema possa essere approvato, sia che non lo sia, resta comunque un problema fortissimo, che a mio avviso dipende proprio dalla prevalenza di quella dialettica decettiva. L'immaginazione razionale del discente viene da una tradizione a fortissima composizione e identificazione linguistica, o logico-linguistica (un tempo letteraria, o storico-letteraria). Non ha sviluppato, a partire dalle stesse classi della scuola media inferiore - così come invece avrebbe dovuto - la consapevolezza di uno spazio immaginativo, all'interno del quale tutti i problemi conoscitivi possano essere suddivisi e riorganizzati ordinatamente. Allora la mancanza del lavoro creativo ed immaginativo, attraverso la costituzione operativa per tentativi ed errori di mappe visive, importa il mancato sviluppo del movimento razionale, la caduta della capacità conoscitiva e il conseguente decadimento della potenza osservativa, critica e riflessiva. Per questo la stessa contestualizzazione storica degli autori, delle correnti, o delle tradizioni speculative, se posta sullo stesso piano e proveniente dalla stessa origine diagonalizzante e verticalizzante - o, all'opposto, immanente - non coglie e non innesta alcuna trasformazione ed alcuna consapevolizzazione del necessario lavoro di ricerca, individualmente proiettato ed autonomanente sviluppato, organizzato e portato di volta in volta a termine. La storia, insomma, rischia di non aiutare la potenza e l'attuazione immaginativa e razionale, mantenendole entrambe autonome e libere. Rischia invece di diventare il cappello conclusivo di una acquisizione questa sì veramente dogmatica, dove il taglio osservativo rischia di depotenziare quello critico, fondante ed essenziale io credo anche nella disciplina storica. È questa posizione critica che consente di relativizzare sempre l'uso di un concetto nella sua eventuale trasmissione storica e nella sua possibilità di applicazione presso pensatori e contesti di scuola o disciplinari molteplici e diversi: al contrario i concetti desunti dalle argomentazioni dei diversi pensatori, grazie al lavoro interpretativo e ricostruttivo sui testi operato dai discenti, rischierebbero di ottenere - per selezione arbitraria e inconsapevole - una definizione generica, apparentemente valida per tutti i contesti, ma in realtà molto probabilmente determinata nel suo senso e significato da condizionamenti attuali e contingenti. Con una giustificazione dell'uso del passato e del passato stesso come potenzialità di un attuazione necessaria, data dal presente: un presente molto spesso acefalo, proprio perché non inteso criticamente e problematicamente (nel suo orizzonte razionale e nella sua finalità generale, nel tempo della globalizzazione). Infatti l'asserita problematicità del presente, presentata come presupposto necessario per la richiesta di una sua spiegazione e soluzione storicizzata, esclude a priori che il presente stesso non debba andare in pezzi, piuttosto che riuscire a trovare soluzione articolata alle sue diverse situazioni e condizioni di crisi. In altre parole: la filosofia tratteggiata rapidamente dai Programmi Brocca pare molto essere uno strumento generico di risoluzione dei problemi, forse per la larga influenza di questo condizionamento operativo proveniente dal mondo della pedagogia e psicologia statunitense. Così la raccolta contestualizzata e storicizzata delle definizioni e determinazioni dei concetti chiave dei diversi pensatori rischia di tramutarsi un un gioco di raccolta e di assemblaggio - magari per prova ed errori, o ancora di più forzato - di strumenti operativi più o meno organici e funzionali. Certo che un cittadino comune od un futuro esponente della classe dirigente italica che - educato in questo modo - si metta alla prova delle tensioni della vita quotidiana o della vita istituzionale od economica e sociale avrà il suo bel da fare per riuscire a non considerare tutto il suo insegnamento umanistico precedente come un ferrovecchio, buono solamente per essere gettato via e maledetto. Sempre che abbia salvaguardato la sua intelligenza e, soprattutto, la sua moralità (la sua sensibilità e il suo sentimento): perché in caso contrario finirebbe - lui sì - per credere ai sogni fattigli sognare dai propri insegnanti, a loro volta ancora vivi nei propri sogni sul presente (se non più sul futuro). Le stesse ricerche tematiche per problemi affini, che raccolgano la molteplicità ordinata dei termini chiave precedenti, rischiano di non allontanarsi da una tesina di livello pre-universitario, abitando qui ancora sotto l'influenza della necessità dei reports di derivazione statunitense. La filosofia si trasformerebbe, insomma, in uno strumento pragmatico, assolutamente necessario alla risoluzione dei problemi (vedi la tematica del counseling filosofico), pena la sua condanna definitiva presso l'opinione pubblica (come lo stesso Socrate e lo stesso Giordano Bruno, in momenti molto simili a questo, hanno dovuto sperimentare e pagare sulla propria pelle).

CONCLUSIONI

Così la concettualizzazione non deve e non può essere finalizzata alla edificazione di uno specifico filosofico (linguistico e storico), perché la filosofia è semplicemente tutto, universalmente. Conseguentemente non sussiste una logica particolare, settoriale, solo ed esclusivamente filosofica, che possa magari decidere della bontà o della utilizzabilità delle altre componenti dello spirito (naturale ed umano): al contrario solo l'universalità della sua ragione farà sì che ciò che è buono, salutare ed utile, o magari semplicemente bello, non venga spezzato e ordinato in modo strumentale e nascosto. La struttura per domande, problemi, alternative o rivoluzioni, troverà allora una collocazione adeguata e non ristretta, entro uno spazio di movimento creativo e dialettico, libero e razionale nel contempo. Che non pretende a tutti i costi una soluzione privilegiata, e nemmeno un accordo di mediazione, ma che ricorda solamente e semplicemente l'inarrestabilità di un movimento, che non deve mettere o provocare paura (a sé o agli altri), semplicemente perché è il senso alto - ideale e nello stesso tempo reale, inscindibilmente - della nostra libertà. Allora anche la problematizzazione non sarà il necessario smottamento delle opinioni immediate o comuni dei discenti, come se la filosofia non possa non essere un'opinione maggiore e migliore, più potente ed atta al riconoscimento dell'intervento superiore, esso stesso necessariamente dotato di successo o di convalidazione del merito (individuale o collettivo): al contrario, la filosofia dimostrerà di essere prova d'umanità ed intelligenza - come sosteneva il mai abbastanza compianto Giovanni Romano Bacchin, professore di Teoretica presso l'Università di Padova - non quando argomenterà in modo sempre particolare e sempre possibilmente alternativo, individuando e contrapponendo, sviluppando ed arricchendo su binari paralleli e magari incomunicabili logiche di mondi incompatibili, ma quando ritroverà la fonte originaria e comune dell'Essere, che è Uno non perché sia la trasfigurazione ed il feticcio dell'umano potere e della conseguente legittimazione della violenza e della sopraffazione, ma al contrario ne sia la sua più perfetta negazione: l'affermazione della libertà, dell'eguaglianza assolute e del motore che le vivifica dall'interno. L'amore infinito ed universale.


NOTE

[1] Vedi Programmi Brocca.

[2] Una interpretazione personale della contrapposizione apparente fra la posizione platonica e quella aristotelica, con il terzo incomodo rappresentato dalla possibile tradizione del pensiero e dell'azione creativa e doppiamente dialettica, può essere ritrovata in Appendice, dove viene presentata la critica di Aristotele, in Metafisica A, alla posizione platonica. A questa viene poi accostata un'interpretazione personale dell'influenza orfico-pitagorica sulla formazione ideologica occidentale. In ultimo viene esibito uno schema dell'influenza mitico-teologico-religiosa nella costituzione dell'orizzonte razionale predominante ed egemonico nella civiltà occidentale stessa (la diagonalizzazione dell'Essere e la sua verticalizzazione, tramite il concetto/prassi dell'Uno necessario e d'ordine).

[3] Una risposta articolata alle questioni sollevate attraverso queste semplici domande viene fornita dalle due tesine di Area A1 (funzione docente), presentate dall'esaminando relativamente ai corsi di Pedagogia Generale (Prof. Claudio Desinan, Una critica con valenze pedagogiche al concetto di post-modernità) e di Psicologia dell'Educazione (Prof.essa Loredana Hvastja-Stefani, Significati ed effetti psico-sociologici ed educativi nella ricostituzione della concezione dell'infinito originario).

[4] La storia si autodetermina quando non lo fanno gli individui.

[5] La contingenza politica attuale spinge per questa autoneutralizzazione dell'insegnante, che deve piegarsi ad essere medio trasparente ed adeguato - è questa la reale finalità delle scuole di specializzazione per l'insegnamento superiore? - di fronte alle doppie esigenze del potere reale e delle sue necessità di consenso pseudo-democratiche (in una vulgata neoliberista della vecchia teoria del centralismo democratico).

[6] Ruffaldi, Enzo. Insegnare filosofia. Firenze, La Nuova Italia, 2001 (1999¹). Pagg. 198-199.

[7] Questo lavoro può essere intrapreso anche in classe, sotto il controllo dell'insegnante, attraverso la modalità del cosiddetto cooperative learning (divisione della classe per temi e aspetti).

[8] Qui entrano nell'uso i diversi manuali, i dizionari, le enciclopedie, per ricerche ed approfondimenti.

[9] Uno schema che prevede il possibile rovesciamento della dialettica oppositiva trascendenza - immanenza, attraverso la scoperta dell'infinito originario, creativo e doppiamente dialettico. Una "corrente calda" e una "corrente fredda" (Ernst Bloch, Filosofia del Rinascimento) che possono trovare una corrente caldissima in basso, capace di mostrarne il senso ed i significati ideologici.


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