I promessi sposi di Alessandro Manzoni: appunti per una didattica delle "opere miste"
di Maria Laura Vanorio
da Vivalascuola
Sfide impossibili: perché leggere i classici a scuola, confessioni e sensi di colpa
Ogni volta che si tocca l'argomento dei classici si ritorna su uno dei punti più critici del lavoro dell'insegnante: parlare di letteratura a scuola e malgrado la scuola. Mi spiego, l'insegnamento della letteratura si basa come ovvio sull'enucleazione e l'individuazione dei libri di una tradizione, che vogliamo partire da questi per risalire al movimento ondivago e complesso delle correnti di cui sono espressione o che, invece, prediligiamo un approccio storicistico che ci riconduce a essi, la questione è sempre la stessa: cosa, perché e come farli leggere. Tale domanda che rinvia naturalmente alla storia delle interpretazioni che accompagnano i grandi libri e che, come ha detto Mandel'štam, sono le imprescindibili incrostazioni sulla chiglia di questi testi, ci viene posta con inquietante regolarità dai nostri alunni ogni qual volta ci accingiamo a leggere con loro "i grandi classici".
Perché, ad esempio, dedicare un anno ai
Promessi Sposi? Non si potrebbe leggere altro? A volte vengono avanzate domande più sottili e insidiose: è giusto leggerli al secondo anno? Difficile prendere posizione sia con gli studenti che ci pongono queste domande sia con la comunità degli addetti ai lavori. Mi interessa piuttosto capire perché molti di noi e molti dei nostri alunni, almeno nel ricordo abbellito, dichiarano: a scuola i classici mi sembravano noiosissimi, ma poi rileggendoli forse non sono così male. Calvino ce lo ha detto per primo e con grande ironia, i classici sono quei libri di cui si dice sempre "li sto rileggendo", io direi anche quando non li abbiamo mai letti, perché sono libri nei confronti dei quali ci si sente inevitabilmente colpevoli. Colpevoli di non averli mai letti per intero, colpevoli di non averli studiati abbastanza ecc. ecc.
Potremmo elencare qui alcune delle strategie didattiche più diffuse nella scuola per invogliare gli studenti alla lettura dei classici: leggerli e basta, leggerli per intero senza tagli, leggerli nelle loro gustosissime parodie, farli precedere o seguire dalla visione di una delle tante riduzioni cinematografiche, assegnare un capitolo a ognuno dei nostri studenti e renderli "responsabili" dell'esegesi solo di quello, utilizzare gli audiolibri e quindi rimettersi nelle mani dei grandi attori che meglio di noi hanno saputo e sapranno rendere la bellezza di quelle pagine. Non mi sentirei di assumere una di queste possibili strategie come metodo universale di lavoro né di bocciarne qualcuna a priori. Come spesso accade, infatti, molte delle cosiddette "buone pratiche" si rivelano efficaci quando sono garantite le condizioni necessarie per l'apprendimento (vera collegialità nella programmazione, percorsi di apprendimento duttili e rimodulabili a seconda dei reali interessi degli studenti, capacità del corpo docente nell'utilizzo delle nuove tecnologie ecc. ecc.). Comincerei o forse ripartirei proprio dalla noia.
Il piccone: strategie per ammazzare la noia della lettura dei Promessi Sposi
La noia dei nostri studenti nasce forse dalla sensazione ovvia quando si parla di un classico di sapere già: nel caso dei
Promessi Sposi di cosa parliamo? Di un romanzo di due fidanzati che non riescono a sposarsi perché un tipo cattivo e un sacerdote vile non glielo consentono. Lo sanno tutti! Secoli e secoli di studi ginnasiali non sono passati invano e si sono insinuati nelle pieghe della nostra coscienza nazionale. Data per buona questa certezza ai nostri studenti, proviamo a mettergli in mano una versione del romanzo che come questa non si piega agli usi della scuola. Il nostro piccone per sradicare certezze. Carta sottile, formato quasi tascabile, ma soprattutto immagini e commento alle immagini. Il volume si presenta, infatti, nell'edizione del 1840 corredata dalle illustrazioni del team di Francesco Gonin e con la
Storia della colonna infame, che da semplice appendice si trasforma in questa edizione in un vero e proprio finale alternativo per il romanzo (tanto che, come ricorda Marco Viscardi nel suo commento, la parola fine compare solo dopo i capitoli dedicati alla storia del processo agli untori). E non è cosa da poco. Senza ripercorrere qui la storia degli interventi teorici di Manzoni sul "vero storico" e "vero poetico" e sulla loro possibile conciliazione, ci basti dire che quest'edizione meritava di riapparire in tutta la sua complessità di testo ibrido che sfugge di per sé a ogni tentativo di definizione. Altro che romanzo storico,
I promessi sposi nel progetto curato con maniacalità dal loro autore sono un libro molto difficile da catalogare.
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