Ripartiamo dalla 517
Lorenzo Picunio - 13-12-2014
Molti genitori chiedono chiarimenti sulla certificazione della disabilità. Chi nota una difficoltà grave della crescita intellettuale del proprio figlio può rivolgersi al proprio pediatra di base per chiedere una verifica neuropsichiatrica. Oppure saranno gli insegnanti a suggerire la stessa verifica. Va considerata anche l'esistenza di problemi di carattere non neuropsichiatrico, ad esempio oculistici o dell'udito, per i quali può essere necessaria una visita specialistica.
Dalla verifica neuropsichiatrica possono scaturire degli approfondimenti. In base ad essi, se del caso, l'Asl di residenza certifica una disabilità, a norma della legge 517 del 1977 e della legge 104 del 1992. Questa certificazione di disabilità non "marca" per tutta la vita, e ha valore per un certo tempo, un anno, o un ciclo scolastico. Chi si rivolge ad un centro privato deve - almeno nella maggior parte delle leggi regionali - far confermare la certificazione dall'Asl.
La certificazione non viene data - ovviamente - a cuor leggero: non basta un ritardo nell'apprendimento della lettura e della scrittura, anche di alcuni mesi. Occorre che i neuropsichiatri individuino una specifica sindrome, dal ritardo mentale medio o grave, alla sindrome di Down, all'autismo. Altro sono le disabilità sensoriali (ipovedenti e non vedenti, non udenti), altro ancora le disabilità motorie.
Può esserci sempre da parte dell'Asl un riconoscimento di una condizione più grave, prevista dal comma 3 dell'art. 3 della legge 104 del 1992.
Nel primo caso ("art. 3 comma 1" della legge 104; dalla legge: "É persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che é causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione") la scuola, avvertita dalla famiglia, assegnerà un quarto dell'orario di un insegnante di sostegno. Cioè 6 ore e un quarto alla scuola d'infanzia, cinque e mezzo alla primaria, 4 e mezzo alla secondaria. L'insegnante di sostegno ha, di norma, sostenuto un corso di specializzazione: nei fatti accade che si nominano anche supplenti non specializzati, e che non garantiscono continuità per gli anni successivi al primo (e non certo per colpa loro).
Nel secondo caso si parla di "art. 3 comma 3", attinente l'autonomia personale (dalla legge: "Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità"). In questo caso l'alunno ha diritto ad un rapporto 1 a 1, cioè all'orario completo di un docente di sostegno: 25 ore all'infanzia, 22 alla primaria, 18 alla secondaria.
Molti chiedono: la scuola può derogare da questo? Si dà un caso, quello in cui il bambino frequenta meno dell'orario intero di un docente, ad esempio perchè svolge fuori della scuola attività di psicomotricità, acquaticità, logopedia. In questo caso avrà - è logico - il sostegno per tutte le ore di frequenza. Le altre ore saranno distribuite fra altri alunni che hanno poco sostegno. perchè va detto che le ore assegnate ai "non gravi" sono effettivamente molto poche. All'infanzia e in quasi tutta la primaria l'orario di scuola è di 40 ore settimanali, 5 o 6 ore di sostegno sono effettivamente inadeguate alle necessità di un alunno.
Altro caso: il bambino è seguito anche da altre figure, "accudienti" od altro, assegnate dall'Asl, dal Comune o - in caso di disabili sensoriali - dalla Provincia. In questo caso la famiglia può accettare (ma solo se vuole) un numero più basso di ore di sostegno.
Comunque, andare sotto l'orario intero è possibile solo con il consenso della famiglia (eccetto il caso di orario scolastico ridotto al di sotto dell'orario di un insegnante). Nel Piano Educativo Individualizzato va indicato l'orario, e il Piano è sottoscritto anche dai familiari, oltre che dal servizio di neuropsichiatria infantile che segue il bambino. Ad un non intervento, o ad un intervento inadeguato, della scuola si può rispondere con un ricorso al Tar per il quale spesso i genitori trovano il sostegno delle associazioni della disabilità o dei sindacati della scuola.
Il modello italiano dell'integrazione, nato con la legge 517, è un grande dato di civiltà, e ci mantiene ad un livello d'avanguardia rispetto alle altre nazioni europee. Ogni tanto qualcuno prova a metterlo in discussione, sognando il ritorno a classi speciali o differenziali. Ma basta chiedere a chi ha convissuto a scuola con un bimbo disabile quanta ricchezza venga da questo incontro. E ai genitori dello stesso bimbo quanto è stato importante andare a scuola con gli altri bambini.

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