La contestazione e gli insegnanti, ieri e oggi
Gennaro Tedesco - 24-09-2014
Erano gli anni a ridosso del mitico e irripetibile 68 , ero adolescente e mio padre mi accompagnava a casa non potendo partecipare alle lezioni del mio Liceo occupato dagli studenti e non potendo usufruire dei trasporti pubblici perché in sciopero .Ero elettrizzato dalla visione fantasmatica dei banchi che volavano giù dal settimo piano o dal settimo cielo (qualche mese prima del mio ingresso nel celeste Impero del Liceo classico all'ultimo anno delle medie un mio compagno si presenta col Libretto Rosso di Mao) e dalla realtà, non dalla leggenda, metropolitana, secondo cui l'avanguardia rivoluzionaria degli studenti occupanti aveva stabilito contatti diretti con Fidel Castro a Cuba con il telefono del preside, ricevendo i complimenti e l'appoggio del medesimo. Preside del Liceo che poi, finita l'occupazione, livido di rabbia e di rancore, passando tra i banchi di noi allievi ginnasiali, per poco non finì all'obitorio per un improvviso collasso cardiaco. Mio padre, un vecchio antifascista e socialista militante da prima dell'ultimo conflitto mondiale, mi diceva, senza il minimo tono rimproverante, che all'appello rivoluzionario del 68 mancavano purtroppo i docenti, i quali, a loro volta, avrebbero dovuto porsi all'avanguardia con una parola d'ordine semplice e chiara: impedire al governo nazionale di ricostituire, rafforzare e consolidare la proprietà privata, uscita fortemente ridimensionata dalle rovine e dalle ceneri della guerra, non solo quella grande, ma anche e soprattutto quella piccola, che, come nella Francia ottocentesca descritta da Marx, era stata il vero e principale ostacolo e impedimento al processo rivoluzionario. Queste parole paterne mi ritornano ora in mente nella crisi attuale dell'Italia e della sua Scuola, che, ovviamente, va contestualizzata nella crisi più generale e globale che stiamo attraversando e vivendo con ferocia immensa e sottaciuta. Prima di addossare tutte le responsabilità , indubbiamente enormi, ai fattori esogeni della crisi, credo che dovremmo soffermarci sui fattori endogeni. Ma questi, ovviamente, sono più difficili da ricercare e soprattutto da analizzare e accettare perché portano in primo piano le responsabilità dei protagonisti sociali di un mancato movimento e sommovimento radicale della Scuola italiana e della società nei confronti della quale interagisce. I docenti italiani, non tutti naturalmente, non sono mai riusciti e forse non ci hanno mai nemmeno provato, perché non maturi socialmente e politicamente, a costituirsi come forza omogenea capace di ritagliarsi consapevolmente una propria sfera di azione autonoma e allo stesso tempo generale, ma non corporativa, indipendente da partiti sindacati, governi e ora industrie. Giustamente nella conversazione sessantottesca tra me e mio padre traspariva in controluce un'altra semplice, lampante e accecante verità che pure era un'altra formidabile concettualizzazione divenuta parola d'ordine degli studenti del 68: la cultura è potere. E se il 68 ottenne dei successi, fra questi vi è sicuramente quello della diffusione e consapevolezza dell'immenso potere della cultura e dei suoi autorevoli e autorizzati dispensatori, i docenti. E la cultura non era intesa solo come possibilità di una presa di potere rapida, ma anche formidabile occasione duratura nel tempo e nello spazio di una dimensione pedagogica e educativa, sia individualmente che collettivamente e socialmente intesa, ma soprattutto praticata nella realtà quotidiana della Scuola e della Strada in mezzo ai dannati della Terra. E mio padre mi esprimeva tutta la sua incomprensione e insoddisfazione di fronte alla constatazione del mancato blocco sociale e politico che la Scuola, ma soprattutto i suoi docenti, avrebbero dovuto costituire con gli operai e i contadini dell'epoca, cioè del 68. E nel cerchio aperto , dinamico e metamorfico dell'intellettualità culturale e educativa del Bel Paese, calatasi e trasformatasi nel bagno metamorfico e simbiotico delle "masse lavoratrici", mio padre individuava la nuova avanguardia e alternativa a un potere già allora logoro e marcio. Ma tutto ciò non è accaduto e non accade. Un politico tutt'altro che stupido in questi ultimi decenni ha ulteriormente normalizzato e integrato non solo i docenti, ma anche operai e lavoratori con lo slogan "non proletari, ma proprietari". E se oggi il mondo della Scuola e quelle che una volta erano definite classi subalterne, che pare oggi in Italia non esistano più perché i subalterni, se esistono in qualche tempo e in qualche luogo, non sono italiani, ma solo stranieri brutti, sporchi e cattivi , continuano a subire passivamente le iniziative altrui non solo governative, lo si deve anche in parte notevole all'affievolimento se non al dissolvimento di una coscienza non solo di classe, ma anche all'incatenamento sociale e politico operato da una piccola e media proprietà che obnubila qualsiasi potenzialità e progettualità contestativa e alternativa a un potere che si avverte sempre più forte anche grazie alla gracilità sociale e progettuale di un corpo docente e sociale avviluppato nelle maglie e nella rete sempre più stretta e insidiosa della mentalità pavida e accomodante del pensiero piccolo borghese, figlio della proprietà privata capitalistica. Oggi non è più la piccola proprietà contadina a incatenare socialmente e politicamente le classi subalterne che esistono e come, ma la piccola e media proprietà immobiliare, la casa e la mentalità proprietaria e conseguentemente conservatrice, che divora docenti, discenti e lavoratori, pur nell'orribile crisi economica e sociale, disgregatrice di ogni residuo sogno proprietario. Il 48 ha portato alla ribalta della storia quasi mondiale gli operai, il 68 gli studenti, ma non i docenti. Ma, comunque, malgrado essi e forse in gran parte anche contro di essi, il 68, pur non avendo portato l'immaginazione al potere e tanto meno riuscendo a scalfire le strutture profonde dell'imperialismo capitalistico, certamente ne ha scalfito le sue sovrastrutture culturali, compresa la Scuola. Oggi la proletarizzazione in corso rapida e terribile del corpo docente italiano, insieme a quella di studenti e subalterni, vorrebbe e dovrebbe portare all'avanguardia sociale i suoi appartenenti, fornendo loro forse un'ultima occasione di riscatto, dopo la delusione del 68 che li ha visti emarginati dal processo rivoluzionario. Anche perché all'orizzonte politico, partitico e sindacale della Sinistra parlamentare e extraparlamentare, imborghesita da decenni di contiguità interessata e perdente col potere, che ne ha fortemente indebolito l'immagine e la capacità d'azione e attrazione presso le nuove generazioni non solo studentesche sempre in attesa di una palingenesi rivoluzionaria che non arriva mai anche grazie balle debolezze e madornali errori di una dirigenza fragile, vecchia , obsoleta e soprattutto imborghesita, tutti noi , esiliati in patria , vorremmo che finalmente riapparissero quei Barbari che da decenni aspettiamo con ansia e trepidazione, ma anche con tanta speranza perché ormai solo i Barbari, se esistono ancora, sarebbero in grado di spezzare le catene dei contadini romani e dei loro successori e di spazzare via tutte le putrescenze dell'imperialismo capitalistico al suo prossimo, ultimo e definitivo Capolinea.

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