Locale e Globale: coloniale, post-coloniale e subalterno. Una intrusione
Gennaro Tedesco - 19-09-2014
Il complesso degli Studi post-coloniali e subalterni e della Storia mondiale e globale è enorme e sofisticato. E nel Bel Paese solo da poco e male conosciuto e in rarissimi casi ne abbiamo visto l'applicazione sul "campo" anche perché scontiamo una tradizione soprattutto storica e antropologica molto concentrata sulle nostre "radici" interne, cioè nazionali. Non solo. Obbiettivamente è anche molto difficile, in un panorama culturale e politico oltre che educativo da sempre compresso (e represso) su una eredità storico-culturale "patrimoniale" nazionale, per non dire nazionalistica, comunque al suo interno molto complicata e spesso ambigua e sfuggente, affacciarsi su interazioni globali, che proprio nel loro tentativo di transazionalità e transnazionalità, rischiano, per la loro complessità, di oscurare più che illuminare. Tanto più che tentativi del genere possono anche mettere a nudo eventuali carenze professionali soprattutto in una tradizione scolastica scientifica e universitaria come la nostra dedita alla specializzazione e alla parcellizzazione settoriale e disciplinare. Per cui lo scrivente non cercherà certo né potrà, anche volendo, contribuire per tentare nemmeno un disvelamento progressivo di qualche nodo strategico del problema sorto e posto in questione.
Chi scrive porrà all'attenzione solo qualche indizio scaturito dalla propria attività di ricerca si spera utile e suscettibile di cancellazione o di eventuale miglioramento. Nulla di più, nulla di meno .
Dunque da dove cominciare ?
Dall'immagine che gli "Altri" si sono fatti della "nostra" Storia. Ma l'immagine - e l'immaginazione - degli Altri su di "noi" molto spesso è rivelatrice di strutture profonde della Storia scaturite dall'immaginario collettivo degli uomini globali e dalla loro interazione con la Fabbrica dei Sogni, la macchina mondiale dei mass-media.
Un indizio potente e prepotente dello sguardo degli Altri sulla nostra Storia l'ho colto in Indonesia, proprio al capo opposto del così detto Occidente. Ero in un ristorante balinese che sprigionava da tutti i pori un Oriente fantastico e assoluto nel periodo di maggior tensione politica e sociale in Indonesia e sull'isola per la ferocia del terrorismo dilagante.
Fui coinvolto in una discussione con un gruppo di indonesiani. Per loro, ma anche per qualche scrittore giapponese, il Bel Paese si identificava con l'Impero romano e con Venezia.
Al ritorno mi sono chiesto del perché di questa identificazione Impero romano - Venezia - Italia tra Indonesia e Giappone.
Forse per la visione imperiale, per la politica e la pratica imperiale che accomuna Roma, ma anche Venezia, agli Imperi sorti nel Sud-Est Asiatico e nell'Estremo Oriente? Per i commerci transnazionali di Roma e della Serenissima? Per la politica orientale di entrambe?
Sono domande importanti da prendere in considerazione. Ma ora mi preme cogliere qualche altro aspetto del confronto e dell'identità tra due realtà che sembrano molto lontane tra di loro.
Ero sulla spiaggia di Bali. Di fronte a un Oceano Indiano abbagliante e risplendente nei suoi colori più vividi e sgargianti, una giovane donna balinese, circondata dalla frenetica e convulsa babele di sacro e profano, di venditori e ambulanti e di fedeli musulmani, buddisti, indù, cristiani e animisti, si immergeva nelle sue acque, pregando, danzando e cantando, rivolgendosi alle sue Divinità. Era in tutto e per tutto un rito che noi europei avremmo definito "pagano". E probabilmente lo era. Un contatto concreto e spirituale, totale con la Divinità prossima e naturale dell'Oceano. Un "bagno" dentro l'infinito della Concretezza immediata. Ma soprattutto da parte mia la constatazione dell'assoluta normalità di tale gestualità e ritualità pagana totalmente e pacificamente inserita nel contesto e nella pratica della poliedricità religiosa acquisita da millenni di storia e antropologicamente e socialmente vissuta nella caleidoscopica realtà balinese.
Nei nostri libri di testo scolastici, ma anche nei mass-media e nella saggistica contemporanea di più largo consumo culturale, la storia dell'Europa e del Bel Paese pone a fondamento della civiltà occidentale capitalistica Roma e il suo Impero e Roma imperiale era la Roma amata e osannata dai fascisti nostrani. E anche una parte cospicua dell'ideologia europeistica esalta Roma antica per evidenti interessi egemonici: Unione Europea-Roma imperiale. La stessa origine, le stesse aspirazioni universalistiche e globalistiche, per dirla tutta e chiaramente, neo-imperialistiche.
Ma esiste un'altra Roma? Un'altra ideologia della Romanità da qualche parte? Personalmente credo di si e sarebbe il caso di ripartire proprio dall'Oriente e da Bali.
Forse le ideologie dell'Altro, come quella su Roma e su Venezia, di indonesiani e giapponesi ci possono essere molto utili per ricercare un'alternativa alle visioni spudoratamente neo-imperialistiche dell'Occidente. Anche se naturalmente va detto, a scanso di equivoci, che l'imperialismo è un tratto essenziale e caratteristico ineliminabile sia della società capitalistica, anche la più apparentemente "pacifica", sia della società antica schiavistica.
Le contraddizioni e le oscurità e le ingenuità contenute nell'approccio popolare e mitologico dell'Oriente su Roma antica e su Venezia nascondono dimensioni e fatti storici dimenticati forse anche in Occidente.
Innanzitutto esiste una Roma antica non nazionale e nazionalistica, ma ellenistica e cosmopolitica che ben si attaglierebbe alle esigenze di una diversa e non spudoratamente imperialistica visione dell'Unione Europea dei nostri giorni.
E' la Roma erede della tradizione ellenistica e orientale, del modello politico, economico, culturale e educativo lasciato ai posteri e acquisito e rimetabolizzato da Alessandro Magno.
Questa Roma , e prima di lei la Grecia antica, intratteneva rapporti commerciali con la Cina, con l'India, col Sud-Est Asiatico, con l'Oriente Vicino e Estremo e non era nemmeno protagonista di questo immenso e durevole processo economico. I veri protagonisti, perché i maggiori produttori e distributori di tale frenetica attività manifatturiera e commerciale erano gli Orientali, in particolar modo Cinesi e Indiani.
Essi scorgevano in Roma antica il polo prevalente di riferimento dei loro traffici e delle loro produzioni esportate nel così detto Occidente. E che Roma fosse in posizione subalterna in questo circuito economico fondamentalmente mondiale lo dimostra il deflusso continuo di capitale aureo e argenteo dalla capitale imperiale verso l'Oriente.
In questa prospettiva storica e economica si può spiegare probabilmente l'importanza strategica e ideologica che i Cinesi in particolare oggettivamente coglievano nella Roma imperiale. Essa, con le sue notevoli dimensioni territoriali, con la relativa sicurezza interna e esterna garantita da efficienti eserciti e flotte militari e con correlate ideologie dell'"Armonia" sociale e culturale non dissimili da quelle del Dragone, era vista come il Bastione garante in Occidente della continuità "armoniosa" dei loro traffici e probabilmente, non si può escludere, dato anche l'approfondimento in corso e prossimo della Storia mondiale e globale, della loro influenza non solo culturale.
Allora se questa era la possibile "visione" strategica del Dragone rispetto alla Metropoli mediterranea, ne esce rafforzata e consolidata la possibilità di una ideologia della Romanità sempre più intrisa di pulsioni orientali e sempre più consapevole della sua dimensione e vocazione transmediterranea e orientale.
Roma, Bisanzio e Venezia sono ancora oggi i capisaldi dell'immaginario cinese, indiano e del sud-est asiatico perché più importante polo di riferimento economico, politico e culturale dell'Oriente nella sua storia millenaria. E se è vero che l'ideologia è in parte notevole figlia diretta e indiretta di profondi e complessi processi economici, allora ciò che nel processo dinamico della Storia si trasforma e rimane, in questo caso una ideologia alternativa della Romanità, è nata e si è trasformata in questa temperie processuale orientale. Ovviamente nel contingente storico contemporaneo che impone la continua rinegoziazione e trasformazione di tale ideologia della Romanità attraverso la mediazione dell'immaginario mass-mediale e il gioco di sponda tra le diverse comunità spesso altrettanto immaginarie e immaginate d'Occidente e d'Oriente.
La prima Roma, la seconda e la quarta Roma, Venezia (e il Rinascimento greco , romano e bizantino) rappresentano la continuità di una politica che diviene immaginario ideologico utile al recupero di una vocazione orientale e mondiale della strategia italiana e europea. Il Mediterraneo centro-orientale e la penisola italiana ridiventano i centri propulsori di orientamenti posti e imposti dalla storia che ritornano. Commerci, traffici, contatti diplomatici mediterranei e mondiali e non continentali, mentalità "pagane" non monoteistiche, non cristiane e conseguenti "politeismi" religiosi, culturali e finanziari che dall'Occidente tendono una mano agli analoghi orientali. Una Rivoluzione di cui l'Italia e l'Europa, all'epoca della "riproducibilità capitalistica e globalistica", ancora non sembrano consapevoli o capaci di approfittarne per rielaborare e riconvertire la propria posizione strategica e ideologica in funzione di un rinnovato approccio, che dal punto di vista storico poi tanto nuovo non è, all'"Altro" da sè.
E' evidente che risulta molto difficile immaginare perdente, sepolta e rischiosa una ideologia della Romanità nazionale, nazionalistica e continentale che, tra l'altro, ha condotto l'Italia nelle braccia criminali del fascismo che ha fatto di Roma antica un monolito ingessato nel proprio isolamento continentale e occidentale. Roma e Venezia latine e papiste, volte al cuore del continente franco-germanico. Bisanzio, la Roma del Bosforo, politeistica, cesaropapista, orientaleggiante, anticristiana perché eretica e fondamentalmente pagana, cioè tollerante e aperta agli influssi dell'Altro. E Venezia trasformata in una succursale modesta e irrilevante della Roma antica nazionalistica.
E pure le nuove generazioni, cresciute all'ombra dell'immaginario mondiale e sempre più orientale dei mass-media e del vischioso Dragone cinese e dell'ingombrante Elefante indiano, volenti o nolenti, prima o poi, divenute le nuove comunità immaginarie e immaginate, non potranno fare a meno di incontrarsi e rimescolarsi con quelle "altre" comunità immaginarie e immaginate "localizzate" in un Oriente sempre meno estremo e remoto e sempre più "domestico".

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